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 374 - QUANDO L’INSUCCESSO NON FA SPETTACOLO

 

Diversamente sani?

 

C’era una volta la malattia e la morte. Anche sessant’anni fa si cercava spesso di nascondere la gravità del male. «Se ha i minuti contati gli si dice che vivrà altri cent’anni», così lamentava don Milani. Ora siamo più raffinati.

 

Politicamente corretto

Non si deve più dire «cieco, sordo, zoppo, storpio»… ma «non vedente, audioleso, disabile», anzi (è il colmo della raffinatezza) «diversamente abile». Si cerca di infondere ottimismo, fiducia nei progressi della scienza e della tecnica. Si presentano, come soluzioni alla portata di tutti, casi di persone che hanno saputo vincere gli handicap con l’aiuto di protesi efficaci e di forza di volontà. Un amico con problemi alla vista amava dire: «Sentirmi definire “diversamente vedente” mi appare come una presa in giro. Ho dei difetti alla vista e devo prenderne atto».

La televisione esibisce davanti al mondo, attraverso le paraolimpiadi, imprese di handicappati che forniscono ottime prestazioni negli sport più svariati. Anzi, sembra che alcune protesi rendano l’atleta più forte degli atleti “normali”.

Persone nate con sindrome down, persone spastiche, con gravi difficoltà di linguaggio e di movimento, riescono talvolta a percorrere un brillante ciclo di studi raggiungendo prestigiosi traguardi. Un bel film televisivo, Il figlio della luna, presentava il caso di un ragazzo italiano, inizialmente condannato come handicappato, che, anche con l’aiuto della caparbia madre, riusciva a ottenere, in Australia, un lusinghiero riconoscimento in un congresso scientifico ad altissimo livello. Quando questo film è stato presentato a una persona che giornalmente tratta con persone handicappate, il commento è stato: «Sì, è possibile, ma può essere al massimo un caso su mille. Gli altri rimangono irrimediabilmente e gravemente ritardati».

Anche il fatto che si chiami «depressione» uno stato di tristezza e di abulia che ognuno di noi può attraversare in un periodo della propria vita, usando lo stesso termine che indica una gravissima malattia, può indurre in errore. Racconti, film e telefilm sono pieni di casi di individui che cadono in depressione in seguito a qualche delusione. Ma ne escono. Il lieto fine è assicurato. Il depresso occasionale è portato a “consolare” così il depresso cronico: «Sei depresso? Anch’io lo sono stato! E ne sono uscito con la forza della mia volontà. Datti una mossa!». L’effetto di questi sermoni e di queste narrazioni è spesso micidiale.

Ma i mille fallimenti, i mille casi di persone che vivono la vita in modo difficile, con scarse soddisfazioni per sé e per i familiari, non possono costituire un valido soggetto per un film o un romanzo. L’insuccesso, l’insuccesso senza scampo, non può fare spettacolo.

 

Genio incompreso

Un altro film fuorviante è stato Rain man. Il soggetto autistico viene presentato come una persona che presenta gravi difficoltà di socializzazione accompagnate però da una prodigiosa intelligenza. Per molti (anche per il sottoscritto, fino a un anno fa) l’unica conoscenza dell’autismo si riduce a quanto comunicato da questo film. Anche altri film presentano casi di autismo in cui il soggetto mostra doti straordinarie affrontando problemi altrimenti irrisolvibili. Si hanno anche notizie di persone autistiche che sono state in grado di percorrere con successo una carriera universitaria e di fare uscire pubblicazioni sulla loro esperienza. Insomma il soggetto autistico sarebbe una persona la cui intelligenza stenta a farsi riconoscere. Ma, anche in questo caso, lo happy end è assicurato. La mente, opportunamente stimolata, rivela una particolare genialità.

È vero, una forma particolare di autismo, la sindrome di Asperger, può consentire uno sviluppo intellettuale in qualche caso anche superiore alla media. Ma, per la maggioranza dei casi, si ha una forma più o meno grave di ritardo mentale.

Occuparsi di autismo, specie se si è emotivamente coinvolti, è estremamente angosciante. Il bambino, nei primi due anni di vita, si sviluppa normalmente. Poi, senza nessuna causa apparente, perde capacità di attenzione e dimentica il piccolo vocabolario che si era formato nella sua testolina.

Analisi di ogni tipo non rivelano nulla di anomalo. Si scopre che chi si fregia del titolo di pediatra è molto meno competente di qualsiasi parente di un bimbo autistico. L’ignoranza dilaga, soprattutto l’ignoranza dei dotti, degli specialisti.

Talvolta i genitori (questo caso è comune a molte malattie mentali) non osano parlarne con gli amici. Si vergognano di avere un bimbo ritardato, diverso dai coetanei. Ma sono soprattutto gli uomini di scienza che si vergognano di ammettere il proprio fallimento. Ne va della fede nel Progresso. La Scienza può tutto. Più che mai in questo caso, la scienza si capovolge nel suo contrario: un’abissale e presuntuosa ignoranza.

 

Terapia dell’ottimismo

Tornando al caso generale, è senz’altro giusto tentare di tutto. Miglioramenti sono sempre possibili. La rassegnazione fatalistica è la scelta peggiore. Ma occorre una volontà eroica e un fortissimo spirito critico. Poiché, accanto alla boria dei sacerdoti della medicina tradizionale, pullulano sacerdoti delle varie medicine alternative che promettono ricette miracolose, approfittando della ingenuità e della disperazione dei familiari dei pazienti. Sui siti internet si trova tutto e il contrario di tutto. Esistono certamente operatori competenti, persino medici. Ma non è facile scovarli, in quanto di solito sono persone modeste, poco conosciute, che non sparano ricette infallibili.

Un ottimismo separato dalla realtà, un ottimismo veicolato e gonfiato da persuasori interessati non può che portare a disastrosi crolli. «Dove sono i risultati? Mi hanno fornito esempi di premi Nobel e di campioni olimpionici mentre io non sono neppure riuscito a insegnargli a camminare, a parlare! Perché in altri casi i metodi funzionano, o almeno così dicono? Sarà colpa mia?». La fede nell’immancabile guarigione può condurre a frustrazioni tali da impedire qualsiasi terapia efficace.

Forse occorre accettare fino in fondo che ci possano essere persone irrimediabilmente svantaggiate. Forse occorre avere il coraggio di lottare anche senza sicurezze, senza garanzie. Forse una visione disincantata della reale patologia potrà condurre a un miglioramento almeno nel modo con cui la persona handicappata viene trattata. Forse potremo scoprire in coloro che sono curati delle qualità, anche se diverse da quelle promesse dai ciarlatani di ogni scuola. Forse i nostri numerosi errori potranno insegnare qualcosa a noi e agli altri. Forse la scienza potrà progredire se non sarà solo affidata agli scienziati di professione. Forse la divulgazione non sarà affidata solo a giornalisti in cerca di scoop e a produttori di film di successo.

Dario Oitana

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