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 379 - il foglio - FEBBRAIO 1971 – 2011 - Aldo Bodrato

 

Essere e malessere della Chiesa, ieri e oggi

 

Nell'articolo di Peyretti sui quarant'anni de il foglio si parla dei nostri rapporti con la Chiesa torinese e della perplessità di monsignor Pellegrino rispetto alla nostra teologia.

Questi due cenni vanno approfonditi per capire come e perché la nostra relazione con la realtà ecclesiale, non solo locale, sia diventata sempre più distaccata e potenzialmente ostile, ma mai del tutto indifferente.

Giustamente egli osserva che il nostro mensile, nato per aiutare la chiesa e la comunità civile a maturare una profonda coscienza di sé e a disporsi a un radicale rinnovamento, dedicava allora molta attenzione ai temi e ai problemi teorici e pratici della vita diocesana. Oggi non più, o almeno non nella stessa misura e con la stessa passione. La progressiva involuzione anticonciliare delle gerarchie locali e nazionali, la scomparsa della partito che rappresentava in parlamento gli interessi economici e sociali della Chiesa (Dc), hanno portato Vaticano e Cei a gestire in proprio i temi politici e sociali loro cari. Il che ha decretato la fine di ogni esperienza di libera partecipazione dei laici alla vita ecclesiale e persino dei politici di matrice cristiana a quella della società civile.

Persa la possibilità di contribuire alle scelte della propria comunità, sempre più anonima, ossequiosa e inerte, è finita nei credenti anche la voglia di seguire criticamente iniziative condotte ormai all'insegna del motto: tacere, obbedire e fare come se il Vaticano II non fosse mai stato.

È così che, al termine dell'episcopato Pellegrino e di quello di Ballestrero, meno vivo ma pur sempre ancora attento ai caratteri comunitari della Chiesa, abbiamo spostato sempre più l'attenzione degli articoli teologici dai problemi ecclesiali e pastorali agli approfondimenti esegetici e alla ridiscussione delle questioni dottrinali, spirituali ed etiche.

 

Allontanamento progressivo dal Concilio

D'altra parte, se confrontiamo l'analisi condotta nel secondo numero sul “malessere” della Chiesa (Essere e malessere della Chiesa, anno I, n. 2, marzo 1971) con quella che possiamo condurre oggi sulla stessa questione, ci accorgiamo che non tutto è cambiato e che già allora si imponeva la denuncia dell'affievolirsi dello spirito conciliare e della difficoltà della Chiesa a rinunciare ai privilegi connessi alla mussoliniana proclamazione del cattolicesimo come «religione di stato».

Scrivevamo nel '71: «I giorni in cui nasceva la speranza di un facile rinnovamento si allontanano e ciò acuisce il nostro senso critico e il nostro disagio. Ormai l'insegnamento conciliare che ci tocca più da vicino è quello che ci parla della situazione di peccato della Chiesa e che ci indica, come sola strada di rinascita, la conversione ... Il dubbio di non essere rimasti fedeli alla missione originaria si presenta ogni giorno in forma più radicale ... La vicinanza e l'assimilazione ai grandi, la compromissione col potere economico e politico, la ricchezza, la mancanza di coraggio, lo spirito borghese, l'autoritarismo, l'attaccamento eccessivo ai canoni, l'oppressione segreta e pubblica del povero, il culto degli idoli religiosi e secolari (che da mammona irradiano) sono ormai accuse che si rivolgono non tanto a singoli, quanto alle stesse forme istituzionali della Chiesa» (ivi p. 1).

Scriviamo oggi cose analoghe, ma più disperate, con l'aggravante che non abbiamo per compagni solo voci del cosiddetto “dissenso”, ma uomini di lunga esperienza ecclesiale che provengono da ambienti assolutamente diversi dai nostri ed esenti da ogni influsso laicista.

Di Giancarlo Zizola, vaticanista di lungo corso e profondo conoscitore della dottrina e della storia della Chiesa, basterà citare il titolo di un ampio articolo, La lunga notte del cattolicesimo italiano («Rocca», 21/2010), che presenta il disorientamento di «credenti e non» di fronte alla perdita di credibilità di papa e vescovi a seguito dell'ostentata contiguità con governanti che teorizzano e attuano, in pubblico e in privato, comportamenti anti evangelici e stili di vita più che discutibili. Allo stesso modo è sufficiente riportare uno stralcio dell'intervento di monsignor Raffaele Nogaro sull'infedeltà al vangelo di chi, da posizioni gerarchiche di prestigio, giustifica l'ingiustificabile. Scrive l'ex-vescovo di Caserta: «Che dire di una Chiesa che tace e talora si compiace del qualunquismo imperante? … Si può “contestualizzare la bestemmia”, “la trasgressione pubblica della pratica sacramentale”, perché al capo si devono concedere tutte le licenze? Noi rimaniamo nello sgomento vedendo i gesti farisaici delle autorità civili e religiose, che riescono ad approdare a tutti i giochi del male, dichiarando di usare una pratica di virtù più moderna e liberatoria. È del tutto sconveniente che, per comprarsi i favori di un gruppo di professione pagano, si dica che esso è portatore di genuini valori cristiani, come è avvenuto per la Lega» («Micromega», 1/2011).

 

Noi credevamo

Sul «malessere» della chiesa di ieri e di oggi tutto ciò può bastare. Resta da chiederci perché, visto che tuttora accade quanto era già temuto e prevedibile quarant'anni fa, sapendo che le nostre posizioni teologiche erano poco accette persino a un vescovo conciliare come Pellegrino, abbiamo continuato a confrontarci, almeno saltuariamente e da posizioni teoriche più mature ma analoghe, con una realtà ecclesiale in sfacelo. La ragione sta nel fatto che, allora come ora, crediamo che dentro il “male-essere” storico della Chiesa si trovi, nascosto nelle sue radici, un “essere” di verità, libertà e amore potenzialmente esplosivo e pervasivo.

Nell'articolo che quarant'anni fa s'interrogava su «essere e malessere della Chiesa», non ci limitavamo a denunciare i limiti della nostra Chiesa, ma contrapponevamo il suo secolare autoritarismo alla valorizzazione del carattere comunitario dell'ecclesiologia neotestamentaria, messa in atto dal Vaticano II; denunciavamo le sue storiche compromissioni con le classi dominanti confrontandole con l'insistenza biblica sul primato della giustizia e dell'amore di Dio per gli ultimi. Inoltre vedevamo nella predicazione, nelle lettere pastorali, negli atti del nostro vescovo una seria volontà di realizzare le indicazione del Concilio e le speranze da esso alimentate. Sperimentavamo la capacità di un Cardinale, che voleva essere chiamato «padre», di mettersi in sintonia con la realtà problematica e conflittuale del mondo del lavoro, con le sofferenze e la volontà di riscatto degli emarginati, con gli interrogativi spirituali ed etici degli uomini di cultura, credenti e no, con la richiesta di larga parte del clero e del laicato di far sentire la sua voce nella conduzione della diocesi e nell'annuncio del Vangelo alla città. Partecipavamo al nascere dei consigli rappresentativi diocesani. Sentivamo un Principe della Chiesa chiedere al Consiglio pastorale, che comprendeva laici, preti e religiosi, di preparare e discutere le sue lettere pastorali: Camminare insieme e Uomo o cristiano?. Toccavamo con mano la disponibilità di Pellegrino a rendere parola sua e della chiesa torinese anche i contributi della nostra «cattiva teologia», per portare a compimento la stesura della seconda edizione di quest'ultimo testo (cfr. Aldo Bodrato, Testimone di libertà fedele in Padre Michele Pellegrino, a cura di P. G. Giorgis, vol. II, Fossano 2006, pp.134-40). Ecco perché noi credevamo che «l'essere» della Chiesa potesse prevalere sul suo «malessere» e, anche se con sforzo maggiore, lo crediamo oggi.

Lo crediamo, oltre che per escatologica speranza, anche perché, dopo un vescovo spiritualmente raffinato ma di estrazione monastica come Ballestrero, e due, certamente ben intenzionati, ma oppressi dal clericalismo e dalla paura di Roma e di ogni soffio di novità, come Saldarini e Poletto, il nuovo vescovo, inviatoci da Roma senza alcuna consultazione del clero e dei laici torinesi, ha inaugurato per Natale la sua azione pastorale con la visita, in abiti laicali, a un campo nomadi autorizzato e a uno non autorizzato. Ambedue quasi inghiottiti dal fango. Un gesto che simbolicamente equivale alla visita di Pellegrino alla «tenda rossa» degli operai Fiat in sciopero (31 marzo 1973), in quanto rovescia il primato dato dalla gerarchia cattolica al rispetto formale e teorico della sua autorità, dei suoi insegnamenti e del culto esteriore, a vantaggio della messa in pratica sociale e personale della Parola di Dio, che non chiede sacrifici, ma giustizia e rifiuta l'ostentazione dell'amore a Lui rivolto se non si concretizza nell'amore del prossimo: poveri, vedove e stranieri.

Un albero si riconosce dai suoi frutti, un vescovo e la sua Chiesa da coloro a cui dedicano la più solerte e disinteressata attenzione. Ma una rondine può fare primavera?

Aldo Bodrato

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