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 3 [dicembre] - I RACCONTI DELL’INFANZIA 1/5

 

PREMESSA

 

Una serie cospicua di dati importanti, posti qui all’inizio per non appesantire poi il testo in sede di analisi/discussione/interpretazione.

 

A)   Nell’ambito della storia delle religioni, come spiega bene la quarta edizione della RGG, l’opera monumentale in più volumi “Religion in Geschichte und Gegenwart” (“la Religione ieri ed oggi”, lett. ‘La religione nella storia e nel presente’), alla voce “Jungfrauengeburt” (nascita verginale), colonne 705-708, - nei miti di tutti i popoli è pluriattestata la concezione/nascita verginale senza padre/paternità. Anche in Cina, dove non solo i grandi re o imperatori ma pure i filosofi (!) a volte sembrano godere di questo privilegio. Attenzione, perché la cosa non è esente da rischi, in quanto escludere la paternità del marito/fidanzato può risultare denigrante per la giovane donna/sposa, come, almeno nella visione tradizionale, il caso di Maria nel primo pensiero di Giuseppe in Mt 1,18-19 il quale voleva licenziarla in segreto.

Quindi nel contesto religioso universale è abbastanza comune la “vergine” come madre del fanciullo ‘divino’: attenzione anche qui, poiché siamo noi che traduciamo in via preferenziale con “vergine”, ma potremmo anche renderla con ‘giovane’, ‘giovane donna’ o ‘ragazza’.

Tanto è vero che non è facile stabilire di volta in volta se la “vergine”- madre sia chiamata tale perché ha concepito il bambino senza rapporto sessuale, o solo perché è stata vergine fino al concepimento, o semplicemente perché è giovane (in questo caso dovremmo tradurre con “giovane”- madre). Ciò vale anche e soprattutto per il punto F, più sotto.

Nel NT la concezione verginale è tutta concentrata, diciamo per ora, nei due unici passi di Mt 1,18-25 e Lc 1,26-38. Non ci sono altri passi né nel resto del NT, né nel resto dei vangeli, né nel resto dei racconti dell’infanzia al di fuori dei due passaggi suddetti. La stessa Betlemme, al di fuori dei racconti dell’infanzia, è menzionata solo in Gv 7,42, ma come obiezione nei confronti di Gesù e non come dato reale: «Il Cristo viene forse dalla Galilea? Non dice forse la Scrittura che il Cristo verrà dalla stirpe di Davide e da Betlemme, il villaggio di Davide?». Ma su Gv 7,42ss ritorneremo prima delle conclusioni finali. Quindi, mentre la discendenza davidica di Gesù è attestata anche fuori dai racconti dell’infanzia, essendo antica e diffusa in numerosi strati della tradizione neo-testamentaria, Betlemme lo è solo in tali racconti; la filiazione davidica non è un theologûmenon come la nascita a Betlemme (Meier 216).

 

B)   Il quarto vangelo ad es., mentre ricorda in 1,45 e 6,42 la figura e il nome di “Giuseppe”, non menziona mai il nome “Maria”, pur parlando varie volte della “madre” di Gesù: e sotto la croce menziona addirittura il nome delle altre due Marie (Maria di Cleofa e di Magdala) ma non quello della madre di Gesù. Inoltre, mentre è comprensibile che il primo vangelo ad essere scritto (Marco) ignori la concezione verginale, non lo è tanto il fatto che resti ignota all’autore (autori) del tardivo, molto tardivo quarto vangelo; in prima istanza sono aperte tutte le possibilità: che non la conosca, o che la consideri ovvia, oppure che  la ritenga inadeguata alla propria cristologia. Ma ritorneremo sulla lettura, singolare o plurale, del versetto 13 del prologo.

In ogni caso, per tutta una serie di considerazioni di critica letteraria e storica (cfr. Meier vol. primo), Maria comunque non può essere la fonte “diretta” dei racconti dell’Infanzia, che sono una costruzione eminentemente teologica, una anticipazione/prolessi di ciò che sarà il Gesù adulto. Marco 6,14-16 riporta le dicerie circa il fatto che Gesù sia Giovanni Battista risuscitato dai morti, tanto che lo stesso Erode (Antipa) ci credeva: «Quel Giovanni che io ho fatto decapitare è risuscitato» (v.16); la credenza del tetrarca della Galilea è confermata anche da Matteo 14,2, mentre in Luca 9,9 Erode è più concreto: «Giovanni l’ho fatto decapitare io; chi è dunque costui.…».

Certo che per Marco Gesù è il Nazareno (detto più volte), e sembra che per Marco sia nato lì: in Mc 6,1-3 (su cui ritorneremo, dove si parla ad es. dei fratelli, coi loro nomi, e delle sorelle di Gesù) Nazareth  è indicata come la sua patria, come sua regione/paese natale; non mostra di sapere che Gesù è nato altrove! Ancor di più: allo stadio antico e contemporaneo di tali dicerie, le voci secondo cui Gesù era il Battista redivivo presuppongono che la provenienza e a maggior ragione il luogo della sua nascita fossero ancora sconosciute (così Theissen-Merz 1, a p. 130 in maniera perentoria, mentre Brown, pur vedendo il problema e non escludendolo, è più propenso a ritenere che la diceria non basti a suffragare la tesi sostenuta). Ma in Luca 9,9 Erode, tetrarca della Galilea, non conosce e non sa da dove viene il galileo Gesù di Nazareth! Esisteva quindi probabilmente uno stadio arcaico in cui le origini di Gesù erano ignote! Altro che memoria storica!

 

C)   Mentre abbiamo la triplice attestazione sinottica circa il fatto che giunsero sua madre e i suoi fratelli e, stando fuori, lo mandarono a chiamare (Mc 3,31, Mt 12,46, Lc 8,19), solo in Marco 3,21, all’inizio della pericope leggiamo: «Allora i suoi (familiari), sentito questo, uscirono per andare a prenderlo, poiché dicevano: “È fuori di sé”». Tale atteggiamento di considerare Gesù matto, è confermato parzialmente da Gv 7,5: «Neppure i suoi fratelli credevano in lui». Che la famiglia di Gesù avesse, come minimo, un rapporto teso con lui, mentre era ancora in vita, è quasi sicuramente un fatto storico; il che collide parzialmente (almeno indirettamente) con la concezione verginale: lasciando perdere i fratelli di Gesù, se non altro Giuseppe e Maria, qualora consapevoli di tale nascita “miracolosa”, non avrebbero dovuto considerarlo “pazzoide”. In seguito, tuttavia, dei membri della sua famiglia faranno parte della comunità cristiana: ad es. Giacomo, il fratello di Gesù, il fratello del Signore secondo Galati 1,19; cfr Theissen 2, 113-114 nota). 

 

D)   Non bisogna leggere i racconti dell’infanzia (con o senza la concezione verginale) col paraocchi della preesistenza e dell’incarnazione. Originariamente tali racconti non sembrano aver avuto contatti con tradizioni che alludevano o contemplavano la preesistenza e l’incarnazione. Il primo scrittore che collega preesistenza e concezione verginale è Ignazio di Antiochia, morto martire a Roma nel 107 d.C. circa, comunque durante la persecuzione (98-117) di Traiano. 

 

E)   Il NT inoltre non afferma mai che Maria fosse della tribù di Giuda o della casa di Davide. Elisabetta, sua parente (cugina?), è della discendenza di Aronne; se prendiamo Luca alla lettera (per quel che può valere, perché le tensioni originarie fra i discepoli di Giovanni e i discepoli di Gesù [il relativo antagonismo iniziale tra movimento “battista” e cristianesimo primitivo] sono state superate tramite l’atteggiamento affettuoso tra le due ‘cugine’, col bambino [il Battista] che sobbalza nel seno, incamerando e riassorbendo comunque il Battista nell’alveo cristiano in quanto precursore), -- Maria è di discendenza levitica probabilmente aronita. Quindi, per quanto concerne la genealogia davidica di Gesù, tutto si gioca comunque nella linea di Giuseppe.

 

F)   Il termine parthenos (che noi traduciamo in genere con “vergine”) ricorre due volte in Lc 1,27; ora parthenos (cfr. la voce omonima nel GLNT, grande lessico del NT, traduzione di un’altra monumentale opera tedesca, il ThWNT) in greco significa una giovane donna matura, una nubile (come in Omero), una ragazza non ancora maritata. Abbiamo un connubio, un’endiadi fra una vita giovane (in fiore) ed una austera innocenza. Designa l’età-limite tra ragazza e donna; come l’etimo del tedesco Jungfrau, letteralmente giovane donna, ragazza. Se non siamo fissati sulla verginità, possiamo tradurre il doppio “parthenos” di 1,27 in questo modo: «…l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazareth, ad una giovane, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La ragazza si chiamava Maria».    

Oltretutto, sicuramente in Matteo ma probabilmente anche in Luca, il tutto è influenzato da Isaia 7,14; il Signore offre al re Acaz, nel contesto della guerra siro-efraimita, un segno: «La “almah” concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele». I LXX l’hanno appunto tradotto con “parthenos” (recepito in genere come vergine), influenzando le epoche posteriori (una lunga Wirkungsgeschichte, storia degli effetti). Ma il termine ebraico “almah” designa una giovane donna in età da marito, o la sposa appena portata a casa, che avrà un figlio (nel primo caso in seguito ad un presumibile matrimonio) entro breve tempo; e prima ancora che il bambino impari a distinguere il bene dal male (quindi nel giro di circa un lustro, ma non 700 anni dopo!), sarà liberato il paese dai due re stranieri che lo stavano occupando mettendo in grave angustia il re Acaz il quale, malgrado gli avvertimenti di Isaia che non voleva aprire la porta del suo paese all’Assiria, chiese l’aiuto del re assiro Tiglat-Pilèzer, il quale poi ridusse il regno di Giuda (quello del Sud) in vassallaggio. Come scrive G. Ravasi nel domenicale del Sole 24 ore (29 Giugno 08, p.39, a proposito della nuova versione CEI della Bibbia): «la “giovane donna” (almah di Is 7,14) diventa “vergine” per conservare la connessione con la ripresa di Mt 1,23 per Maria, madre di Gesù, anche se, in questo caso, una nota avrebbe meglio spinto a spiegare il trapasso semantico successivo, facendo così prevalere la fedeltà filologica sulla trasparenza teologica».

Certo prima del matrimonio è “ancora” vergine, come normale …almeno in quell’epoca, ma nel passo di Isaia si è lontani anni-luce dal pensare che tale verginità si prolunghi ininterrottamente sino al concepimento ed alla nascita (il segno non consiste in una concezione e nascita verginale): in tale eventualità sarebbe stato più opportuno, sempre secondo il Grande Lessico, il termine “betula”; in ogni caso, l’idea di una procreazione divina è inconciliabile (sempre secondo il dizionario teologico) con la concezione veterotestamentaria di Dio. Comunque il detto profetico di Is 7,14 (come rilevato anche da Gnilka 49) è enigmatico nel suo contenuto; si ha l’impressione che fosse comprensibile solo a Isaia, al re Achaz in quel preciso contesto storico: fuori dal suo tempo perde la sua significanza.

Una giovane donna (traduzione migliore del testo isaiano, fatta propria da un canto così intitolato molto diffuso nelle liturgie odierne e applicato a Maria) concepirà e partorirà in figlio (in modo naturale), che è la cosa più logica di questo mondo.

 

G)  rhmata  remata/parole: ricorre spesso questo termine che viene per lo più tradotto, non ho capito il perché, con “cose”; ma sono semmai le “cose dette”, cioè le parole.  Come “essi non compresero le sue parole” di Luca 2,50 (sing. rema); ma nel versetto seguente lo stesso termine (ancor più chiaro al plurale) viene reso con «Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore», come pure in 2,19. Ciò sarà cruciale per l’interpretazione, in sede di conclusione finale, dell’inesatta, per non dire errata traduzione CEI «Nulla è impossibile a Dio» (1,37, singolare “rema”).

 

H)      Ricordiamoci sempre che aggiungevano e ritoccavano, ma raramente toglievano; per un rispetto almeno formale del testo antecedente…(perché poi, aggiungendo e ritoccando, ne modificavano eventualmente il senso). La nuovissima traduzione della Bibbia della CEI non apporta cambi significativi per la nostra tematica.

 

A mio parere bisogna fare la distinzione fra i vari livelli e le varie redazioni del testo: un problema che avvolge la Bibbia intera, e che costituisce l’assunzione metodologica principale della nostra indagine: i testi hanno più autori nel corso del tempo, e a volte non si tratta di un autore singolo ma di autori collettivi (comunità cristiane; es. di Gv 21,24: «e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera»); dobbiamo liberarci dall’idea che si tratti di un solo autore che amalgama e rielabora il tutto, come Dante, Leopardi o Manzoni. Ci sono più livelli, e non sempre compatibili fra loro, perché chi viene dopo può avere idee diverse e non collimanti con le precedenti. Detto altrimenti in modo sbrigativo, abbiamo un Mc1 , Mc2 , Mc3 ; come un Lc1 (chiamato Proto-Luca da Boismard), Lc2 , Lc3 ; ed un Mt1 , Mt2 (chiamato Matteo intermedio nell’ipotesi di Boismard), Mt3 ecc. Riprendiamo la conclusione del quarto vangelo (Gv 21,24) quale esempio, di un’evidenza solare, di quanto andiamo dicendo: «Questo è il discepolo che rende testimonianza su questi fatti e li ha scritti (scritto in terza persona singolare); e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera». Ma chi scrive non è lui! Il testo che ci è pervenuto è stato scritto dai “noi” (prima persona plurale), i quali hanno ripreso e rielaborato il testo scritto dal discepolo che Gesù amava; da notare che nel versetto seguente cambia di nuovo il soggetto: “…penso che il mondo stesso non basterebbe a contenerli…”, con l’io narrante in una rarissima prima persona singolare di cui non ricordo altri casi nei vangeli. In due brevissimi versetti abbiamo come io narrante una terza persona, ed una prima persona sia plurale che singolare; non mi si venga a dire che questo è un unico autore!

Fra l’altro, ormai è un dato acquisito dell’esegesi storico-critica che Giovanni (uno dei dodici, figlio di Zebedeo e fratello di Giacomo, chiamati da Gesù “figli del tuono”), l’autore (o gli autori) del quarto vangelo, il discepolo che Gesù amava, l’autore/i dell’Apocalisse, e l’autore delle lettere, sono cinque personaggi tutti diversi e distinti fra loro.

BIBLIOGRAFIA CITATA:

J. P. MEIER, Un ebreo marginale, vol. 1, BTC 117, Queriniana-Brescia 2001, cap. VIII, Le origini di Gesù di Nazareth, pp.193-238 (abbrev.: Meier) .

 

Gerd Theissen – Annette Merz, Il Gesù storico, Queriniana-Brescia 1999 (abbr.: Theissen 1).

 

Gerd THEISSEN, L’ombra del Galileo, romanzo storico, Claudiana-Torino 1990 (abbrev.: Theissen 2).   

 

R. E. Brown, THE BIRTH OF THE MESSIAH, G. Chapman, London 1977

(abbrev.: Brown 1)

 

R. E. Brown, La concezione verginale e la resurrezione corporea di Gesù, Giornale di Teologia 99, Queriniana-Brescia 1977 (abbrev.: Brown 2)

 

Joachim Gnilka, Il vangelo di Matteo (parte prima), nella collana “Commentario teologico del NT”, Paideia-Brescia 1990.

 

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