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società
UNA TRAGICA ASSUNZIONE DI RESPONSABILITÀ
Prendiamo esplicita distanza dal linguaggio violento e aggressivo con cui è stata attaccata la conferma della sentenza della Cassazione (peraltro esauriente e ben calibrata, vedi il box), con le successive vicende di ammissibilità o meno dei ricorsi, dato che su temi tanto delicati occorrerebbero toni rispettosi e misericordiosi. |
Anche da parte dei vertici ecclesiastici romani sono stati proclamati veri e propri diktat, apodittiche e assolutistiche dichiarazioni di principio (che sono altra cosa dai grandi e fondamentali principi ispiratori della bioetica). Con le tecniche moderne di rianimazione non esiste una (naturale) obbligata prosecuzione inerziale, per cui bisogna comunque decidere, vuoi in un senso vuoi nell’altro, in un processo di assunzione di responsabilità.
«In una situazione cronica di oggettiva irreversibilità del quadro clinico di perdita assoluta della coscienza, può essere dato corso, come estremo gesto di rispetto dell’autonomia del malato in stato vegetativo permanente, alla richiesta, proveniente dal tutore che lo rappresenta, di interruzione del trattamento medico che lo tiene artificialmente in vita, allorché si appalesi quella condizione, caratterizzante detto stato, di assenza di sentimento e di esperienza, di relazione e di conoscenza - proprio muovendo dalla volontà espressa prima di cadere in tale stato e tenendo conto dei valori e delle convinzioni propri della persona in stato di incapacità - in mancanza di qualsivoglia prospettiva di regressione della patologia, lesiva del suo modo di intendere la dignità della vita e la sofferenza nella vita» (dalla premessa della sentenza del 16.10.2007, n. 21748, della Cassazione civile, sez. I).
La stessa nota dei vescovi nella fattispecie potrebbe suonare: «Eluana è e sarà amata da Dio, con la riserva escatologica che la sua vita non andrà perduta». Il che di per sé, in prima istanza e a prima vista, non sembra deporre né pro né contro la sospensione dei trattamenti medici. Il vangelo chiama alla responsabilità etica, senza contenere direttive preconfezionate per es. relative alla morte corticale (cioè della corteccia cerebrale, con perdita irreversibile di coscienza, conoscenza, relazione, esperienza e sentimento).
Invece i nostri vescovi, anziché annunciare il vangelo, preferiscono disquisire e dissertare di filosofia della medicina, definendo una «menzogna» il fatto che alimentazione, idratazione e ventilazione sarebbero terapie o cure: a loro parere quindi l’alimentazione-idratazione non può essere sospesa, come invece è ammissibile fare per le cure terapiche. Quand’anche fosse, non ci sono dubbi (confermato dall’amico e abbonato al foglio dott. Furio Bouquet, ex-primario di neuropsichiatria infantile nonché ex-direttore sanitario e membro del comitato di bioetica dell’ospedale Burlo G. di Trieste) che l’alimentazione parenterale è un atto medico, che quindi rientra perfettamente nei trattamenti che si possono sospendere secondo la sentenza della Cassazione (sul piano del diritto) e secondo una bioetica non ideologizzata (sul piano morale).
Disinformazione tendenziosa
Più in generale, nel panorama pubblico italiano, ci sconcerta l’imprecisione linguistica e la tendenziosità male informata: è scorretto parlare di «omicidio» e di «condanna a morte», come pure tirare in ballo l’eutanasia, che non c’entra perché si tratta di sospendere i trattamenti medici. Si tocca altresì la corda emotiva del «morire di fame», che insinua o dice chiaramente che ciò comporterebbe delle atroci sofferenze. Ma è assolutamente falso: già risulta sufficientemente chiaro che senza alimentazione ci si spegne «come una candela». Per quanto invece concerne la cessazione dell’idratazione, facciamo nostre le parole del senatore Ignazio Marino, medico e cattolico, che ci sembra una persona saggia e competente: «Al di là delle legittime posizioni personali in proposito e del valore simbolico che la nutrizione (mangiare e bere) hanno nell’immaginario collettivo, vorrei che il dibattito sulla fine della vita si basasse su informazioni scientificamente corrette, in modo che i cittadini possano consapevolmente formarsi un’opinione. La letteratura clinica di tutto il mondo è chiara: non solo la sospensione dell’idratazione non comporta sofferenze per il paziente, ma può stimolare il rilascio di endorfine e composti biologici dall’effetto anestetico che favoriscono un senso di benessere nel paziente. Questa è l’opinione dell’autorevolissimo Nih, il National Institute of Health, e delle grandi riviste internazionali di medicina, e contraddice chiaramente ciò che sostengono alcuni giornalisti e politici poco informati» (presente in vari siti del Web).
Un alto esponente dei vertici vaticani l’ha definita una scelta «tragicamente sbagliata». Dovrebbe però almeno precisare se afferma questo sulla base della fede cristiana (nel qual caso non può essere imposta alla società intera), oppure in nome di una presunta legge o diritto naturale, relativo al cosiddetto «morire naturale», che è assolutamente impossibile definire. Se si fosse infatti «lasciato fare alla natura» in senso drasticamente letterale, Eluana sarebbe morta 17 anni fa. Non è successo perché siamo stati noi ad attivare e conservare una condizione che purtroppo è rimasta allo stato vegetativo; o meglio il sapere medico, nel tentativo estremo di salvarla, ha avviato trattamenti rianimatori e terapeutici, confidando in una sua ripresa. Perché non si può sospendere, senza essere etichettati come «assassini», quello che nell’arco di 17 lunghi anni, senza colpa alcuna di chicchessia, non ha raggiunto il suo scopo benefico?
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Nessuno si è posto una domanda: chi ha condannato Eluana al coma vegetativo? Ogni volta un accenno: un incidente stradale. Una fatalità. Ma, per la stragrande maggioranza dei casi, gli incidenti stradali (che producono ogni giorno gravissime invalidità) hanno cause ben precise: da una parte, i responsabili diretti; dall'altra, una folla di "mandanti" (spacciatori del mito della velocità, criminalizzatori delle multe, ecc.). Che cosa possiamo fare per ridurre i casi in cui una persona passa da una condizione di salute, gioventù, speranza in un futuro in cui avrebbe percorso le varie fasi di una vita umana... a una condizione di coma vegetativo? Certo ci si può ridurre così anche per altri motivi... ma, per quanto dipende da noi, dobbiamo fare il possibile per far sì che forse molte persone ogni anno (e le loro famiglie) siano sottratte a un tale orribile destino. E mentre il problema del «fino a che punto curare», di cui giustamente si parla, è eticamente discutibile, questo è uno scopo eticamente indiscutibile. E nessuno se ne fa carico.
d. o.
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