Per almeno due volte, in momenti di rischio politico per il governo di destra, il papa ha sentito il dovere di sostenerlo per aver «difeso il Crocefisso».
Noi possiamo capire che per prudenza diplomatica, come capo del Vaticano, egli abbia potuto tacere sul grave scandalo morale dato a tutti gli Italiani dal Presidente del Consiglio con una condotta privata e con pubbliche dichiarazioni lesive dei principi etici più cari alla precettistica magisteriale. Ma ci chiediamo come si possa ringraziare per la tutela del principale simbolo cristiano un governo che ha teorizzato e messo in atto una legislazione che comporta sia il rifiuto di dare ospitalità agli stranieri, sia il peggioramento delle condizioni di vita di poveri e carcerati. Non ha forse proclamato il Nazareno, poco prima della sua crocefissione: «Ogni volta che non avete fatto una di queste cose (dare da mangiare, da bere, ospitare, vestire, soccorrere) a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l'avete fatto a me» (Mt 25,45)?
Se teniamo conto poi che il papa, pochi giorni dopo, è ritornato sul tema aggiungendo che sono contro la libertà religiosa, non solo i terroristi mediorientali, ma tutti gli stati «che promuovono per legge stili di vita contrari ai principi della fede come l'educazione sessuale o civile (sic) nella scuola e la disgregazione della famiglia, non difendono la vita nascente ricorrendo a manipolazioni genetiche, contraccezione o aborto, o limitando il diritto dei medici all'obiezione di coscienza; ma vietano pure la pubblica esposizione dei simboli sacri come il Crocefisso», abbiamo il quadro pieno della confusione spirituale e morale dei vertici del cattolicesimo. Questo tanto più che da tale elenco di legislazione anticristiana mancano del tutto i temi della giustizia sociale e della carità, oltre che un cenno, almeno, alla predilezione del Dio di Gesù Cristo per i poveri, gli stranieri e tutti gli infelici ed emarginati della terra.
Non è forse il comandamento di amare Dio nel prossimo più diseredato il cuore pulsante della teologia e dell'etica evangelica? Non sopravanza forse la charitas, secondo le lettere di Giovanni e di Paolo, ogni virtù cristiana, comprese fede e speranza? Quale stato se non è laico e aconfessionale può garantire a tutte le fedi e assenze di fede la libertà di seguire le proprie convinzioni religiose e di coscienza?
Chi imbocca il papa? Chi mai, tra tutti coloro che come noi sono figli di questa chiesa, potrà sfuggire il giorno del giudizio alla sentenza «Via, lontano da me, maledetti» (Mt 25,41)?
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