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 367 - A 50 anni dalla morte di don Primo Mazzolari

 

Amore dell’unità davanti allo spettacolo della separazione

Marta Margotti, curatrice di due recenti studi (P. Mazzolari, La più bella avventura. Sulla traccia del «Prodigo», edizione critica a cura di M. Margotti, Bologna, Dehoniane 2008, e L’ecumenismo di don Primo Mazzolari, a cura di M. Maraviglia e M. Margotti, Marietti 1820 2009) ci presenta una sintesi su un aspetto poco conosciuto dell’attività del parroco di Bozzolo, il suo impegno per il dialogo ecumenico.

È possibile ritrovare nella vita di don Primo Mazzolari un filo rosso che attraversa in modo sottile ma persistente decisioni e riflessioni compiute in circostanze e in tempi diversi. La ricerca dell’«unità cristiana» fu per il parroco di Bozzolo un assillo che nasceva da un’esigenza di «religiosità interiore vivente e verace» e, come scriveva nel 1921 al pastore evangelico Giovanni Ferreri, era un «problema che affanna ogni anima, che non vuol rinunciare al Vangelo come alla parola creatrice di ogni epoca e di ogni più nobile fatica umana».

 

«Emorroidi di Lutero e caccole di Calvino»

L’ecumenismo di don Mazzolari assume un rilievo tutto particolare se si considera il periodo in cui maturò (tra gli anni Venti e Trenta del Novecento) e se lo si confronta con l’antiprotestantesimo dominante nel cattolicesimo dell’epoca. La dura contrapposizione con le Chiese della Riforma aveva origini lontane, ma trovò proprio tra le due guerre mondiali un rinnovato vigore, documentato dal profluvio di lettere pastorali, richiami disciplinari, volumi apologetici e articoli della stampa cattolica che mettevano in guardia i fedeli dai maneggi della «setta protestante» e dai pericoli derivanti dalla diffusione delle sue posizioni. La polemica tra le parti assunse toni roventi e, in non pochi casi, punte particolarmente aggressive come nelle pagine del Dizionario dell’Omo Selvatico scritto nel 1923 da Giovanni Papini (lo scrittore cattolico più letto nel XX secolo) e Domenico Giuliotti dove si leggeva: «Di qualunque razza siano – emorroidi di Lutero, caccole di Calvino, unghie di Huss, sputacchi di Zuinglio, bollatiche di Socino, forfora di Wesley, calli di Fox, catarri di Spener, geloni di Giansenio, croste di Manete o di Ario – noi protestiamo contro gli apostoli della disunione e della disubbidienza». I protestanti erano considerati all’origine di tutte le deviazioni teologiche e morali della società moderna e, per tale motivo, doveva essere circoscritta il più possibile la loro capacità di influenza e condannato ogni tentativo di avvicinamento da parte dei cattolici.

Don Mazzolari, nato nei pressi di Cremona nel 1890, aveva frequentato il seminario negli anni della lotta più pervicace contro il modernismo, ma la sua personale sensibilità, le letture e gli incontri con personalità critiche verso il conformismo cattolico lo portarono progressivamente a intuire che la ricerca di un cristianesimo essenziale era non soltanto più aderente allo spirito del Vangelo, ma permetteva di parlare di Dio con parole comprensibili agli uomini e alle donne del suo tempo.

Più che di elaborazioni teoriche, l’ecumenismo di Mazzolari si nutrì di scelte e di riflessioni che attingevano a un cristianesimo misericordioso, ma allo stesso tempo fermo nel distinguere ciò che era frutto di una tradizione mal interpretata da ciò che era il nucleo vitale della Chiesa. Questa sua attenzione alle ragioni dell’incontro con i «lontani» (fossero essi protestanti, modernisti, non credenti o spiriti critici nella Chiesa) suscitò disapprovazioni e condanne che giunsero in alcuni a casi a sollecitare il giudizio del S. Uffizio, che intervenne duramente per sanzionare il parroco di Bozzolo, senza possibilità di appello.

 

Prove di dialogo con i «lontani»

La profondità delle intuizioni ecumeniche di Mazzolari è stata sottolineata in occasione del cinquantenario della sua morte, avvenuta nell’aprile del 1959, attraverso la riedizione di alcuni suoi testi e la divulgazione di documenti inediti in grado di chiarire le motivazioni e le conseguenze del dialogo intrecciato tra cristiani di diverse confessioni. I saggi raccolti nel volume L’ecumenismo di don Primo Mazzolari ricostruiscono la fitta rete di relazioni intessuta dal sacerdote cremonese, ma anche il clima di contrapposizione tra le confessioni cristiane della prima metà del Novecento che rende ancora più evidente l’eccezionalità delle scelte compiute da quel prete relegato nel «fondo di un presbiterio di campagna». Negli studi ora pubblicati (stesi anche da G. Bouchard, G. Giussani, M. Gnocchi, M. Maraviglia, R. Moro e A. Zambarbieri) emerge quanto le «prove di dialogo» di don Primo non avessero carattere episodico, ma fossero alimentate da un’intensa spiritualità, da realistica cautela e da aperture profetiche. La conoscenza del pastore metodista Giovanni Ferreri, cui era affidata la cura della comunità evangelica di Vicobellignano (a poca distanza da Bozzolo), permise a Mazzolari di consolidare le sue intuizioni circa la necessità di un cristianesimo dalle «braccia aperte» che superasse le distanze tra le diverse denominazioni confessionali. Per Mazzolari la situazione era chiara, come rilevava in una lettera scritta nel 1921 al pastore metodista: «L’amore dell’unità e la riverenza verso i deboli nella fede, cui fa certo male uno spettacolo di separazione tra coloro che portano lo stesso nome, sono motivi così forti che ci sarebbe da meravigliarsi se non fossero sentiti egualmente da tutti». I timori diffusi, in particolare tra i cattolici, parevano smentire questa fiducia di don Primo che però trovava nell’amicizia con un «fratello» nella fede nuove ragioni di «conforto e speranza che il giorno dell’unità, che poi è nient’altro che carità, quantunque lontano, non è impossibile. Le anime che vigilano ne scorgono talvolta le aurore».

Mazzolari era una di queste «sentinelle nella notte» che, per essere state profeticamente vigilanti, furono colpite più duramente di altre, in particolare da coloro che intendevano difendere le prerogative dell’istituzione ecclesiastica e vagheggiavano progetti di riconquista cattolica della società. Non è casuale che la prima condanna del S. Uffizio contro don Primo sia legata alla pubblicazione del libro La più bella avventura, un commento alla parabola del figliol prodigo edito nel 1934 che presentava una serrata riflessione sulla fede nella società contemporanea e sulle possibilità di incontro con il Vangelo da parte dell’«uomo moderno». La parabola della misericordia del padre – che superava il tradimento del figlio minore e la grettezza del maggiore – diventava per Mazzolari lo spunto per alcune penetranti considerazioni sull’atteggiamento di chiusura del cattolicesimo e sulla necessità dell’accoglienza di coloro che erano considerati estranei, quando non addirittura nemici, rispetto alla Chiesa. Il racconto evangelico era non soltanto un appello alla conversione personale, ma un invito a non nascondere le mancanze della Chiesa, le sue difficoltà e i suoi peccati: era necessario guardare oltre i limiti dell’istituzione e agire per la sua riforma.

 

La condanna del Sant’Uffizio

Don Primo era consapevole dei sospetti che aleggiavano intorno a qualsiasi proposta di “riforma” nella Chiesa, ma su questo punto si lanciava in riflessioni che furono giudicate azzardate: «La riforma non è una parola scomunicata e un desiderio biasimevole. I Santi e gli spiriti più cristiani di ogni tempo l’hanno voluta, preparata, predicata anche. Se accade che qualcuno ecceda e venga giustamente rimproverato, deve giudicarsi più doveroso il silenzio? La Fede resiste ad ogni biasimo e ad ogni più disperante risultato: e siano pure immeritevoli coloro che la condannano, l’anima fedele si attaccherà alle mani che la scomunicano per baciarle, protestando umilmente l’amore che non si vince, la libertà che non si doma». Le parole di don Primo, considerate «offensive per la Chiesa e i suoi dirigenti», furono immediatamente sottoposte al giudizio del S. Uffizio che all’inizio del 1935 ordinò di ritirare dal commercio il volume, di vietare una nuova edizione, di ammonire l’autore e di vigilarne la predicazione. Il libro, come indicato nei documenti della Suprema Congregazione, era stato «trovato “minus habens”», ma soprattutto appariva pericoloso anche perché aveva ricevuto positiva accoglienza da parte di alcuni protestanti e di modernisti scomunicati, come Ernesto Buonaiuti.

In anni in cui prevaleva nel cattolicesimo un atteggiamento «unionistico» verso le altre confessioni cristiane, ogni segnale di disponibilità e di dialogo era giudicato un cedimento all’eresia, fosse essa di origine ortodossa o protestante. Il «ritorno alla Chiesa di Roma» era l’unica prospettiva valida per il cattolicesimo, che Mazzolari però di fatto superava con le sue ardite affermazioni e i contatti con uomini e donne che, come lui, erano alla ricerca della via per restare liberamente fedeli al Vangelo. L’esperienza dell’eremo di Campello sul Clitunno, animato dallo spirito accogliente e vitale di sorella Maria, dal 1925 fu per Mazzolari un’occasione per tessere durature amicizie e per stringere con numerosi interlocutori un fitto dialogo sul senso del cristianesimo nell’epoca moderna. La separazione delle confessioni era una lacerazione che divideva i cristiani e una contraddizione che rendeva ancora più difficile presentare al mondo il messaggio evangelico come forza liberante e coscienza critica dell’umanità. Per don Primo Mazzolari, anche in questa tensione irrisolta tra i cristiani era necessario testimoniare l’amore incondizionato verso il prossimo in quanto il «bene è l’unico ponte che si può gettare in ogni momento attraverso le fosse scavate dai nostri egoismi».

 

Una voce isolata e profetica

Nella Chiesa cattolica, dove dominava l’appello alla difesa della cittadella assediata della fede contro gli attacchi del protestantismo e delle forze antireligiose, la voce di Mazzolari fu a lungo isolata ed emarginata. La persistenza e la perentorietà degli ammonimenti cattolici contro il protestantesimo non sarebbero però comprensibili se confrontate con la presenza minoritaria delle comunità evangeliche in Italia. In realtà, attraverso i suoi richiami, la gerarchia cattolica intendeva perseguire due obiettivi tra loro strettamente connessi. Da una parte, puntava a serrare le fila dei fedeli nella battaglia contro la più urgente battaglia contro la società moderna, mobilitando le masse dei cattolici e rafforzando l’immagine di una Chiesa compattamente unita intorno al pontefice. Dall’altra, sollecitava le autorità politiche ad arginare quelle forze che mettevano in discussione il ruolo di controllo religioso e sociale della Chiesa in Italia.

Il parroco di Bozzolo, «obbedientissimo in Cristo», propose ai credenti e alla Chiesa una strada impervia dove prevalevano gesti di sofferta misericordia più che inappellabili condanne. I dubbi, più delle certezze, abitavano la fede cristiana: la verità trasmessa nel Vangelo, scriveva Mazzolari, poteva essere accolta soltanto attraverso un atto di fede «che è anche memoria di certezze che perdurano benché al momento non si abbia in bocca nulla all’infuori del sapore. L’iridescenza della scia non è la barca, ma la certezza che qualche cosa veramente è passato. […]. Io non posso negare di averlo visto, anche se non riesco a farvelo vedere».

Marta Margotti

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