Viviamo un periodo molto triste della storia unitaria e se non credessimo alla voglia di vivere ed alla capacità di recupero degli italiani, che molte volte ci hanno salvato da situazioni che sembravano compromesse, dispereremmo.
Nonostante l’ottimismo sparso a piene mani dal governo, la crisi economica dell’Italia si aggrava e «ha reso più evidente e, purtroppo, per molte famiglie, anche più drammatica la debolezza della struttura industriale italiana», come dice autorevolmente Marchionne nella sua Lettera aperta a tutte le persone del gruppo Fiat.
Questa crisi aggrava quella della politica, incapace di dare risposte adeguate ai problemi del paese. Berlusconi sembra arrivato al capolinea e nonostante la sua abilità mediatica non riesce più a nascondere la sua inadeguatezza; ha però ancora molto potere e la volontà disperata di usarlo per non soccombere, è perciò molto pericoloso e può procurare danni irreparabili. Anche perché l’opposizione è impreparata, non riesce a offrire un’alternativa credibile e non sembra disporre di uomini all’altezza della situazione. Non è più tempo di mezze misure o di piccoli aggiustamenti, se vuole evitare il fallimento o lo smembramento, il nostro Stato deve mettere in cantiere riforme profonde e dolorose (e quel che sta accadendo in Grecia ci può dare un’idea).
Innanzitutto occorre abbattere il debito pubblico che strangola, con gli interessi passivi, il bilancio dello stato. Se vogliamo restare in Europa abbiamo solo due strumenti per farlo: un’imposta patrimoniale e/o un’imposta allo scopo come quella introdotta da Prodi per entrare nell’euro. Occorre poi ricostruire dalle fondamenta i tre settori cruciali per restare un paese moderno ed europeo e non essere risucchiati nel sottosviluppo: il fisco, l’istruzione, il lavoro; infine è assolutamente indispensabile una riforma delle istituzioni, a cominciare dalla legge elettorale e dal federalismo.
Ora il problema di queste riforme non sta tanto nel contenuto; ci sono proposte valide e in fondo non c’è molto da inventare, basta guardare come funzionano le cose nei paesi più avanzati vicini a noi. Il vero problema è formare una coalizione e trovare dei leader che abbiano il coraggio di dire finalmente la verità agli elettori sulla situazione italiana, che si assumano la responsabilità di proporre un nuovo patto sociale, che siano credibili circa la volontà e la capacità di portare avanti queste riforme. Perché su una cosa non ci possono essere dubbi: tutto questo non sarà senza dover combattere contro interessi consolidati da tempo che useranno tutto il loro potere per non cedere e senza che tutti, cittadini, lavoratori, imprenditori, proprietari, debbano pagare un prezzo alto. L’unica cosa che potrà e dovrà essere garantita e riconosciuta da tutti è l’equità dei sacrifici.
Finora questa possibilità era impedita da Berlusconi, dal suo ottimismo di facciata, dalle sue promesse a buon mercato, dalla sua propaganda spudorata. Ora però sempre più persone cominciano a capire i danni sempre più gravi che anni di chiacchiere, bugie, immobilismo e leggi nell’interesse del capo e della sua cricca stanno procurando all’Italia. È perciò urgente per l’opposizione abbandonare tatticismi, piccoli interessi di gruppo, timidezza, ideologismi per mettere in campo i suoi uomini migliori e meno compromessi e presentare al Paese un progetto di rinascita. In caso contrario la sua responsabilità non sarà inferiore a quella di Berlusconi e del suo gruppo.
È infine necessario che una forte maggioranza di cittadini escano dall’incantamento di Berlusconi e dalla demagogia della Lega, comprendano la necessità degli indispensabili sacrifici e sostengano una maggioranza alternativa nel suo sforzo riformatore. In caso contrario le conseguenze per il paese e il suo futuro potrebbero essere molto gravi.
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