Il caso Boffo, al di là di ciò che può aver combinato in passato l’ex direttore di «Avvenire», è emblematico per i rapporti fra l’attuale maggioranza, detentrice del potere legislativo ed esecutivo, e i vertici ecclesiastici e vaticani. C’interessano fino a un certo punto i retroscena più smaccatamente politici: ad es. chi sia il mandante dell’attacco a Boffo, oppure, per quanto concerne i personaggi, se si tratti di un asse Bagnasco-Bertone contro Ruini (che nominò a suo tempo Boffo direttore di «Avvenire» e della tv satellitare), o se, in un altro scenario, l’asse Bagnasco-Ruini sia stato cinicamente abbandonato al suo destino dalla segreteria di stato. Oppure, per quanto riguarda l’agire diplomatico, se si voglia un rapporto diretto tra Vaticano e governo relativizzando la Cei, o viceversa; oppure ancora una vera e propria cinghia di trasmissione Vaticano-Cei-governo con relativo retrogrado.
Ci sconvolge invece la religione come politica, in perfetto stile costantiniano. Da una parte imperversa la religione della legge con tutta la sua rigorosità (quasi crudele come nel caso di Welby e di Eluana, ma pure nei confronti dei divorziati risposati), che è tutt’altra cosa rispetto alla radicalità evangelica. In uno Stato moderno le leggi, con i loro procedimenti applicativi e attuativi, dovrebbero basarsi su valori etici laici: ma proprio quest’autonomia non è riconosciuta dai vertici ecclesiastici quando vi vogliono introdurre o imporre determinati vincoli; perché tali vertici ritengono che sia indebolita, o sia cessata (o addirittura non sia mai esistita) l’autosufficienza morale dello Stato liberale e democratico.
Dall’altra abbiamo la riedizione moderna dei cesaro-papismi e delle clericocrazie del passato, come se la storia non ci avesse insegnato nulla. Il sistema ecclesiastico è subalterno al potere politico vigente; o meglio, nelle reciproche adeguazioni tipiche della polis religiosa, si è alternativamente sovrani (nel richiedere o imporre qualcosa) e subalterni (nel recepire il diktat di scambio della controparte). La polis religiosa (oggi si preferisce dire «la religione civile») è una contraffazione idolatrica del cristianesimo, una manipolazione; è il tentativo spesso ricorrente di ridurre il cristianesimo a semplice religione e quindi, di fatto, a sanzione sacra di una cultura o di un regime, mentre il fatto cristiano in sé non sopporta, senza essere stravolto, di essere funzionale a un modello politico, poiché chiede di ascoltare la Parola e di convertirsi alla sua verità.
Quando si dà “adeguazione” vuol dire che la proposta di fede non è avvenuta in termini decisivi, ma che è stata strozzata, fino a risultare una semplice sanzione sacra di un ordine politico vigente. La polis, in sé presa, non può che emarginare ed espellere il vero «fatto cristiano» come elemento di disturbo che, se vissuto, metterebbe a soqquadro le sue categorie efficientistiche, i suoi sistemi di relazione e di valori. La polis però può tollerare, persino privilegiare, addirittura riadattare e usare (“eresie sterilizzate” o contraffazioni latenti della fede) una religione funzionale alle proprie strutture portanti.
Ci preoccupa molto quindi lo stato di degrado e di decadimento ecclesiastico: infatti è proprio una ecclesia mancata o svuotata che scade al ruolo di serva (o alternativamente di regina, data la reciprocità delle “adeguazioni”) della polis, di complementare agenzia religioso-ideologica, in cui l’uomo, animale religioso-politico, tenta di (ri)prendere il sopravvento sull’uomo convertito. Il fatto tragico è che in tal modo non si annuncia il Vangelo ma si fanno patti, si esercitano e si subiscono ricatti dal potente di turno.
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