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 383 - Intervista a una giovane giornalista tunisina

 

VERSO QUALE TUNISIA?

 

Alla fine di aprile abbiamo avuto l’opportunità di intervistare Hanene Zbiss, giornalista tunisina responsabile della cultura della rivista «Réalités» e collaboratrice di altre testate in lingua italiana, che ha seguito da vicino gli avvenimenti nel suo paese. Abbiamo colto l’occasione per avere alcune informazioni dirette su quanto sta succedendo là e sulle sue ricadute per l’Italia.

Lei ha vissuto dall’interno la «rivoluzione dei gelsomini», ci può dire come sono accaduti realmente i fatti che hanno dato il via alla rivolta del popolo tunisino contro il regime di Ben Ali?

In generale l’informazione ha dato una versione corretta di quanto accaduto. Da tempo si avvertiva un’aria di malessere nel Paese, di insofferenza. Aumentava sempre di più la distanza tra i pochi ricchi, quasi tutti legati alla famiglia del Presidente, e i poveri soprattutto i giovani delle regioni interne. È qui che è nata la rivolta. Credo sia importante aggiungere qualche particolare che ho potuto cogliere nella città tunisina di Sidi Bouzid, città dove il giovane venditore ambulante abusivo, Mohamed Bouazizi, si è dato fuoco in piazza per protesta contro la confisca della merce di frutta e verdura che vendeva per vivere. Bisogna dire che durante la discussione con la Polizia il giovane aveva ricevuto uno schiaffo da parte di una poliziotta. Questo atto ha certamente contribuito alla decisione di suicidarsi per riscattare la propria dignità senza portare violenza a una donna. Dobbiamo poi anche tenere presente che il suicidio nella nostra religione è un peccato e quindi un atto estremo di violenza su se stessi e che il darsi fuoco ha, nell’immaginario collettivo, un forte impatto emotivo. Si spiega così come il suo gesto sia diventato subito simbolo della nostra rivoluzione.

Qui si è parlato molto della funzione di internet, in particolare di facebook, nella vostra rivoluzione. Ci conferma questo dato?

Sì, certo. Senza l’aiuto delle nuove tecnologie questa rivoluzione non sarebbe stata possibile. Noi stessi ci siamo stupiti di come l’informazione si sia divulgata, e ancor oggi si divulghi, rapidamente tra la gente con i pc e i cellulari. In facebook venivano date le notizie in tempo reale su dove venivano organizzate le manifestazioni, le indicazioni sulla strade da non percorrere, le targhe delle auto sospette. Insomma si è creata una rete che ha permesso la nostra sopravvivenza e l’organizzazione di un potere rivoluzionario.

Ci pare di poter dire che questa vostra rivoluzione sia stata condotta dai giovani, anche quelli delle discoteche. È vero?

I giovani, al di là di quanto si pensi normalmente, sono spesso la base per ogni cambiamento di una realtà vecchia in senso negativo, cioè incapace di rinnovarsi. Forse può stupire che moltissimi di coloro che sono scesi in piazza per protestare contro Ben Ali appartengano al mondo della musica rock, rap, hip hop e altro. Ci sono state canzoni su internet in cui i musicisti rap con la loro musica uniscono e invitano il giovane pubblico alla ribellione.

Da noi ci si chiede perché i tanti, soprattutto giovani, scappano dalla Tunisia proprio adesso che sembrate un Paese avviato verso la libertà e la democrazia. Quale spiegazione si può dare a questo esodo?

Sembra una contraddizione, ma non è così. La gente ha ancora paura che ci voglia del tempo, molto tempo, prima che tutto si normalizzi. Da noi la gente nelle regioni interne vive in condizioni precarie e a volte di sola sopravvivenza. Gli anziani hanno fatto molti sacrifici per fare studiare i figli; molti giovani si sono laureati, nella speranza di una vita migliore, ma si sono poi trovati disoccupati. Una buona parte di loro sogna sempre di poter raggiungere l’Europa pensando di trovare un lavoro per una vita migliore, simile a quella che loro vedono nelle tv europee. Così non è strano che si facciano enormi sacrifici, spesso dell’intera famiglia, per pagarsi un viaggio rischioso verso una vita più dignitosa. Questi viaggi sono sempre stati fatti dagli emigranti, da tutti gli emigranti, sorretti dalla speranza di arrivare in un mondo migliore. Questo vale anche adesso.

Qual è attualmente la situazione politica?

Al governo di Ben Ali sono succeduti alcuni governi provvisori. Dico alcuni perché i primi hanno dovuto dimettersi sotto la pressione del popolo che non voleva più vedere figure pel passato regime. A oggi i partiti che si presenteranno alle prossime libere elezioni dei luglio sono più di 50. Dopo il partito, praticamente unico, del deposto presidente, la sola forza politica strutturata è il sindacato che, comunque, essendo trasversale, è formato da idee diverse sulla nuova società. Di qui il proliferare di partiti. Presenti anche quelli islamisti, che non vuole dire fondamentalisti. In Tunisia la loro presenza non è marginale ma c’è una grande resistenza del popolo alle loro idee retrograde. Da tempo il Paese, che è tollerante, vede la presenza di differenti confessioni religiose. È anche il primo paese arabo e musulmano ad avere dato tanti diritti alla donna e ad abolire la poligamia. Significativo il fatto che oggi nelle moschee certi fedeli protestino contro quegli imam che cercano di orientare la gente verso un voto confessionale. Di questi giorni la parità uomo/donna nelle liste elettoral è stata decisa. Insomma una situazione che ci fa ben sperare per la futura politica che sapremo darci.

Come vivete la guerra in Libia?

Con grande paura. Il rischio oggi è che il conflitto da lì venga esportato in Tunisia perché gli scontri tra le forze di Gheddafi e i rivoluzionari si svolgono sui nostri confini e certe volte si fanno sul nostro proprio territorio come quello che è sucesso a Dhiba. Il nostro paese è in fase transitoria con tanti problemi a livello economico, sociale e politico, e non sopporterà una nuova guerra sulle sue frontiere. Speriamo che la situazione in Libia si chiarisca al più presto con la sua disfatta. Per adesso dobbiamo sopportare l’immigrazione di migliaia di profughi che scappano da condizioni disumane. Devo dire che la Tunisia è da sempre un Paese accogliente dove si sono rifugiati perseguitati da tanti paesi di ogni religione e culture come gli italiani nel 1820. Nonostante la nostra situazione attuale sia complicata (10 milioni di abitanti con una disoccupazione giovanile pari al 30%), nei campi di accoglienza di Ras Jadir, che ho visitato a fine marzo, abbiamo ricevuto 350.000 profughi. Molti si sono trasferiti nei loro paesi di origine, ma adesso stanno arrivando i libici che fuggono dalla guerra. In 50 mila hanno già varcato le nostre frontiere e saranno ancora di più nei prossimi giorni. Speriamo che tutte le nazioni, in primo luogo quelle dell’Unione Europea, ci aiutino anche con sostegni concreti e non solo a parole.

Una previsione sul futuro del bacino del Mediterraneo?

Credo che molto dipenderà da come andranno le cose qui da noi in Tunisia. Voglio dire che se da noi si realizzerà una vera democrazia, allora questa diventerà il modello di riferimento per tutti gli altri stati arabi. Vedo che anche in Europa i giovani cominciano a protestare contro un capitalismo diventato troppo disumano. Questo vuol dire che le rivendicazioni della dignità, del lavoro e della libertà sono universali e che ogni volta che questi diritti fondamentali sono minacciati, la gente protesta, nonostante la diversità delle religioni e delle culture. Questo è un augurio a tutti per un futuro più giusto e più sereno. Allora si può dire che la «rivoluzione dei gelsomini» sia servita a incoraggiare la cultura dell’indignazione nel Mediterraneo e l’aspirazione a una realtà migliore.

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