Spesso il passato lascia ferite così profonde che impediscono di vivere il presente, trasformando ogni problema, contrasto, difficoltà in una lotta per la sopravvivenza. Ciò avviene sia per gli individui che per le società. È questo il caso di israeliani e palestinesi. Gli ebrei vivono due traumi profondi, acuitisi durante la persecuzione nazifascista: quello di essere trattati da stranieri in stati in cui vivono da molte generazioni o persino da più di 2000 anni, come gli ebrei romani; e quello di aver sfiorato l’estinzione totale in Europa, senza aver fatto assolutamente nulla per causarla e senza avere la possibilità di organizzare la minima difesa o resistenza. I palestinesi hanno vissuto per centinaia di anni prima sotto il colonialismo turco, particolarmente violento e negatorio delle culture dei popoli colonizzati (come ben sanno gli armeni e i curdi), poi sotto quello anglo-francese. La situazione è resa ancora più complicata dal fatto che entrambe le popolazioni si sentono innocenti delle tragedie toccate all’altra e non capiscono perché dovrebbero essere proprio loro a risarcirle. Questi traumi impediscono agli israeliani di vedere l’oltraggio arrecato ai palestinesi dalla costituzione del loro stato, e a questi di riconoscere il diritto degli ebrei di costituire una loro patria nella terra della Promessa, dei loro Padri, dei loro simboli religiosi, dove per migliaia di anni generazioni di ebrei hanno vissuto e dove, nonostante tutto, hanno continuato a vivere in piccole ma significative comunità, dove infine è nata la parte più giovane dei tre milioni di persone che lo abitano. In queste condizioni, senza l’aiuto della comunità internazionale è pressoché impossibile che israeliani e palestinesi riescano a trovare un minimo accordo per poter convivere. Finora però gli stati che sono intervenuti hanno usato la lotta mortale tra i due popoli per perseguire i loro disegni egemonici e, a giudicare da ciò che avviene in Italia, anche la maggioranza dei politici e dell’opinione pubblica occidentale si schiera da una parte o dall’altra a seconda che vogliano contrastare o favorire l’egemonia degli Stati Uniti, o seguendo stereotipi inaccettabili come «i nazisti avevano ragione», o «gli arabi capiscono solo le maniere forti», «la loro cultura inferiore minaccia la nostra». Anche il proporre piani e accordi di soluzione globale è velleitario: solo le parti con una serrata trattativa possono trovare un accordo che abbia probabilità di successo. I compiti che la comunità internazionale può svolgere sono più modesti ma fondamentali. Per quanto riguarda l’opinione pubblica, dovrebbe evitare accuratamente e testardamente di parteggiare per una parte o per l’altra. La guerra mediatica è altrettanto importante di quella guerreggiata, dimostrando l’importanza che le parti annettono al tirare dalla loro l’opinione pubblica. La scelta politica della neutralità contribuirebbe alla riduzione di questa lotta. Anche se non è facile, bisogna assolutamente resistere alla pietà che suscitano le condizioni di vita dei palestinesi e all’orrore per gli attentati terroristici e non trasformarle in armi ideologiche. Per quanto riguarda la diplomazia, sarebbe già un successo se ci fosse un accordo per cessare le strumentalizzazioni ormai chiaramente inefficaci e sempre più pericolose per gli stessi stati che le praticano. In questo senso l’intervento in Libano dell’Europa potrebbe essere un piccolo spiraglio. Al fine di lenire i traumi citati all’inizio, il passo successivo potrebbe portare l’Onu ad affermare in modo chiaro, assoluto e certo la volontà politica internazionale di evitare agli israeliani un secondo olocausto, e garantire ai palestinesi la creazione di un loro Stato pienamente autonomo, indipendente, sovrano, in grado di stare da pari a pari nei confronti di Israele. Ottenute queste rassicurazioni, le parti più moderate e lungimiranti, che pure ci sono su entrambi i fronti, e crediamo anzi siano più numerose di quanto sembri, possono tentare di conquistare la maggioranza delle loro opinioni pubbliche e arrivare a una trattativa che sarà lunga, dura, anche drammatica, ma con buone possibilità di successo. Anche in questa fase la comunità internazionale avrà un compito marginale ma importante: il supporto economico, in particolare per dare allo Stato palestinese i mezzi necessari per avviare la ricostruzione e a Israele i mezzi per risarcire generosamente i palestinesi per le proprietà perdute durante la costituzione dello stato.
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L’ossigeno dell’anima |