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chiesa
369 - I GIOVANI E LA FEDE |
Quali domande a Gesù?
In un recente articolo su «Repubblica» (19/1/10) Vito Mancuso affronta il tema di come si possa presentare il nucleo della fede cristiana all'uomo d'oggi. |
Parte dalle domande che, secondo un’inchiesta del Sermig, i giovani avrebbero posto a Gesù, qualora fosse stato loro dato di incontrarlo. Constata che esse riguardano tutte problemi teologici e filosofici teorici e universalmente eterni, anche se esistenzialmente cruciali, quali: «Perché la morte? Quale il senso della vita? Di dove viene il male? Che ci attende dopo la morte? Perché mi hai creato?». Mentre nessuna riguarda direttamente la persona storica terrena di Gesù, la sua predicazione, il suo annuncio, la sua prassi di vita, la sua passione, morte e resurrezione. Ne deduce che non la storia lontana, sempre più lontana, del Gesù storico e della sua missione, ma le questioni teologiche e filosofiche di fondo sul senso della vita interessano i giovani e dovrebbero essere oggetto di un rinnovato sforzo di riflessione da parte della chiesa e dei teologi.
Gesù e gli dèi da teatro
Non ho nulla da eccepire sulla crucialità e sull'urgenza per i giovani e i non giovani di affrontare tali problemi. Solo mi chiedo se abbia un senso porre così il problema dell'eventuale incontro tra noi e Gesù oggi e di conseguenza estrarne gli interrogativi conseguenti. Mancuso osserva, infatti, che i giovani interrogano Gesù a partire dalla sua figura teologica, quale viene loro offerta dalla predicazione ecclesiale: Gesù Figlio di Dio, quasi Dio, e di conseguenza gli chiedono quello che chiunque di noi chiederebbe a Dio: «Donde veniamo, dove andiamo, che senso ha il nostro esistere?». Nulla di più evidente, ma anche nulla di più fuorviante.
Quando mai infatti Dio, o Gesù, ci potranno venire incontro come una teofania perfettamente riconoscibile, con tanto di nimbo divinizzante, aureola e attestato di autenticità soprannaturale? Ciò non si dà in tutta la storia della rivelazione biblica, antico e neotestamentaria, e non si darà forse neppure alla fine dei tempi. Il Dio cristiano non agisce mai nella storia come il Deus ex machina delle rappresentazioni teatrali greco-latine: appeso al filo di qualche marchingegno meccanico o metafisico, che lo tiene ben sollevato dal suolo della storia terrena e gli impedisce di sporcarsi i coturni alati col fango immondo della nostra storia di uomini per agire indisturbato sulla sorte umana, senza neppure toccarla con un dito.
Il Dio cristiano è un Dio storicamente coinvolto negli eventi dei suoi interlocutori e si rivela in forme che suscitano sempre interrogativi, dubbi, questioni sul suo vero essere e sul possibile successo o insuccesso del suo operare. È un Dio che si compromette e chiede di compromettersi con lui. Non è un filosofo che enuncia dalle nuvole quintessenze di saggezza e dogmi di sopraffina profondità ed arguzia. È un Dio che ama, soffre e coinvolge l'uomo nel suo amare e nel suo soffrire.
In sostanza, se noi potessimo incontrare Gesù non lo incontreremmo come Dio, ma come uomo di Dio, attivo accanto a noi, impegnato in chissà quale storia di redenzione dei peccatori dal male, quindi quanto mai problematico e coinvolgente, e le nostre domande non potrebbero che riguardare lui, il suo parlare e il suo agire, il nostro stare nei confronti di tutto ciò.
Del resto così incontrano Gesù gli uomini del suo tempo e non stanno a fargli le domande che dei bravi giovani freschi di catechismo e di lezioni universitarie farebbero al loro direttore spirituale, ma gli chiedono cosa può fare per loro, se può aiutarli, donde venga il suo potere e cosa egli voglia da loro, cosa essi possono fare.
La verità cristiana come sequela Christi
Vogliamo sapere che domande faremmo a Gesù? Vediamo che domande gli hanno fatto i suoi contemporanei. Certo non le ripeteremmo pedissequamente, le aggiorneremmo al nostro tempo, ai nostri problemi, alla nostra storia e scopriremmo che egli non è venuto a rispondere alle questioni filosofiche e teologiche delle nostre università e dei nostri seminari, ma a insegnarci l'amore, il servizio, la misericordia, l'assunzione di responsabilità verso noi stessi e verso gli altri, a proporci, insomma non una dottrina, teologicamente aggiornata ai risultati ultimi delle scienze umane e positive, ma la sequela, l'imitazione. Imitazione che è poi l'imitazione di Gesù, annunciatore crocifisso e risorto del Regno, o, se vogliamo, l'imitazione e la sequela del Dio creatore e redentore.
Posta la sequela al centro della vita cristiana, chiarito che il cristianesimo nasce come storia di rivelazione e salvezza, perdura come storia di incarnazione del messaggio e si realizza in quanto esito finale di una storia di fedeltà e di obbedienza e carità, ben vengano tutte le riflessioni teologiche e filosofiche a illustrare la necessità e la congruità di tutto ciò con una vera comprensione partecipativa all'essere di Dio, come sorgente e forza vitale dell'essere dell'uomo e del suo cammino nella storia.
Aldo Bodrato
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