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 375 - FEDE E IDOLATRIA

 

O DIO O MAMMONA

 

Il termine «mammona», nei libri deuterocanonici e nelle raccolte della letteratura giudaica successiva ai tempi di Gesù, ha un significato generico di «denaro», «ricchezza», senza nessuna delle connotazioni negative di idolatria che Gesù gli attribuisce in Mt 6,24 e Lc 16,13: «Nessuno può servire due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro o preferirà l’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e mammona». Luca modifica la prima espressione aggiungendo la parola “servo”: «Nessun servo può servire…».

La ricorrenza di questa parola aramaica nel Nuovo testamento solo nei detti di Gesù, l’uso insolito della stessa per designare una forza demoniaca o un dio falso contrapposto al vero Dio in un conflitto escatologico, e la conformità di questa etica radicale con le richieste di Gesù presenti in altri passi dei vangeli confermano l’autenticità di questo detto. È parola di Gesù di Nazareth (Meier, Un ebreo marginale, vol. 3, Queriniana 2001, pp. 534-35).

 

Un solo Dio, un solo Idolo

La Bibbia ebraica, centinaia di volte, si scaglia contro gli idoli, i falsi dei, Baal, Astarte, ecc. Adorarli è inutile, stupido, ingannevole, dannoso. È una forma di prostituzione. Essi sono solo opera di uomini, non vedono, non odono, non parlano, non camminano. Chi li fabbrica e chi in essi confida diventa come loro, si disumanizza completamente. Perciò bisogna combatterli, abbatterli, distruggerli.

Nella predicazione di Gesù, non si parla di «idoli». L’unico Idolo è Mammona. Gesù personifica Mammona come un idolo. È l’unico vero idolo, è l’idolo degli idoli, è l’idolo che esclude si possa adorare un altro dio all’infuori di lui.

In tal modo Gesù pone ogni uditore di fronte alla scelta fondamentale davanti alla quale i profeti avevano posto Israele: «Il vero Dio o i falsi idoli? Quale dei due adorerai, a quale obbedirai?». Il denaro e la proprietà possono assorbire tutto l’interesse al punto che ciò che si possiede comincia a possedere il possessore. Proprio la chiamata di Gesù alla consacrazione totale al regno di Dio dimostra che il denaro è il grande oggetto alternativo a tale consacrazione, un oggetto che non tollera rivalità. Non ci può essere compromesso: bisogna scegliere.

Perciò la scelta di Dio e il rifiuto di Mammona è una scelta non solo etica e sociale. Ancor meno è una scelta in qualche modo violenta. Non si tratta di distruggere materialmente gli idoli (e chi li adora). Si tratta di resistere senza tentennamenti alle pressioni dei seguaci del dio-denaro. È una scelta di vita che ci espone ai sogghigni degli altri, come Gesù che, proprio in seguito alla sua drastica affermazione, era deriso dai farisei «amanti del denaro» (Lc 16,14). È una scelta di fede, è una scelta teologica, fa parte integrante della scelta del Dio di Gesù.

 

Servire il Servo

«Servire Dio»: nelle tradizioni risalenti alle età preistoriche, nelle liturgie di ogni popolo, le divinità esigono dall’uomo un servizio continuo, basato su preghiere e sacrifici, anche cruenti. Dio è il Padre-Padrone-Padreterno.

Secondo l’annuncio evangelico, Dio non lo possiamo conoscere se non attraverso Gesù di Nazareth. Nessuno ha mai visto Dio. È Gesù che lo ha rivelato. Chi ha visto Gesù ha visto il Padre (Gv 1,18; 14,9). E Gesù è venuto non per essere servito ma per servire (Mc 10,45) e sta in mezzo ai discepoli come colui che serve (Lc 22,27). Gesù lava i piedi ai discepoli affinché abbiano parte con lui, partecipino della sua eredità. È una rivelazione, un esempio. Come il Maestro si è messo a servire, così devono fare i discepoli, gli uni con gli altri (Gv 13).

Il verbo servire (douléuein) compare solo in un altro passo della tradizione sinottica, nella protesta del figlio maggiore nei confronti del Padre, nella parabola del figliol prodigo (o del Padre misericordioso): «Ecco, io ti servo da tanti anni» (Lc 15,29).

La parabola mostra come la conversione non sia tanto un processo psicologico del peccatore che ritorna a Dio, quanto il cambiamento dell’immagine di Dio che sia il giusto che il peccatore devono operare. Radice del peccato è vedere nel Padre un Padrone da servire. Questa opinione è comune sia al figlio maggiore che al minore.

Il figlio minore, che pensava che il padre fosse padrone, volle essere come lui: padrone di se stesso. Poi si mise a padrone presso uno che gli fece pascolare i porci. E infine tornò dal padre chiedendogli di fargli da padrone. Per essere senza padrone, ognuno di noi è tentato di percorrere il cammino del figlio minore instaurando la strategia del piacere con tutte le gradazioni del ribellismo, dell’alienazione atea e del nichilismo. L’altro figlio, per imbonirsi il padre-padrone, instaura la strategia del dovere, con una religiosità servile. Ateismo e religione, dissolutezza e legalismo, sono aspetti che scaturiscono da un’unica fonte: vedere Dio come un padrone di cui bisogna essere schiavi. Se non esistesse bisognerebbe inventarlo, per tenere schiavi gli uomini. Ma se esistesse, secondo Bakunin, bisognerebbe distruggerlo, per liberarsene (Fausti, Una comunità legge il Vangelo di Luca, EDB 1998, pp. 544-55).

 

Esiste una ricchezza giusta?

Il termine «mammona» in Lc 16, (oltre al versetto 13) compare anche in due altri versetti precedenti: «Procuratevi amici col Mammona d’iniquità» (v. 9) e «se non siete stati fedeli nell’iniquo Mammona, chi vi affiderà il vero?»(v. 11). Bisogna concluderne che il denaro viene considerato ingiusto come tale e che non esiste ricchezza giusta?

Nel linguaggio giudaico appare la distinzione tra «mammona di iniquità» e una ricchezza che sarebbe giusta, cioè non acquisita con mezzi disonesti. Ma non si vede perché, in questo contesto, al v. 9 si dovrebbe raccomandare di farsi degli amici con del denaro mal acquisito piuttosto che con una ricchezza legittima. E la fedeltà raccomandata nel v. 11 non può riguardare solo i beni disonesti, con esclusione di quelli legittimi. Perciò il genitivo (di qualità) «di iniquità» e l’aggettivo «iniquo» vengono applicati al «Mammona» come tale che viene definito «iniquo», senza alcuna distinzione. Il versetto 12 continua il pensiero del v. 11, ma sostituisce l’espressione «Mammona ingiusto» con tò allòtrion, «il (bene) altrui»: «Se non vi siete mostrati fedeli nel bene altrui, chi vi darà il vostro?». Questo bene altrui è un bene che non vi appartiene, in opposizione al bene celeste, che può divenire il «vostro» e appartenervi realmente. Questa espressione singolare suppone che i beni terreni non appartengano realmente a coloro che sono considerati loro proprietari. Si allude alla concezione biblica tradizionale, secondo la quale i beni della terra sono semplicemente affidati agli uomini e rimangono proprietà esclusiva del Creatore: «La terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e inquilini» (Levitico 25,27). Mammona è perciò ingiusto in quanto l’uomo se ne appropria e lo accumula per se stesso negando l’esistenza di Dio, padrone dei beni di cui l’uomo è semplice amministratore (Dupont, Le Beatitudini, vol. III, Paoline 1992, pp. 260-65). Occorre infine aggiungere che neppure altrove nella sua predicazione Gesù opera distinzioni tra ricchezze guadagnate onestamente e ricchezze accumulate con mezzi illeciti.

L’unico modo di servirsi del Mammona d’iniquità senza divenirne il servo, è trasformare la proprietà in dono: «Procuratevi degli amici con la iniqua ricchezza, perché, quando essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne» (Lc 16,11).

Non si tratta solo di donare, ma anche di essere disponibili a ricevere doni. Gesù esorta sovente a donare ai poveri, ma non risulta che egli abbia fatto l’elemosina. Invece molte sue amiche assistevano coi loro beni Gesù e gli apostoli. Spesso Gesù era ospite di amici, anche di farisei.

L’economia della compravendita, basata sulla proprietà, sul Mammona ingiusto, viene sostituita dall’economia del dono, basata sul superamento della proprietà individuale, sulla condivisione. Questo non costituisce una perdita, un sacrificio, ma una gioiosa conquista, un inaspettato autentico arricchimento: «Non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o campi a causa mia e del vangelo, che non riceva già nel presente cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi» (Mc 10, 29-30)

 

Dario Oitana

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