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 361 - TRE POTENTI ILLUSIONI

 

I POLITICI ITALIANI E LA CRISI

 

C’è da restare desolati nel confrontare la gravità della crisi economica mondiale e l’inadeguatezza ad affrontarla della classe politica italiana. La crisi in atto è il risultato dello scontro tra la dura realtà e l’intreccio di tre potenti illusioni: l’illusione finanziaria, quella produttiva e quella distributiva.

L’illusione finanziaria si presenta sotto due aspetti diversi, fondati sulla “magia” della moneta. In un qualsiasi mercato, possiamo cambiare dei pezzi di carta colorati con beni e servizi che soddisfino i nostri bisogni; prestando questi stessi pezzi di carta, possiamo ottenere, senza ulteriore fatica, altra moneta. Generalizzando queste esperienze si può pensare che una qualsiasi maggiore quantità di moneta in circolazione, o un illimitato indebitamento, si trasformino miracolosamente in beni a disposizione della società, o credere che impiegando semplicemente della moneta o titoli equivalenti, si possa guadagnare indefinitamente somme sempre crescenti. Ma quello che è vero per un singolo non lo è sempre o completamente per una collettività. Se a questa illusione si sommano l’interesse di gruppi potenti ad arricchirsi in fretta e senza limiti e la volontà politica di eliminare tutte le regole e i controlli, la crisi è inevitabile.

Un’altra grande illusione porta a pensare che ogni paese possa aumentare indefinitamente la produzione reale (il Pil). Ciò è vero solo nel breve periodo, perché il sistema economico incorre ciclicamente in crisi di sovrapproduzione e insufficienza di potere d’acquisto e, a livello globale, deve fare i conti con la limitatezza del nostro mondo.

L’illusione “distributiva” dà una risposta semplicistica alla spinta dei popoli poveri per ottenere una distribuzione più giusta della ricchezza mondiale. Si presenta sotto due versioni apparentemente contrapposte che di fatto negano l’esistenza del problema che, secondo alcuni si risolverà da solo perché il mercato, in un tempo ragionevole, porterà tutti i popoli della terra a godere del nostro tenore di vita; per altri invece non è assolutamente il caso di parlare di redistribuzione, molto semplicemente ciascun popolo deve difendere e migliorare le posizioni raggiunte usando tutti i mezzi a sua disposizione.

 

I provvedimenti di B&B

Ora, confrontando le cause della crisi mondiale e la personalità dei due leader che guidano la coalizione di governo in Italia, appare evidente la loro incapacità a farvi fronte: entrambi basano la loro vita sulle stesse illusioni che l’hanno generata.

Il Presidente del Consiglio è un imprenditore che ha costruito un impero finanziario e mediatico con la produzione di spettacoli televisivi molto popolari finanziati dagli spazi pubblicitari che li interrompono e che vende alle imprese che, sempre più affannosamente, cercano di far aumentare il consumo di prodotti di cui il mercato è ormai saturo. L’altro è un politico il cui sogno è costruire un piccolo stato indipendente nel nord Italia per difendere, contro tutto il resto del mondo, la ricchezza che questa parte del paese ha saputo creare. Questo spiega perché Berlusconi parli, fino al grottesco, di ottimismo, sminuisca la portata della crisi, inciti al consumo e accusi i media di disfattismo. Per lui è essenzialmente una questione di percezione, di rappresentazione della realtà, che i media possono cambiare.

Bossi e i leghisti intanto, cercando di prosciugare il mare con un secchiello, sfornano “grida” demagogiche e truci contro i clandestini, i lavoratori stranieri, la concorrenza cinese, con contorno di schedature, ronde, invito ai medici e ai funzionari dell’anagrafe a denunciare il clandestino (e perché no a insegnanti, preti, ecc.?) e cosi via in un’orgia di impotenza, inumanità e irrilevanza.

Anche gli altri provvedimenti annunciati risultano assolutamente insufficienti e vecchi nell’impostazione: il solito sostegno a fondo perduto all’edilizia e alle industrie dell’automobile, le solite promesse di opere pubbliche mirabolanti (ma quante volte l’hanno già costruito il ponte sullo stretto di Messina?) che nella migliore delle ipotesi lasceranno le cose come stanno e nella peggiore devasteranno ancora di più il territorio, arricchendo mafie e grandi gruppi finanziari con scarsa utilità sociale e poca influenza sull’occupazione.

A questo punto è necessario chiedersi perché simili personaggi raccolgano tanti voti. Certo per la destra è più facile far penetrare in un popolo disorientato e timoroso di perdere le posizioni e il livello di vita faticosamente raggiunti, le proprie proposte. Ma un’analisi più approfondita dei flussi elettorali mostra che in realtà la destra non ha ancora conquistato la maggioranza del popolo italiano, nonostante la sua propaganda tenda a rappresentarla straripante. Vince per la debolezza dell’opposizione che è frammentata e litigiosa e non riesce a proporre un programma alternativo credibile e, con le ultime due esperienze del governo Prodi finite prematuramente, ha dimostrato di non essere in grado di governare.

 

La delusione del Pd

In particolare il Pd è stata una delusione. Nato con la partecipazione inattesa di milioni di cittadini tra grandi speranze, si è poi impantanato. Invece di aprire un grande dibattito politico, coinvolgendo le migliori energie e intelligenze per preparare un programma alternativo alla destra da presentare al paese, i dirigenti si sono dati battaglia per occupare nel nuovo partito più posti di potere possibili in modo da averne il controllo per garantire a loro e ai loro amici una sicura rielezione. Non c’è da stupirsi perciò se nell’elettorato di sinistra, in genere più attento ed esigente di altri, astensione e voto di protesta aumentino ingigantendo la vittoria dalla destra che altrimenti non sarebbe affatto esaltante.

Franco Monaco (già deputato dell'Ulivo) denuncia sia negli ex-comunisti, sia negli ex-popolari, «una subalternità culturale prima che politica ai paradigmi e alle soluzioni della destra», della quale l'opposizione adotta «le stesse ricette, con la sola variante di un loro temperamento, in nome di un declamato riformismo (mai parola fu tanto abusata ed equivoca) fatto coincidere con il moderatismo» (nell'articolo PD, un partito... mai partito, una critica dal fianco, molto precisa e argomentata, in «Appunti di cultura e politica», n. 1/2009, p. 7; info@cittadelluomo.it).

Ora, giunti sul ciglio del precipizio sembra si siano fermati. Sapranno fare un vero congresso con dei risultati apprezzabili o sarà la delusione definitiva? È bene che sappiano che non avranno un’altra opportunità. Eppure non pare un’impresa impossibile elaborare 5 o 6 proposte coraggiose per affrontare le più vistose debolezze italiane: rientrare in tempi non biblici dal terribile debito pubblico che ci soffoca, ridurre l’evasione fiscale a livelli fisiologici, tagliare drasticamente i costi della politica, riorganizzare la scuola e la ricerca, preparare un piano ad ampio respiro per riconvertire la produzione e la vita in senso più ecologico e sostenibile, prevedere una forte azione in ambito europeo e in tutte le sedi in cui l’Italia è presente perché le agenzie politiche mondiali mettano in campo un controllo più stringente sull’economia e la finanza globali, tagliando le ali a speculazioni e comportamenti irresponsabili o criminali.

Prima di tutto però è necessario che l’attuale classe dirigente (e non è solo un problema d’età) sopravvissuta al crollo del mondo bipolare e alla prima repubblica e logorata da mille battaglie, strategie, compromessi e cambio di partito, faccia un passo indietro, lasciando spazio a forze e idee più fresche e coraggiose.

 

Angelo Papuzza

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