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teologia
Darwin in lotta con l’angelo
Sta per scoccare il duecentesimo anniversario della nascita di Darwin (12/02/1809-2009), e dal 12 febbraio scorso la macchina celebrativa si è già messa in moto con tutta una serie d’incontri e convegni. Giacobbe e Giobbe sono sì usciti a testa alta dalla lotta rispettivamente con l’angelo e con Dio (ma con una patta senza vincitori), mentre Darwin ha lottato con Dio, cioè col creazionismo, uscendone vincitore. È l’ardito accostamento di Michele Luzzatto, in Preghiera darwiniana, Cortina-Milano, recensito da Gilberto Corbellini nel domenicale del Sole 24 ore del 10/02/08. Il modo migliore per festeggiarlo è forse quello di proseguire la lotta andando oltre. |
Declino della forza bruta
Nonostante la predazione abbia costituito una delle più forti pressioni selettive per arrivare all’alba degli ominidi, abbiamo tuttavia sostenuto come un’inversione di tendenza, ossia la riduzione e affinamento dell’attività predatoria, abbia contribuito in modo decisivo all’avvento dell’homo sapiens, attraverso l’aumento delle dimensioni del cervello e soprattutto lo sviluppo di parti nuove e più sofisticate come la neo-corteccia. Aggiungo ora con maggior chiarezza: nel processo di ominizzazione ha luogo un deciso contenimento sia della violenza esterna (nei confronti delle altre specie animali) e sia di quell’interna alla nostra. Per quell’esterna abbiamo tre fasi successive nel tempo: 1) Caccia; 2) Addomesticamento (per affetto, o per attività sostitutive della fatica umana); 3) Allevamento vero e proprio (per scopo alimentare, nutrizione umana). Essa è rimasta mediamente contenuta, con un innalzamento del tasso di nonviolenza nella domesticazione, per poi scendere con l’allevamento (il semplice utilizzo del latte di pecora è diverso dalla sua macellazione precoce). L’alba dell’uomo si situa comunque a cavallo tra la caccia e l’addomesticamento.
Infatti con la postura eretta, già raggiunta dai nostri lontani antenati primati 21 milioni di anni fa (lavoro pubblicato su Plos ONE da Aaron Filler, neurochirurgo spinale di Los Angeles), successivamente i cerebro-manuali, con la loro tecnica iniziale litica (fuoco compreso), non hanno più bisogno né della potenza motoria (correre molto veloci) né della forza bruta della muscolatura, ma al contrario di un suo controllo più fine (come nel caso della mandibola per la fonazione). Non hanno più bisogno di grandi apparati boccali, né di fauci e dentature robuste: ciò è testimoniato ancor oggi dall’inibizione dell’ultimo molare, il cosiddetto dente del giudizio, che o spunta tardi oppure mai (studio sui molari dei mammiferi pubblicato su Nature da Jukka Jernvall e colleghi dell’università di Helsinki). Ora nel lungo processo di speciazione (per isolamento geografico rispetto alla specie madre ed all’antenato comune) non c’era molto posto per la violenza interna e la guerra: per una questione di sopravvivenza della propria nuova identità, quindi per necessità e non ancora per coscienza etica.
Le suddette riduzioni, che portano ad un controllo più fine, significano per i geni deputati un riciclaggio verso il linguaggio (e relativo pensiero): come già detto sul n. 347, i geni coinvolti nel linguaggio sono probabilmente duplicazioni di geni coinvolti nei sistemi di controllo motorio e di geni coinvolti nei sistemi (primitivi) di rappresentazione spaziale. Ossia i sistemi di rappresentazione mentale dello spazio non sono più diretti alla potenza connessa con la predazione, ma si specializzano nel linguaggio, nella comunicazione e nella socialità, proprio perché si libera spazio nell’area premotoria.
La cosa mi puzza
Ciò sembra confermato anche da recenti studi sperimentali sui topolini (ricerca condotta da un gruppo di ricercatori dell’Università di Kyoto) geneticamente modificati, secondo cui il comportamento sociale è inversamente proporzionale alla capacità mnemonica spaziale. Se da un lato infatti la loro capacità di orientarsi in un labirinto era inferiore a quella dei topi normali, la loro capacità di rapportarsi socialmente, soprattutto con topi estranei, appariva decisamente accresciuta. È molto probabile che ciò sia avvenuto anche nel genere homo, il quale non ha più bisogno di orientarsi in un labirinto, come quello della foresta pluviale per gli arboricoli (così fanno tuttora i colughi, piccoli mammiferi detti anche lemuri volanti, planando da un albero all’altro nel Sud-est asiatico), ma avventurandosi nella savana del Pleistocene necessita molto più di socialità, con relativa selezione di gruppo ed evoluzione di comportamenti altruistici.
Con l’instaurarsi della socialità aumentano ovviamente le situazioni d’incertezza e indecisione nella gestione dei rapporti spesso conflittuali. Un’altra ricerca (uno studio condotto da ricercatori dell'Università della California e pubblicato on line sugli Annals of Neurology) ha mostrato che, in una decisione da prendere, l’incertezza evoca e attiva segnali nella regione dei gangli basali, i quali hanno un ruolo nell'azione motoria. Ancora una volta la riduzione della potenza motoria e della forza muscolare ha liberato spazio per la decisione e la scelta (nasce l’etica), per la critica e la razionalità dialettica (coscienza), per le differenze cognitive e comportamentali.
Dicevamo sempre nel n. 347 che la riduzione dell’olfatto (non più necessario come negli animali) ha liberato spazio per la formazione della neo-corteccia; quando la situazione è meno incerta e più decisa (ad es. quando crediamo o non crediamo), sempre il suddetto studio sugli Annals of Neurology ha infatti dimostrato che si attiva invece una regione diversa, in stretta relazione con quella che valuta la piacevolezza o il fastidio provocato da odori e sapori. «La cosa mi puzza, non ci credo»: questa comunissima frase riflette una realtà neurologica. Gli esperimenti hanno mostrato che uno stato di credenza o non-credenza determina un forte segnale a livello di corteccia prefrontale, coinvolta nel collegare conoscenza fattuale ed emozioni.
Il ritorno di Dio
Ma con l’alba dell’uomo anche Dio ritorna in gioco dopo la creazione originaria; mentre non si dà sia nell’evoluzione pre-umana che nella storia alcun intervento molecolare-energetico di Dio, con l’avvento dell’uomo Dio torna in azione rapportandosi spiritualmente all’essere umano.
Tale ispirazione/rivelazione divina ovviamente è vincolata alla sua recezione da parte dello spirito umano; l’unica possibile provvidenza non è altro che quest’ispirazione divina, subordinata alla libertà radicale e incondizionata dell’uomo. Mi sovviene l’analogia con la cosiddetta violazione di parità delle interazioni deboli: le particelle coinvolte, assimilabili a trottoline in virtù del loro “spin”, avvertono la forza nucleare debole solo se ruotano in senso antiorario (sinistrorso); ciò si spiegherebbe solo con l’aggiunta di un’ulteriore dimensione invisibile non simmetrica. L’esempio è perfettamente calzante: abbiamo la dimensione invisibile non simmetrica da Dio all’uomo (perché non è detto che sia avvertita e corrisposta), e poi bisogna essere …“sinistrorsi” per recepire la rivelazione divina; fuor di metafora, occorre essere predisposti con pensieri, comportamenti, sentimenti e valori etici di un certo stampo.
Naturalmente tale ispirazione/rivelazione significa che Dio cresce insieme alle idee degli uomini; è l’immagine di un Dio che co-evolve, già nella Bibbia, attraverso il confronto con la cultura umana. È anche l’originale esegesi di Michele Luzzatto nell’opera citata; a suo parere Darwin, il quale ha tenuto testa a Dio non meno di Giacobbe e di Giobbe, è più vicino a ciò che di positivo l’idea di Dio contiene per gli uomini di quanto non lo siano i detrattori della sua teoria.
Se si tien presente questo ritorno (anche se vincolato) di Dio, i conti possono in gran parte tornare per la teodicea: sia per la creazione, sia per la predazione, sia per il male morale dovuto al libero arbitrio: è una libertà quasi totale per il bene e per il male. Visto il tutto in chiave evolutiva (Darwin è più da ringraziare che da maledire!), senza la possibilità del male morale (che andava però evitato, o perlomeno sconfitto e superato), meglio senza una libertà incondizionata noi non ci saremmo, o non saremmo uomini. E pure senza la pressione selettiva della predazione in natura non ci sarebbe l’uomo. Ma l’homo sapiens pure non ci sarebbe stato senza un contenimento della violenza, senza la riduzione/affinamento dell’attività venatorio-predatoria, grazie anche ad una “umanizzazione” dell’allevamento, eliminando il dolore fisico animale sia in itinere che in vista della macellazione.
Abisso tra prima e dopo
È stato l’irrompere e la proliferazione della violenza interna (che certo si è anche perpetrata sul creato) che ha rovinato il tutto, sino ad Auschwitz come emblema di tutta la malvagità umana. Andando forse oltre Darwin, l’evoluzione determina una cerniera, una cesura significativa tra prima e dopo l’avvento dell’uomo. È il mondo pre-storico, sino all’alba dell’uomo, che semmai può essere definito con Leibniz il migliore dei mondi possibili (o il meno peggio): o comunque un buon compromesso, se non una soluzione ottimale, nonostante ad es. l’aspetto agghiacciante della predazione dei cuccioli. E l’accento va su “possibili”, data la serie di vincoli e restrizioni della vita terrestre: ricambio continuo delle cellule, metabolismo che necessita di cibo, impossibilità di avere solo erbivori ecc.
Invece il mondo storico, costruito dall’uomo, data la presenza del male morale (che andava però assolutamente evitato) non è certamente il migliore dei mondi possibile. Il fatto che il mondo evolutivo pre-storico o pre-umano fosse predisposto a produrre la vita, con tutti i suoi costi e in tutte le sue mirabili varianti, non significa affatto che tutto fosse già scritto, preordinato per il meglio, che tutto sia provvidenzialmente retto per il bene. In tale ambito si arriva a pensare sia l’evoluzione e sia la storia biblica sulla falsariga di un'opera teatrale, di una recita col copione già scritto, togliendo serietà sia alle nostre scelte che a quelle di Dio (entrambe rischiose). Proprio l’opera scientifica di Darwin, una delle conquiste culturali più importanti dell’umanità, ci fornisce gli strumenti cognitivi grazie ai quali possiamo abbandonare il suddetto impianto di creolina, in cui Dio e la sua (presunta) verità stritolano prima la biosfera e poi la storia. La libertà del sistema è pressoché totale, prima e dopo. Quindi non solo la storia umana avrebbe potuto percorrere altre vie (con una drastica riduzione del male morale; il male naturale sarà oggetto del prossimo articolo), ma anche la storia della vita pre-umana avrebbe potuto infilare altre strade: non si dà alcuna «forma sostanziale» pre-determinata, nessun modello originario, nessun archetipo precostituito. L’essere personale sarebbe potuto emergere anche dalla linea dei delfini o dei pinguini…
Il modo migliore per celebrare il naturalista inglese è forse quello di continuare a lottare con Dio per lasciarsi alle spalle la teologia naturale di stampo creazionista. E Dio non può non apprezzare la sincerità e l’onestà intellettuale dei suoi servi (da Giacobbe a Giobbe, da Darwin al Foglio).
Mauro Pedrazzoli
(continua)
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