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società
Analizzavo corpo, anima e spirito della «macchina» per eccellenza, allora e ancora. Quella macchina infesta ancora le città e l'immaginario, e i sacrifici quotidiani alla velocità, e il viaggiare individualizzato, ma c'è un nuovo strumento di cui bisogna esaminare la molteplice fenomenologia: il telefonino, o cellulare. Certamente, qualcuno lo avrà fatto benissimo, ma io ora non conosco se non cenni frammentari. Annoto qui alcune modeste osservazioni-suggerimenti analitici-descrittivi del comportamento, non tecnici. – Il telefono fisso, di casa: corpo lontano, anima (voce) vicina; più della scrittura, ha la voce; meno della presenza, non ha (per lo più, ora) il volto; ha il vincolo alla casa (che c'è anche col cordless), ma anche il valore del parlare e ascoltare nell'ambiente-casa. – In più del telefono fisso, il cellulare è "mobile": infatti, in alcune lingue si chiama soltanto "mobil", nome che identifica la sua principale qualità. – Riempie tempi di silenzio, che potrebbero essere di riflessione, se non di pensiero, o di conversazione coi fisicamente presenti: si vedono persone parlare al telefonino per tutto il percorso del tram, o del bus, e salgono e scendono ancora parlando (forse gli stranieri più degli italiani: sento spagnolo, romeno, russo, arabo...); oppure per strada; oppure suona nelle riunioni, o in chiesa, o ai concerti, o al cinema, tanto che si è creata la necessità dell'avviso «spegnere i cellulari». – In treno (scomparse le vetture a scompartimento), nonostante l'avviso di abbassare la voce o andare sulla piattaforma (obbligo in Francia), ascoltiamo gli affari e gli affetti dei parlanti in tutta la lunghezza della vettura. – A volte, si sente parlare in continuazione, per delle mezz'ore; mi chiedo: non c'è nessuno dall'altra parte? si trasmette o si dialoga? non costa nulla? – Il telefonino raddoppia l'attività possibile nello stesso momento. Due immagini nella mia memoria: 1) carrello della spesa, alla cassa davanti a me, paga, ritira il resto e le cose comprate, chiede ancora un sacchetto, ricarica tutto sul carrello, sempre parlando in spagnolo al telefonino tenuto all'orecchio, ora con la mano destra, ora con la sinistra; 2) sale sul bus spingendo il passeggino col bambino, ha le borse della spesa, sistema il bimbo e le borse, sempre parlando nel telefonino schiacciato fra la testa e la spalla (nuovo gesto che sa di tenero affetto, o di crampo...), a rischio che le cada, nel salire, tra marciapiede e bus: abbandonerebbe il bimbo o il telefonino? – Come ogni strumento tecnologico, è potenza e legame: potenzia il corpo (voce) nello spazio distante; potenzia anche la relazione, il parlare e ascoltare, avere informazioni urgenti o importanti sull'altro; obbliga (salvo staccarsi) a rispondere a chiamate da lontano in ogni situazione e luogo. – La domanda di Dio ad Adamo «Dove sei?» (Gen 3,9) risuona oggi dovunque, continuamente, come mai prima, perché chi chiama un altro sul cellulare lo cerca nello spazio universale, potrebbe essere dovunque, ma anche ha bisogno di collocarlo (non siamo puri spiriti). Il filosofo torinese Maurizio Ferraris, non a caso, ha intitolato Dove sei? un suo libro sull’Ontologia del telefonino (Bompiani 2005). – All'inizio era vietato negli ospedali, perché interferiva nelle apparecchiature sanitarie; ora è usato normalmente e allaccia utilmente casa e ospedale, malato e familiari e amici. Non interferisce più? È ancora vietato in aereo, per la stessa ragione. – Così, c'erano timori di danni cerebrali. Forse sono già avvenuti in chi ce l'ha sempre sull'orecchio... – Ma più di ogni altro strumento è incorporato nel nostro corpo: ci segue (lo portiamo) ovunque. Ci rende presenti a tutti (quelli che vogliamo, a cui abbiamo dato il numero, che non è in elenchi pubblici). – Osservo che molti (giovani) lo tengono sempre in mano: come uno scettro di potenza? come tenere per mano gli amici? come gesto che dà sicurezza (il bimbo per mano alla mamma)? – Sempre di più questo apparecchietto ne contiene altri: foto, radio, giochi, calcolatrice, internet, tv... È una pluritecnologia, un mini-computer, una porticina di entrata nel mondo delle potenze aggiunte. – Sta diventando una protesi inseparabile dal corpo, come ormai da millenni i vestiti e le scarpe, da secoli gli occhiali, da decenni l'orologio... – Già, poi c’è quel coso infilato nell’orecchio, come la protesi per la sordità, che ti telefonizza direttamente l’udito: il cellulare sei tu. Padiglione auricolare = padiglione cellulare. – Domanda: come l'arma diventa il corpo protagonista, e l'armato la sua protesi, così (con minore delitto e sangue; ma il cellulare è anche miccia della bomba) questo accesso all'universo ci trasforma in sue piccole protesi? Enrico Peyretti
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