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 356 - PATRIA E BUONA FEDE

 

ALTRO CHE MEMORIA CONDIVISA...

 

Mentre il presidente della Repubblica ricorda i soldati italiani che dopo l’8 settembre rifiutarono l’adesione a Salò e furono internati in Germania, nella stessa manifestazione il ministro della difesa dichiara che anche i combattenti della Repubblica fascista vanno onorati perché «pensavano in buona fede di difendere la patria».

 Urgono chiarimenti: sull’idea di patria, anzitutto. Scriveva Piero Calamandrei poco tempo dopo la caduta del regime: «la sensazione provata in questi giorni si può riassumere, senza retorica, in questa frase: si è ritrovata la patria…» (la patria degli uomini liberi nasce quando muore la patria dei nazionalisti). E Carlo Azeglio Ciampi, nel messaggio di capodanno del 2001, concludeva: «si avverte negli italiani un desiderio di patriottismo che, per fortuna, si accompagna anche alla consapevolezza  di appartenere alla più grande patria europea…. Questa riscoperta può essere una risorsa importante per la coscienza civile della classe dirigente e dei cittadini, se sapremo dare alle parole patria e amor della patria il loro significato migliore».

È la patria che ha come valori fondanti la Costituzione, la Resistenza e l’Europa che già Carlo Rosselli e altri fuorusciti preconizzavano negli anni ’30, quella che non si misura a frontiere e cannoni, ma coincide col nostro mondo morale e con la patria di tutti gli uomini liberi, guarda agli altri popoli come popoli di uguale dignità con i quali operare per il bene dell’umanità’, per affermare i valori della libertà, giustizia, cultura, lavoro.

C’è poi una patria, antitetica a questa, e che ha contribuito non poco al discredito della stessa di idea di patria in Italia: quella che si incarna nello Stato «in quanto promotore della guerra, che genera le nazioni» (Dizionario di politica del partito fascista, 1940), quella che è «volontà di potenza, attaccamento alla nazione, alla razza, difesa della propria razza» (Alfredo Rocco), «sviluppo crescente delle qualità della razza per una vittoria progressiva sulle razze rivali» (F. T. Marinetti).

 

Assediati dal revisionismo

Un contributo di grande chiarezza e approfondimento su questi temi è stato dato dallo storico Maurizio Viroli, con il suo testo Per amore della patria apparso nel lontano 1995 (e più volte ripreso in articoli e rubriche su «La Stampa» negli anni dal 2001 al 2005), il quale afferma che «il patriottismo non autorizza, né impone di giustificare i vizi o le colpe della patria, così come l’amore di una madre o di un padre per i figli non permette di attenuare le loro colpe. Molti credono ancora che essere patrioti vuol dire giustificare, assolvere o far finta di non vedere il male che noi italiani abbiamo fatto a noi stessi e ad altri popoli» («La Stampa», 14 settembre 2003). È proprio quello che sta accadendo con le interpretazioni revisioniste e riduzioniste del ventennio, si veda (ultima di una lunga serie) la recente uscita del sindaco di Roma su fascismo e leggi razziali.

Anche sul concetto di buona fede c’è poi da ridire. Sentiamo un testimone, Mario Fazio (nato nel 1924): «Il 18 settembre ’43 da Radio Monaco Mussolini, con voce stanca e quasi irriconoscibile, proclama la nascita della repubblica fascista … ma già il 12 un editto del maresciallo Kesselring aveva chiarito: “Tutto il territorio italiano da noi occupato è territorio di guerra e sottoposto alle leggi di guerra germaniche”. Dunque i ragazzi che sceglievano Salò non si arruolavano in un esercito autonomo, destinato a far “rinascere la patria” e a riscattare l’onore perduto, ma in un esercito fantoccio sotto le leggi militari germaniche, agli ordini degli occupanti [che nel frattempo un pezzo di patria l’avevano direttamente annesso al Reich: Trentino-Alto Adige e Adria Küstenland, cioè la provincia di Belluno e tutto il Friuli]. Pur giovanissimi – continua questa testimonianza accorata – non eravamo tutti così sprovveduti da credere che scegliendo Salò si contribuisse a far “rinascere la patria”. Occorreva un forte residuo di misticismo nazifascista per arruolarsi a fianco delle SS in un’armata alle dipendenze di Hitler. Dopo la chiamata alle armi, tentai la fuga in Svizzera e venni respinto. Tornai ad Alassio e scelsi la clandestinità passiva. Non ebbi la forza di salire in montagna e me ne rammarico da 60 anni. “Scelta comoda e vile”, ha scritto un ex ragazzo di Salò. Fu invece una scelta secondo coscienza, che comportava rischi gravissimi, minimo la deportazione, ma i renitenti rischiavano anche la fucilazione. C’era chi faceva la spia per incassare le 5 mila lire e i 5 chili di sale promesso dai fascisti, come per chi denunciava un ebreo» (M. Fazio, La cosa giusta, «La Stampa», 14 settembre 2003).

Insomma: l’unica possibile memoria condivisa resta il riconoscersi nella Costituzione repubblicana, e giudicare il passato alla luce dei suoi valori. «Purtroppo non tutti lo fanno», ha detto recentemente, con amarezza, il capo dello Stato.

 

Pier Luigi Quaregna

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