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 331 - L’ALTRA STORIA/2

Fratelli d’Italia

 

Continuando quanto scritto su il foglio 330, occorre ribadire che, lungi dall’essere una morbosa dissacrazione del patriottismo, quel che segue intende mostrare quanto fragili siano le basi su cui si fonda un certo genere di patriottismo. Al patriottismo retorico, guerresco, spesso intriso di bugie, occorre sostituire un amore per la nostra patria basato su dati veritieri, sull’impegno concreto: pagare le tasse, aiutare chi ha bisogno, difendere l’ambiente (il sacro suolo), lavorare per la pace.

Nell’Italia ottocentesca, sembra invece che i conflitti vertessero solo su parole d’ordine tipo: pro o contro l’indipendenza, pro e contro l’Austria, monarchici contro repubblicani, clericali contro anticlericali. La lotta contro la miseria e le stridenti disuguaglianze sembra non appassionasse gli animi più di tanto. Le aspirazioni delle masse dei poveri sembrano assenti negli infuocati dibattiti della borghesia. Centocinquant’anni dopo la nostra sensibilità appare diversa. Forse queste considerazioni ci possono aiutare a capire i nostri contemporanei del Sud del mondo.

 

La carica dei codini

Sconcertante, ai nostri occhi moderni, è l’odio che divideva clericali e anticlericali. «Casale, 27 gennaio. Ieri sera uno sconosciuto entrò in una libreria, fu veduto da alcune persone e si suppose fosse un Gesuita travestito; la supposizione passò di bocca in bocca, talché cinquecento e più persone circondarono la bottega del Libraio, gridando parole di minaccia al Gesuita; non valsero le parole di persone autorevoli e si dovette far fuggire lo sconosciuto per la porta di dietro» (La Concordia, 29/1/1848).

A Voltri scoppia un tumulto contro i liberali, promosso da alcune donne «tenere del loro arciprete che a forza di indulgenze e di medaglie assicurava loro il paradiso. Queste nuove Carlotte Corday fanatizzarono la ciurma che alle grida di abbasso i liberali, e morte ai nemici dell’arciprete, invase il caffè detto dei liberali creduto forse un club di sans culottes minacciando d’arderlo; invase le scuole gettandone dalle finestre i mobili, assiepò la casa del medico … sforzandosi di atterrarne le porte e volendone ad ogni costo la testa (sic) … La civica (10 o 12 uomini) fu disarmata, gli schioppi infranti. Si spedì la cavalleria cittadina, e più tardi 300 soldati di linea e due obici» (La Concordia 18/4/1848).

La disfatta di Novara è attribuita principalmente al tradimento dei codini. «Il mezzo principale fu la religione abusata del nostro soldato. Domandatene agl’intelligenti e vi diranno: “Il confessionale de’ preti cattivi fece tutto!”… Ho veduto il sorriso di Giuda nelle vie – nei caffè – nelle piazze. Aveva lavorato per tanto tempo questa gente del sorriso, con tanta pertinacia, che non c’è da stupire che senta ora il dolce del frutto di tante fatiche … Aveva ragione di sorridere col sorriso di Giuda chi per tanti mesi aveva sordamente minato l’onore piemontese, chi aveva fatto dimenticare al soldato d’essere uomo d’onore … La battaglia di Novara ha messo di buon umore i codini: balli, feste più che di carnovale; i confettieri riempiono il borsello. La codineria ha creduto ormai poter gittare il manto della ipocrisia e lasciarsi vedere a spalle nude, sfacciata cortigiana del croato» (Gazzetta del Popolo, 29 - 30/3 - 3/4/1849).

Poi venne il cosiddetto “decennio di preparazione”: guerra di Crimea, congresso di Parigi, accordi di Plombières con la Francia di Napoleone III. La storia che si compiace dei pettegolezzi di corte attribuisce il merito dell’alleanza anche alle grazie elargite a Napoleone dalla bellissima Contessa di Castiglione. La realtà appare, ai nostri occhi, ben più squallida. Come avrebbero ricordato i giornali in occasione della morte dell’infelice principessa, l’accordo fu favorito in modo determinante dal «sacrificio per la Patria» di Maria Clodilde, figlia non ancora sedicenne del Re Galantuomo, costretta a sposare (in chiesa, naturalmente!) il libertino cugino dell’imperatore, di 21 anni più anziano. La Stampa del 26/6/1911 riporta le seguenti espressioni del “Tessitore” Cavour: «Ho scritto con calore al Re, pregandolo di non porre a cimento la più bella impresa dei tempi moderni per alcuni scrupoli di rancida democrazia … La Storia ci insegna che le principesse sono votate a una ben triste esistenza». Una tale “vendita” di una ragazzina ora figurerebbe nella pagina di cronaca nera.

Durante la (finalmente) vittoriosa campagna del 1859, scoppia a Perugia una rivolta contro lo Stato Pontificio, soffocata nel sangue: «I soldati dei preti hanno di gran lunga superati i fasti dei soldati austriaci … Ci viene da Firenze, e da fonte sicura, questo orribile inventario di scelleraggini commesse in Perugia dai masnadieri al soldo della S. Sede ... Al ponte S. Giovanni ucciso il garzone dell’Angeletti: due altri squartati e gettati nel Tevere. Di faccia allo spedale uccisa la figliola del Crociati ... A porta S. Croce uccisi due portieri ai quali per dileggio, poi che furono morti misero in bocca zolfini accesi … Uccisa la figlia del capitano Polidori, quinquenne. … Una bambina lattante fu strappata dalle braccia della madre, e gettata nel Tevere» (Gazzetta del Popolo 27/6/1859). Il quotidiano cattolico L’Armonia (25/6/1859) fornisce la seguente versione: «Ma checchenessia degli eccidii di Perugia, noi diciamo che essi non devono imputarsi al Governo pontificio. Oggidì Roma, e tutto lo Stato Pontificio, è nelle mani dell’esercito francese… Il Papa e il suo Governo sono fuori di causa in questo fatto». L’attribuzione ai francesi delle pretese atrocità è probabilmente un tentativo di mettere zizzania nell’alleanza militare con l’Imperatore. Ma due giorni dopo, L’Armonia fornisce un’altra versione: pur smentendo l’uccisione di donne e di inermi, informa che «una colonna di truppa, comandata dal colonnello Schmit, secondo gli ordini ricevuti, dopo un combattimento di tre ore, penetrò da tre diversi punti nella città e vi ristabilì il Governo legittimo con soddisfazione dei buoni». Il Santo Padre, dopo avere promosso il colonnello a generale, «ha ordinato che si facessero i dovuti elogii alla truppa che prese parte a questo fatto, e che così bene si distinse».

 

Mille, e ancor più Mille

Finalmente la spedizione dei Mille! Ma erano davvero mille? Citando il Globe, la Gazzetta di Torino (21/5/1860) così si esprime: «Ci è stato detto che circa 2000 uomini erano stati gittati nella città [Marsala, ndr] e che se ne aspettavano ancora di più; tutti desideravano di trovarsi di fronte alle truppe napoletane. Sembravano essere quasi tutti belli uomini, atletici … Gli abitanti della città hanno accolto Garibaldi e i suoi partigiani a braccia aperte».

Ma altri sbarchi, veri o presunti, erano temuti o sperati due anni più tardi in Sicilia. La confusione è al colmo, segno del panico che regnava nell’Italia appena fatta. Sbarchi di borbonici? Di spagnoli non meglio identificati? Una contro-spedizione dei Mille? Oppure sbarchi di bersaglieri per sedare una rivolta? «Siamo con la insurrezione in Sicilia! La sera del 2 il governo era avvertito da un telegramma di uno sbarco numerosissimo in Castellammare. La notte stessa due compagnie di bersaglieri erano spedite a quella volta. La fregata non poté accostarsi alla spiaggia, ove trovavansi collocati due obici, e per due ore dovette tenersi a distanza. Bisognò farsi venire l’Ardita, bombardiera, da Trapani, la quale poté far tacere quei due pezzi ed eseguire lo sbarco. Appena la prima barcaccia pose una squadra di bersaglieri a terra, una scarica micidiale si eseguisce da quei manigoldi appostati su di un poggetto soprastante. La truppa eseguisce lo sbarco e occupa militarmente la città. La massa del popolo in Sicilia non ha guadagnato nulla dopo la rivoluzione. Parte per la leva, parte per timore di nuovi dazi ed è pronta a seguire qualunque bandiera… Si assicura aver avuto luogo a Castellammare un numeroso sbarco di spagnoli. Due vapori carichi di feriti provenienti da Palermo sono passati per Napoli e subito spediti a Genova» (L’Armonia, 11 - 22/1/1862). Un altro quotidiano (L’Opinione, 9/1/1862) afferma: «Una buona parte degli usciti alla leva levatasi a sommossa ed assalita la casa del comandante della guardia nazionale, uccideva prima la figlia e poi il comandante medesimo. Or noi siamo lieti di smentire le voci corse di sbarco di borbonici in Castellammare». Il 31/1/1862 viene annunciato uno sbarco di briganti a S. Benedetto (L’Opinione).

Alcuni mesi dopo si ha un’altra spedizione, questa volta reale e non immaginaria, quella di Garibaldi intenzionato a rinnovare l’impresa dei Mille non più seguendo il programma «Italia e Vittorio Emanuele», ma al grido più sovversivo di «Roma o morte». Tutto finisce in Aspromonte: «Garibaldi coi suoi stava entro la foresta. Le truppe regie sono accolte a fucilate, si impegna la lotta; una colonna della truppa gira il fianco sinistro dei garibaldini e li minaccia anche da tergo; i volontari sono in rotta. Il colonnello Pallavicini sventola il fazzoletto bianco, si sospende il fuoco e un parlamentario si presenta a Garibaldi. Egli era ferito: veduto il parlamentario, prese un revolver per fargli fuoco addosso, e gli venne strappata l’arma di mano dai suoi che gli erano a fianco. Allora, calmatosi un poco, chiese a quali condizioni si doveva trattare. A nessuna, rispose il parlamentario, resa completa e a nessun patto. – Ebbene, ricominciamo il fuoco, disse Garibaldi: ma ciò era impossibile perché il suo campo era tutto in disordine e circondato dalle truppe, quindi dové piegare il capo e cedere alla fortuna. In tale guisa cadde quest’uomo che reputavasi semideo. Egli che credeva sollevare con una voce intere nazioni non raccolse intorno a sé più di 3 o 4 mila uomini fra tutta Italia» (Gazzetta del Popolo, 7/9/1862).

E infine abbiamo la grande sollevazione popolare (quante decine di migliaia?) fatta passare per “brigantaggio”. Prendendo solo in esame il mese di gennaio del 1862, ecco lo stillicidio delle stragi:

da L’Armonia:

4 gennaio – 35 briganti uccisi;

11 gennaio – 16 soldati uccisi grazie alla complicità dei contadini; altri 6 cavalleggeri e 16 briganti uccisi;

14 gennaio – 27 briganti fucilati e 32 bersaglieri uccisi;

22 gennaio – 80 cavalleggeri uccisi dopo un assalto di 800 briganti.

da L’Opinione:

3 gennaio – 91 briganti arrestati;

8 gennaio – 6 briganti uccisi;

12 gennaio – 26 briganti uccisi;

18 gennaio – 7 briganti uccisi, 2 fucilati;

28 gennaio – 400 briganti imprigionati;

31 gennaio – 150 briganti marciano su Brindisi.

Questi terribili fatti sono per lo più riportati in poche righe: era normale amministrazione.

Le notizie possono essere false per eccesso o per difetto; vero è il modo spietato con cui vengono comunicate al pubblico, segno di una sensibilità morale di gran lunga inferiore alla nostra.

Dario Oitana

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