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Il proverbio «dalla padella alla brace» potrebbe fare da titolo o sottotitolo per qualsiasi articolo dedicato al passaggio dal governo Prodi al governo Berlusconi. In sostanza è giusto riconoscere che la prima responsabilità della vittoria clamorosa delle destre alle ultime elezioni è frutto della dissennata gestione politica che la sinistra ha fatto delle sue due biennali esperienze di governo (1996-1998; 2006-2008), non solo e non tanto per i provvedimenti presi o rinviati, ma per la palese dimostrazione della propria rissosa incapacità di governare, legata anche alla formula onnicomprensiva delle alleanze e ai limiti numerici delle maggioranze ottenute dagli elettori. Ma ciò che aggrava la cosa è poi che essa non sembra aver preso coscienza alcuna di ciò neppure dopo la terribile mazzata. Anche come opposizione, infatti, la sinistra, moderata ed estrema, continua a litigare, dividersi e fare tutto meno che progettare linee operative di riforma, e offrire agli italiani un progetto di rinnovamento economico e sociale credibile.

Detto questo, la presa di coscienza che nella «brace» si sta peggio che nella «padella» è purtroppo doverosa. Infatti al di là delle questioni di legalità e legittimità, messe in luce dall'editoriale scorso e dai numerosi articoli da noi pubblicati, resta il fatto che le prime iniziative politiche di riforma economica e sociale proposte e realizzate per decreto da questo governo, sono tali da far rimpiangere qualsiasi governo successivo alla nascita delle repubblica. Tutto è fatto e sbandierato dai ministri berlusconiani, spesso scelti per pura garanzia di fedeltà e sudditanza al capo, col solo scopo propagandistico di fare colpo, di attirare superficiali consensi. La ricerca del rumore mediatico è finalizzato a nascondere o l'inefficacia reale dei provvedimenti o la loro vera natura anti-popolare.

Giustamente persino settimanali moderati come «Famiglia cristiana» hanno denunciato i pericoli di ritorno al fascismo o almeno di incitamento all'odio razziale e all'intolleranza dei provvedimenti presi a difesa dell'ordine pubblico, da Maroni e dai vari rappresentanti della Lega e di Alleanza Nazionale, contro Rom, stranieri in genere e ogni cittadino che si trovi nella povertà estrema. Se ne vedono ogni giorno i frutti anche nell'aumento dei delitti a sfondo razziale e dei gesti di violenza contro gli indifesi.

Ma al di là della questione giustizia, anche alcuni provvedimenti squisitamente economici, come la detassazione generalizzata dell'Ici per la prima casa, o sociali, come le linee di riforma della scuola pubblica (col maestro unico, la riduzione delle ore e degli anni di studio), hanno come fine la riduzione della spesa pubblica nei soli settori dei servizi e dell'assistenza, senza alcuna preoccupazione di quanto questo peserà sulle classi più povere. Senza gettito Ici i comuni ridurranno i servizi e non taglieranno certo le spese clientelari, ma quelle sociali.

In questo senso la scelta di politica economica di questo governo è chiarissima, dal momento che ha lasciato cadere ogni sbandierata ipotesi di taglio delle spese politiche improduttive, quali abolizione delle province, taglio del numero dei parlamentari e dei deputati regionali e limitazione ai finanziamenti ai giornali di partito, che si moltiplicano soprattutto a destra. La stessa legge per la riforma regionale, che è per ora niente più che una bandierina offerta a Bossi per rallegrare feste e riti padani di fine estate, lascia prevedere in tal senso più possibili aumenti che riduzioni di spesa. Cosa che si configura ormai come quasi inevitabile per la soluzione del caso Alitalia, che se si chiuderà sarà a costi altissimi per l'erario e dubbi vantaggi per la cordata di industriali e finanzieri raccattati a forza da Berlusconi.

Che dire, poi, dei cosiddetti provvedimenti per lo svuotamento delle carceri e per la liberazione delle strade dal penoso spettacolo della prostituzione? Alcuni ministri sono oggi donna, non sappiamo se per il sacrificio fatto o semplicemente perché chiamate a prendere provvedimenti che avrebbero colpito soprattutto le donne, le maestre elementari, le madri di famiglia, che si troveranno senza assistenza scolastica per i figli, e le prostitute che rischiano il carcere se non ritornano a forme, più o meno palesi, di sfruttamento collettivo da parte di qualche privato organizzatore di case chiuse.

I rappresentanti dei cosiddetti partiti della libertà non fanno altro, dai ministri giù giù fino ai sindaci, che promettere carcere, multe, promulgare divieti, che ridurrebbero i cittadini a una vera e propria condizione di «libertà vigilata», lasciando peraltro impuniti i reati, soprattutto tributari e le illegalità finanziarie e venendo incontro a un bisogno viscerale di ordine a tutti i costi. Il tutto in nome della sicurezza e della tolleranza zero. Se in pratica la maggior parte di questi provvedimenti non fossero che fumo negli occhi, lanciati là per propaganda, ma senza vera possibilità di concretizzarsi, per palese irrealizzabilità pratico-operativa, tra poco la vita dei cittadini normali sarebbe resa così difficile che l'Italia potrebbe ritornare di nuovo paese di emigrazione come prima e durante il fascismo. Già lo è per i laureati migliori, che non trovano sbocco nell'Università e nella ricerca e sono costretti a lavorare all'estero.

Intanto il paese sta diventando invivibile per gli emigrati e anche per i cittadini italiani «diversi», visto che basta avere l'aspetto di stranieri, tanto più se di colore, per essere sprangati, e gay per essere bastonati. E la causa è facile da trovarsi: basta assistere ad un pubblico raduno della Lega, alle dichiarazioni pubbliche di ministri, sindaci, deputati di questo partito, ma anche dell'ex-Alleanza nazionale, dichiarazioni mai stigmatizzate dai cosiddetti moderati dell'ex-Forza Italia.

È questa l'Italia della libertà e della felicità che Berlusconi dice di avere realizzato nei suoi primi cento giorni di governo, l'Italia finalmente pacificata e tornata all'ordine di cui si rallegrava il papa? Legittimo o illegittimo che sia, questo governo è un governo da combattere in tutti i modi leciti possibili, anche con ben mirate azioni di disobbedienza civile e di opposizione democratica. Ogni collaborazione acritica sarebbe connivenza non solo da parte dei diversi partiti politici di opposizione, ma da parte di ogni istituzione o gruppo sociale che ami e difenda la giustizia e la libertà. In questo senso dai vertici della chiesa, che hanno fatto di tutto per distruggere la presenza libera dei cattolici in politica, salvo piangere poi lacrime da coccodrillo, c'è ben poco da attendersi. Promette qualcosa di diverso la base, l'insieme dei cristiani comuni?


 
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