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 362 - REFERENDUM GUZZETTA SUL SISTEMA ELETTORALE

 

LA SOLUZIONE SBAGLIATA PER UN VERO PROBLEMA

 

Salvo eventuali rinvii, in giugno saremo chiamati ad esprimerci sul referendum riguardante la legge elettorale. Vediamo cosa prevedono i quesiti e quali conseguenze deriverebbero dalla loro approvazione.

Partiamo innanzitutto dal quesito numero 3: se prevalesse una maggioranza di verrebbe eliminata la possibilità di candidature multiple sia alla Camera, sia al Senato. In parole povere lo stesso candidato non potrebbe più presentarsi in diverse circoscrizioni e scegliere, una volta eletto, quale di esse rappresentare. L’approvazione di tale quesito, ponendo fine ad un malcostume di cui molti esponenti politici hanno fatto largo uso, sarebbe dunque positiva ma modificherebbe di poco la legge elettorale attualmente in vigore.

La parte fondamentale è infatti giocata dai quesiti numero 1 e 2. Il primo riguarda la Camera dei deputati e, qualora accolto dai cittadini, innescherebbe due cambiamenti. Innanzitutto lo sfoltimento del complesso sistema di soglie di sbarramento previsto dalla legge Calderoli: rimarrebbe solamente una soglia del 4%, sotto la quale i partiti non avrebbero diritto ad ottenere alcun rappresentante. In secondo luogo (ma è di fatto il cuore dell’intero referendum) il premio del 54% dei seggi verrebbe assegnato non più alla coalizione vincente ma alla lista che ottiene il maggior numero di voti. Il secondo quesito ripropone le stesse modifiche ma per quanto riguarda il Senato: sbarramento all’8% e premi di maggioranza regionali assegnati alla lista maggioritaria.

I sostenitori del referendum si dicono convinti che, in caso di vittoria dei ai primi due quesiti, l’Italia si avvierebbe verso un sistema compiutamente bipartitico. Quest’affermazione fa sorgere due problemi: è vera? E, se lo fosse, è uno scenario realmente auspicabile? Proviamo a capire.

 

Il sistema bipartitico

Il ragionamento dei referendari si basa sull’ipotesi che, se si assegna il premio di maggioranza alle liste anziché alle coalizioni, sarà un partito solo ad aggiudicarselo. I seggi restanti andrebbero agli sconfitti, ulteriormente selezionati dalla soglia di sbarramento, e tra essi il ruolo principale sarebbe giocato dal maggiore partito di opposizione: quest’ultimo otterrebbe infatti il bottino più cospicuo in termini di seggi assegnati alla minoranza e avrebbe la probabilità più elevata di conquistare il premio alle consultazioni successive. Allo stato attuale ciò significherebbe una completa e perfetta alternanza fra Pd e Pdl dalla quale discenderebbe la fine del potere di ricatto delle formazioni minori.

Questo scenario è plausibile; ma non è affatto certo che accada. Le esperienze precedenti (soprattutto i dodici anni di «Mattarellum», durante i quali partiti italiani hanno dispiegato tutta la loro abilità strategica nel proporzionalizzare il sistema maggioritario) alimentano molti dubbi in merito. Non si può infatti escludere la seguente situazione. Poniamo, del tutto ipoteticamente, che alle prossime elezioni politiche il Pdl si scopra in difficoltà e che la corsa solitaria imposta dal sistema di voto modificato risulti rischiosa a causa dei voti sottratti dalla Lega nelle regioni del Nord. Allo stesso tempo la Lega, quand’anche racimolasse un buon risultato, si vedrebbe privata di ogni potere di ricatto. Converrebbe allora al Pdl imbarcare in un unico listone improvvisato gli ex alleati leghisti; i quali, ovviamente, si troverebbero nella condizione di alzare a piacimento la posta con richieste esose (cosa che peraltro stanno dimostrando di saper fare benissimo). Una volta vinte le elezioni il megalistone finirebbe con ogni probabilità per dividersi ma oramai la Lega, determinante per la tenuta della maggioranza, riprenderebbe a ricattare esattamente come prima.

Attenzione: un tale scenario (che vale anche per il Pd e i partiti di sinistra) non è sicuro; è solamente possibile, esattamente come lo è l’ipotesi di arrivare a due soli partiti. Ma tale possibilità è sufficiente a chiarire che la decisione di enfatizzare il referendum come una scelta fra potere di ricatto dei “nanetti” da un lato e bipartitismo più governabilità dall’altro, per quanto legittima, non è forse particolarmente onesta nei confronti di un elettorato che, su questo specifico tema, è già sufficientemente disorientato di suo.

 

Rappresentanza e governabilità

Vi è poi una seconda questione: se anche il bipartitismo fosse l’unico risultato possibile, sarebbe allo stesso tempo uno scenario davvero auspicabile? Il tema meriterebbe un approfondimento di gran lunga più esteso rispetto al breve spazio di questo articolo, anche perché chiama in causa scelte valoriali che stanno alla base di diverse concezioni della democrazia rappresentativa: è giusto, nell’ineliminabile trade off o dilemma fra rappresentanza e governabilità/stabilità del sistema politico, privilegiare soltanto la seconda a tutto discapito della prima? È positivo e utile, ai fini della qualità democratica, soffocare quasi completamente o – nella migliore delle ipotesi – ridurre ad un ruolo eterno di mera testimonianza, voci e istanze differenti da quelle prevalenti nel corpo elettorale? Qui ci limitiamo a suggerire questa chiave di lettura: si provi a immaginare il caso in cui si presentano alle elezioni molte liste di partito e che fra di esse quella maggiore pesi per il 30% dei suffragi e la seconda per il 28%. Può una differenza del 2% soltanto dei voti giustificare un numero di seggi del tutto sproporzionato per la prima e le briciole per la seconda?

Il problema è che questo referendum è nato male. Gli estensori, pure armati di buone intenzioni, hanno forse sottovalutato il fatto che il cosiddetto «Porcellum» è una pessima legge elettorale. E una pessima legge elettorale andrebbe presa e cestinata: ogni tentativo di cambiamento rischia di pasticciare ulteriormente le cose. Se i quesiti dovessero essere bocciati o se mancasse addirittura il quorum si leggerebbe il risultato come la conferma del congegno elettorale escogitato al tempo da Calderoli. Se invece il referendum risultasse approvato, si affermerebbe quasi certamente che il popolo sovrano ha voluto il sistema modificato e il bipartitismo (per quanto aleatorio e contraddittorio) che ne discenderebbe. La conseguenza finale sarebbe, con buona probabilità, l’immodificabilità per gli anni a venire di un meccanismo di voto che invece avrebbe un enorme bisogno di essere rivisto da cima a fondo.

Non ci si può certo nascondere la difficoltà che una tale riforma venga intrapresa da un Parlamento i cui membri sono largamente beneficiari del sistema in vigore. Ma è altrettanto dubbio che la soluzione possa essere imporre per via referendaria una camicia di forza istituzionale con l’illusione di supplire alla mancanza di volontà politica.

Alessio Vagaggini

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