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società
349 - EMERGENZA RIFIUTI DA NAPOLI AL MONDO |
’A MUNNEZZA O LA GLOBALIZZAZIONE DEI RIFIUTI
«I rifiuti sono un flusso: tante cose entrano nelle nostre case o nella nostra vita sotto forma di consumi; tante ne devono uscire, e in tempi sempre più brevi, sotto forma di rifiuti. Se mi si allaga la casa, prima di decidere dove strizzare i panni con cui cerco di asciugare il pavimento vado a chiudere i rubinetti. Lo stesso dovrebbe succedere con i rifiuti. Non è una cosa difficile da capire» (Guido Viale). |
Cerchiamo di capirne di più con Davide Pelanda, insegnante e giornalista free-lance di Ciriè, che si interessa di educazione alla pace, di multiculturalità e dialogo interreligioso, dopo Acqua (Emi 2006), e ha appena pubblicato ’A munnezza ovvero la globalizzazione dei rifiuti, con prefazione di Maurizio Pallante (Sensibili alle foglie, pp. 208, € 14, per informazioni e ordinazioni: Borgata Valdiberti, 3 – 12063 Dogliani (CN), tel. e fax: 0173/742417; e-mail: sensibiliallefoglie@tiscali.it). Uscirà ad aprile dalle Paoline un suo libro sul cibo nelle religioni.
Cominciamo, per forza, da Napoli. Lo smaltimento dei rifiuti è un problema per tutti, ed è impossibile che non sorgano inconvenienti più o meno gravi. Perché per Napoli è una tragedia? Cosa fare ora che la Campania è «allagata» dai rifiuti, subito, per «chiudere i rubinetti»? Si parla tanto di soluzioni a monte (riduzione dei rifiuti, degli imballaggi, raccolta differenziata), ma a valle, una volta creatasi l'emergenza (questa; e domani?), come smaltire le montagne napoletane?
Mi aspettavo questa domanda. E ti rispondo che ormai «la frittata è fatta». Sul che fare ora è arduo! Per Napoli è diventata una tragedia annunciata da tempo perché ci sono alle spalle negligenze e leggerezze amministrative che durano da almeno 14 anni. C'è la camorra che gestisce i traffici illegali di immondizia, discariche e quant'altro riguarda la munnezza perchè per loro è ricchezza. «Trasi munnezza, esci oro» dicevano due mafiosi conversando al telefono in una intercettazione telefonica riferita dal Procuratore Pietro Grasso. E poi ci sono almeno 4 milioni e 300 mila tonnellate di «ecoballe» in tutta la Campania (i dati sono del 2006) che non si possono utilizzare neanche per i termovalorizzatori perché sono state fatte male, contengono anche l'umido. Per bruciarle avrebbero dovuto contenere invece solo plastica, carta, cartone e legno, cioè i rifiuti differenziati ben trattati. Invece hanno mischiato in maniera incosciente tutto, anche l'umido. Ora che il disastro è fatto... ci vorrebbe una bacchetta magica. Se fossimo stati in estate con il caldo ci sarebbero state epidemie di colera, infezioni vari, viste le pantegane che immagino in questo periodo si saranno moltiplicate a Napoli e in tutta la Campania. Allora sì che li sarebbe stata necessaria la solidarietà umana di tutta l'Italia per non diffondere ovunque le epidemie. E soprattutto per non mandare alla deriva una parte di questa nostra Italia che si dice vogliamo ancora unità: il 150° anniversario dell'Unità d'Italia è alle porte! A marzo sarò a Napoli a presentare questo libro alla rassegna libraria Galassia Gutemberg: vedrò con i miei occhi la situazione.
Esistono termovalorizzatori, cioè inceneritori, non pericolosi?
C'è un termine che un mio amico medico ha coniato e che io faccio mio: cancrovalorizzatore. Questo amico medico sostiene – e gli credo – che un impianto di questo genere enfatizza la moltiplicazione e la concentrazione degli inquinanti cancerogeni (valorizzatore) di questa macchina estranea al ciclo chiuso vitale naturale. Io non sono un medico,ma mi fido di quelli incontrati nel percorso di questa interessante ricerca per realizzare questo saggio. Le loro prove mi sembrano inconfutabili, tant'è che nessuno riesce, con prove e documenti alla mano, a dire il contrario, a dimostrare che l'inceneritore fa bene alla salute, che non inquina, che rende più bello e appetibile l'ambiente. Il problema poi rimane anche quello di dove buttare le ceneri che produce questa struttura.
Hai scritto questo libro quando l'argomento dei rifiuti non era ancora al centro dell’agenda politica. Perché la scelta di questo tema per il tuo libro?
L'idea mi è venuta perché, andando tutte le settimane a fare la spesa in un supermercato di zona, ho osservato quanti rifiuti quella struttura fa ogni giorno. Mi sono accorto in quanti involucri, pacchi, pacchetti e pacchettini è contenuto ciò che acquistiamo per alimentarci. Alle casse chiedo sempre di ridurre al minimo indispensabile le borse di nylon. Fino ad arrivare ad essere il rompiscatole di turno: ormai tutti lì dentro mi conoscono così. La tappa è poi dal panettiere di fiducia che sa già che mi porto la borsa di tela di sacco per evitare la sporta di nylon. Inoltre mi ero occupato dell’inceneritore del Gerbido di Torino e ne avevo scritto criticandolo già sulle testate nazionali con cui collaboro, «Carta» e «Megachip». Avevo seguito inoltre, per tre estati di seguito, la vicenda del dragaggio del Golfo di La Spezia e della discarica di Pitelli e anche di quelle cose ne avevo scritto. Avevo poi dell’interessante materiale sull’Ipca di Ciriè e su di una discarica, considerata nazionale, di amianto in provincia di Treviso. E da cosa nasce cosa... mia cognata di Brescia che ha lavorato per un po’ di tempo all’Arpa della sua città, nel dicembre 2006 mi ha sollecitato a scrivere e ampliare il discorso sui rifiuti per trasformare il tutto in un libro. E così è successo. Chiaramente sotto la sua meravigliosa consulenza e di altri – da Alex Zanotelli al Comitato Ambiente di Pitelli, a Maurizio Pallante prezioso prefatore – è nato ‘A munnezza la cui uscita a fine gennaio cade proprio a fagiolo in questa crisi dei rifiuti in Campania. Questo saggio l’ho scritto sia come ecologista convinto (non all’acqua di rose), ma anche pensando all’educazione dei miei figli su come debbono trattare i rifiuti. E già adesso, che hanno rispettivamente sei e tre anni, capiscono come si differenzia la spazzatura.
Da Napoli a Torino. Hai analizzato la situazione piemontese, che giudizio ne trai?
La situazione riferita alla nostra regione è variegata: i rifiuti tossici e chimici che si ritrovano di continuo, a distanza di svariati anni dopo la questione Ipca a Ciriè; rifiuti nucleari di Saluggia, inceneritore del Gerbido e degli altri che si vogliono costruire... Senza dimenticare i nostri piccoli fiori all'occhiello come Novara che ha un buon record per la raccolta differenziata e che non ha bisogno dell'inceneritore, oppure Tortona che ha rinunciato volentieri alla costruzione di un impianto di incenerimento perché l'amministrazione ha deciso, con grande saggezza, che non ce n'era bisogno. Il giudizio che ne traggo è che anche da noi ci sono problemi di inquinamento dell'ambiente e del territorio legati ai rifiuti. Ma la nostra abilità qui nel nord Italia è nascondere, interrare, «tombare» per bene sottoterra... Insomma non la facciamo spudoratamente vedere. Ma c'è, ed è molto più pericolosa quando non la vediamo ma ci inquina, ad esempio, le falde acquifere o i terreni dove, magari, sopra ci coltiviamo tranquillamente le pannocchie o ci facciamo pascolare le mucche. Anche noi non siamo molto diversi dal resto d'Italia: vale proprio il detto che «tutto il mondo è Paese»: né più e né meno.
Che cosa significa esattamente il sottotitolo: «la globalizzazione dei rifiuti»?
Se andiamo a vedere la definizione che ci da l'enciclopedia on-line Wikipedia del termine globalizzazione troviamo che è, testualmente, «il fenomeno di crescita progressiva delle relazioni e degli scambi a livello mondiale in diversi ambiti, il cui effetto primo è una decisa convergenza economica e culturale tra i Paesi del mondo». A questa definizione ci sta senz'altro bene affiancarci il termine rifiuti: essi sono infatti un fenomeno in crescita progressiva che è il frutto di questi vorticosi scambi economici mondiali. E il primo effetto immediato è però quello di non saper più dove metterli. Nel mio libro infatti sottolineo come i rifiuti viaggino da nord a sud dell'Italia ma anche del mondo, e che soprattutto tutti convergono sempre o quasi dall'Occidente ricco in quella che noi consideriamo la Pattumiera mondiale, e cioè il cosiddetto Terzo Mondo. Perchè gira e rigira i rifiuti sono il frutto dell'estenuante consumismo che ci martella in continuazione e il 90% per cento viene prodotto dai super-iper-maxi-mercati che pullulano nelle nostre metropoli. Siamo arrivati a rendere saturo di rifiuti persino lo spazio con i vari pezzi di vecchi satelliti e relative scorie che sono rimasti li, sperando nella disintegrazione automatica.
Dalla cronaca sappiamo che molti rifiuti napoletani sono finiti in Germania. Che differenza c'è in questo campo tra l'Italia e altri paesi del mondo?
Diciamo che da noi, ad esempio, si insiste attualmente molto con la realizzazione degli inceneritori in un numero che, sinceramente, mi sembra alquanto spropositato. È chiaro che c'è una vera e propria lobby del termovalorizzatore che spinge le amministrazioni perché qualcuno ci guadagna. Magari qualche multinazionale che cerca di convincere nostri amministratori, i nostri Governi a optare in tal senso. Inoltre - soprattutto purtroppo nel meridione d'Italia - abbiamo una gestione dei rifiuti fondamentalmente malavitosa, oppure basata su di una sorta di superficialità delle amministrazioni: basta vedere le infiltrazioni mafiose o camorristiche nella gestione dei consorzi e delle discariche. Dal Nord al Sud Italia comunque, tra rifiuti di vario genere, la nostra penisola non se la passa davvero bene. E l'elenco è davvero lungo... Nel resto del mondo le cose funzionano diversamente. Se parliamo ad esempio dei Paesi poveri come l'Africa o l'Asia, possiamo dire che siamo noi occidentali ricchi ad andare a scaricare «a cielo aperto» tutta la nostra immondizia: ne approfittiamo del fatto che tanto loro hanno leggi sui rifiuti inesistenti, soprattutto perché in quei Paesi non ci sono controlli sui trasporti illegali della monnezza. Per rimanere più vicino a noi, in Europa, ci sono anche altri Paesi che non se la passano bene e sono un po' la pattumiera del nostro continente: ad esempio alcuni Paesi poveri dell'Est europeo, tipo la Polonia o la Romania, ma anche alcune ex repubbliche socialiste sovietiche. Nel libro cito, ad esempio, i sommergibili nucleari che esistevano all'epoca della Guerra Fredda e che oggi sono stati dismessi: che fine hanno fatto? Un esempio di cui scrivo è quella di Mayak, negli Urali dove vivono 90 mila civili, una piccola cittadina russa dove c'è uno dei più grandi depositi di rifiuti nucleari europei, dove tutti lavorano questo tipo di rifiuti molto pericolosi a mani nude, con tecnologie obsolete e dove questo materiale arriva anche da altri paesi del mondo. E lì la gente continua a morire di tumori… E proprio lì è stato calcolato che occorreranno 240 mila anni affinché decada il potenziale radioattivo del plutonio accumulato in quei depositi, una cosa paragonabile a 12 mila bombe sganciate su Hiroshima. E sempre lì, in quel paesino è prevista la costruzione di un nuovo deposito dove verranno conservate 50 tonnellate di plutonio estratte dalle testate nucleari russe. Inoltre tra l'Atlantico e il Pacifico c'è un altro deposito di rottami di sommergibili nucleari dismessi, circa 160. Il tutto per una grande speculazione sulla pelle della gente che sembra frutterà alla Russia – sulla base di accordi tra l'industria nucleare europea, americana e di altri paesi – 45 mila miliardi solo nella fase iniziale. Altro che rifiuti della Campania. Quasi nessuno ci dice queste cose. Forse quelli che se la passano un po' meglio, come trattamento e smaltimento rifiuti, sono la Scandinavia o anche la Germania, l'Austria o il Giappone. Ma credo siano veramente pochi.  |
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