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recensioni
La scelta di restare
Algeria, anni ’90: l’esercito con un colpo di mano ha annullato il successo elettorale del partito islamista. Nasce il terrorismo islamista: 120.000 morti nella guerra civile. |
Nell’Atlante, il piccolo monastero cistercense di Tibhirine (che significa giardino) è schiacciato tra governo corrotto e incursioni dei terroristi. Sono monaci francesi, inseriti in amicizia nella vita locale: lavorano, vendono miele sul mercato, curano i malati dei villaggi circostanti, partecipano alle feste popolari e li vediamo presenti anche alla preghiera nella moschea. La vita quotidiana dei monaci, concreta, non idilliaca – che il regista ha osservato soggiornando nell’abbazia di Tamié, come spiega Enzo Bianchi – è descritta con sobrietà non estetizzante. Uno di loro, nella paura, dice: «Siamo come uccelli sul ramo». Ma una donna del villaggio lo corregge: «Gli uccelli siamo noi, voi siete il ramo». Cioè, i monaci, che l’islam rispetta, sarebbero una protezione per il villaggio. Le minacce, però, si fanno più gravi. I monaci rifiutano la protezione dell’esercito. Come cristiani e come francesi, essi sono sul crinale tra più storie: la colonizzazione francese, l’indipendenza e la democrazia, il risveglio islamico, l’odierna difficile necessaria preziosa convivenza di popoli, civiltà, religioni.
Anche a uomini di fede – «Si va di nascita in nascita», dice il priore Christian – il coraggio non è facile. Sull’idea di tornare in Francia, come chiedono anche i superiori dell’ordine, prevale faticosamente la fedeltà al «vivere insieme» con quel popolo musulmano, su quella terra.
Nel marzo 1996, sette monaci sono rapiti e, dopo venti giorni, uccisi. C’è un enigma sulla loro morte, tra i vari effetti di violenza politica, fanatismo religioso, ragion di stato. Al funerale, il governo algerino fece resistenza alla richiesta dell’abate di aprire le bare: contenevano solo le teste, non i corpi. Rapiti dai terroristi? Eliminati dall’esercito per frustrare la richiesta di scambio con prigionieri algerini in Francia? Non è mai stata fatta una perizia medica sui resti, che pure è obbligo di legge francese per i cittadini uccisi all’estero. Questo film ha già avuto tre milioni di spettatori in Francia: forse porterà un avvicinamento alla verità.
Una scena del film sintetizza gli estremi della tragedia: sotto il fragore di un elicottero che gira sul villaggio, i monaci cantano preghiere a voce spiegata. Il giornalista Valerio Pellizzari, nell’anteprima al cinema Massimo, il 21 ottobre, paragona questa sequenza all’esperienza da lui fatta a Bagdad nel 2003: a mezzanotte, sotto i bombardamenti con bombe che perforano muri di cemento di 12 metri di spessore, si cantano preghiere nella moschea. Più bombe esplodono, più alti si levano i canti. Così nelle chiese ortodosse in Bosnia. C’è un’umanità universale, in ogni religione, che oppone lo spirito disarmato alle bombe omicide.
La Comunità di Bose ha pubblicato, già nel 1996 e di nuovo nel 2006, lettere e documenti dei monaci uccisi (Più forti dell’odio, Qiqaion, a cura di Guido Dotti e Enzo Bianchi, entrambi intervenuti nel dibattito seguito all’anteprima). Nel suo testamento spirituale, il priore Christian, prevedendo i fatti, scriveva, tra l’altro: «So anche le caricature dell’islam che un certo islamismo incoraggia». Difende gli algerini dal disprezzo che li circonda. Ringrazia tutti, anche chi lo ucciderà «amico dell’ultimo minuto, che non avrai saputo quel che facevi (…). E che ci sia dato di ritrovarci, ladroni beati, in paradiso, se piace a Dio, Padre nostro, di tutti e due. Amen! Inšallah» (pp. 219-21).
Nella discussione, naturalmente è emerso il problema della giustificazione religiosa della violenza nell’islamismo. Faccio notare che bisogna anche ricordare e valorizzare le esperienze storiche, non soltanto aspirazioni utopiche, di una nonviolenza attiva, gandhiana, precisamente ispirata all’islam: Badshah Khan, Mubarak Awad, Chaiwat Satha-Anand, Adnane Mokrani, Ramin Jahanbegloo, i villaggi palestinesi come Bil’in. Chi conosce e fa conoscere queste e simili realtà, che indicano un cammino in corso, anche nell’islam? Pure l’Occidente ha usato e usa la religione cristiana a giustificazione del potere violento, dello «scontro di civiltà», fa notare Bianchi. Noi occidentali abbiamo avuto la dolorosa «fortuna» delle guerre di religione, tra «verità armate», che ci hanno costretto a disarmare – cominciare a disarmare – la verità. Compito oggi comune a tutte le civiltà umane è progredire insieme su questa via, l’unica in cui troviamo tracce vere di verità, e possibilità vere di pace e giustizia.
Enrico Peyretti
Uomini di Dio (tit. or. Des hommes et des dieux) di Xavier Beauvois, Francia 2010.
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