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 383 - Storia dimenticata di un protagonista del Risorgimento

 

Des Ambrois, chi era costui?

Una breve via nei pressi di piazza Carlina, una lapide in Prefettura, un liceo ad Oulx dov’era nato. Pochi i ricordi che Torino e il Piemonte riservano a Luigi Des Ambrois de Névache, ministro con Carlo Alberto prima e dopo lo Statuto, presidente del Consiglio di Stato, deputato e senatore, e infine, in quella Roma in cui si considerava «un orso sceso dalle Alpi» con un cognome impronunciabile, presidente del Senato fino al giorno della morte, il 4 dicembre 1874. Poco più di un mese prima nel discorso d’insediamento aveva affermato: «Alieni da ogni spirito di parte amiamo la moderazione che non nasce dalla debolezza, ma è culto della ragione e della giustizia, siamo conservatori senza avversare il progresso». Un sintetico testamento spirituale che ben riassume la vita trascorsa al servizio dello stato, la formazione perfettamente in equilibrio tra due lingue e due culture, la francese e l’italiana, e l’abilità nel tessere compromessi di alto profilo nelle situazioni più difficili.

Difficili rapporti con Cavour

Di tre anni più anziano di Cavour, Luigi Des Ambrois proveniente da una famiglia di antica nobiltà ma di scarsi mezzi, riesce tuttavia a frequentare il liceo e l’Università a Torino, laureandosi utroque iure nel 1828. Valente giurista, è incaricato, giovanissimo, dalla Corte dei Conti di rivedere il testo del codice civile che stava per essere emanato, ma il primo incarico politico-amministrativo è l’invio come Intendente a Nizza nell’ottobre 1841, città afflitta da faide, scossa dall’irredentismo filofrancese, nonché da catastrofi naturali dovute alle ricorrenti inondazioni. Dà prova di efficienza e buongoverno disponendo, tra l’altro, l’arginatura del fiume Var e un piano regolatore in cui sono tracciati i lungomare ora chiamati Quai des Etats-Unis e Promenade des Anglais. Tornato a Torino nel 1844, i buoni risultati di Nizza gli valsero la nomina a ministro degli interni, che comprendeva anche la pubblica istruzione e i trasporti. Intuì la grande importanza delle ferrovie, osteggiate allora da molti conservatori, avviando la costruzione della Torino-Genova e dell’Alessandria-Lago Maggiore (assi strategici per lo sviluppo del Piemonte) e propugnò l’attuazione del traforo del Frejus, il cui merito venne poi quasi totalmente attribuito a Cavour. Con quest’ultimo non ebbe un rapporto felice e si dice che all’origine di una certa rudezza tra i due ci fosse una disputa relativa alla costruenda ferrovia Torino-Savigliano: un gruppo di imprenditori guidato da Cavour voleva ottenerne la concessione, applicando però tariffe troppo elevate. Des Ambrois bloccò l’iniziativa, ritenendo che il nuovo mezzo di trasporto dovesse essere accessibile anche ai ceti medio-bassi (V. Cian, Carlo Alberto all’opera, sue lettere al ministro Des Ambrois in «Nuova Antologia», giugno 1913). Anche nel campo della pubblica istruzione le iniziative furono per quei tempi lungimiranti, dalla introduzione del sistema metrico decimale alla fondazione a Venaria di un «Istituto di veterinaria, agricoltura e arte forestale», allo scontro con la Chiesa e i Gesuiti , per un primo abbozzo di istruzione pubblica e laica, diretta anche ai ceti popolari.

Ma il momento di maggior impegno fu il delicato passaggio dalla monarchia assoluta a quella costituzionale. Tra gli estensori materiali dello Statuto del 4 marzo 1848, egli si ispirò alla costituzione francese del 1830, badando a non ridurre eccessivamente i poteri del governo, conscio comunque che una nuova epoca aveva inizio e un’altra si chiudeva per sempre: «firmando lo Statuto – annota in francese – il re rinunciava al potere assoluto per sé ed i suoi successori. La nazione diventava padrona dei suoi destini. Un’era nuova si apriva per essa e per Casa Savoia. Il momento era solenne» (Negri-Simoni, Lo Statuto Albertino e i lavori preparatori, Roma 1992). Il successivo 16 marzo si forma il primo governo costituzionale sotto la presidenza di Cesare Balbo. Des Ambrois vorrebbe restarne fuori, ma per l’ insistenza sia del re che teneva alla continuità e sia di Thaon di Revel, ministro delle finanze che paventava le difficoltà della crisi, finì per accettare la riconferma ai lavori pubblici, ministero che aveva mantenuto dopo lo scorporo delle altre funzioni avvenuto l’anno precedente. Analogo atteggiamento di modestia e discrezione mostra nel 1849 quando, dopo il disastro di Novara, il nuovo re, in gravi difficoltà politiche, lo avrebbe voluto presidente del consiglio dei ministri: Des Ambrois suggerì invece un nome nuovo, Massimo d’Azeglio, «garanzia di libertà e al contempo di salvezza e di consolidamento per la monarchia». Intanto era stato eletto deputato nel collegio di Susa (gennaio 1849), ma nel dicembre dello stesso anno accetterà un più tranquillo posto al Senato, lontano dalle gazzarre tra democratici e conservatori, e più consono al suo carattere equilibrato (R. Borgis, L. desAmbrois de Névache, storia ritrovata di un protagonista del Risorgimento, 2007, p. 60). Non va infine trascurato un altro momento di grande protagonismo: la partecipazione come plenipotenziario alle trattative che precedettero e seguirono la guerra del 1859: gli incontri con Napoleone a St. Cloud, gli accordi di Zurigo e il congresso di Parigi, passando per il trattato di Torino (24 marzo 1860) che definì la cessione di Nizza e Savoia, alla quale Des Ambrois, pur ossequiente alla ragion di stato, fu risolutamente contrario. In queste vicende, invece, quasi tutti i meriti sono stati attribuiti alla sagacia di Cavour e all’abilità diplomatica di Costantino Nigra.

Una questione di stile

Dopo il 1861 e più ancora dopo il trasferimento della capitale prima a Firenze e poi a Roma la sua attività pubblica tende a diventare più discreta concentrandosi sulla presidenza del Consiglio di Stato. Trascorre diversi periodi nel “buen retiro” di Oulx curando la redazione di Notes e Souvenirs su temi autobiografici e storici. Negli archivi si trovano peraltro anche interessanti appunti sulla soluzione della “questione romana”, in cui proponeva di lasciare al Papa la sovranità della c.d. città leonina. A un suo biografo che gli chiedeva di controllare alcuni dati, Des Ambrois risponde, quasi contrariato, «se tuttavia manterrà l’idea di pubblicare… la prego di evitare qualsiasi elogio, penso siano i fatti a parlare e che non abbiano valore se non nel caso in cui corrispondano al vero» (ibid., p. 73). Lo stile della persona era già emerso nel 1848 quando Carlo Alberto gli conferì un titolo onorifico e una pensione di 12.000 lire annue. Egli ottenne che la rendita fosse dimezzata in quanto «bastante al tenore di vita e viste… le strettezze della finanza pubblica…». Benché abbia lasciato «tracce gloriose dell’opera sua nella storia del Risorgimento italiano», come sta scritto sulla lapide di Piazza Castello, il cavalier Des Ambrois de Névache fu presto dimenticato. Forse non giocarono a suo favore il cognome e la formazione francese, quando per lunghi periodi il nuovo stato non ebbe buoni rapporti con la Francia – si pensi alla guerra doganale degli anni ’80 e all’adesione dell’Italia alla Triplice alleanza. Erano gli anni in cui si costruirono le strade e i forti sulle alpi occidentali, su “sacri” confini che tali non erano mai stati. Poi dopo la breve parentesi della Prima guerra mondiale, arrivò il fascismo, che oltre a italianizzare goffamente cognomi e toponimi, rivendicava Nizza e la Corsica, fino alla infame «pugnalata alla schiena» del 10 giugno 1940. Ma anche la Repubblica non rivalutò questo personaggio e se percorrete Via Po in questi mesi, nella galleria dei nomi famosi del Risorgimento, non lo troverete. Bene quindi hanno fatto il Comune e il Liceo di Oulx in occasione del bicentenario della nascita a ricordarne, con incontri e pubblicazioni, «la figura di legislatore, politico e diplomatico (che conservò) sempre intatte le sue doti di modestia, riservatezza e integrità morale».

Pier Luigi Quaregna

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