Il terremoto, la “Grande onda”, Hiroshima, Fukushima, tutto ciò che oggi si compendia nel quasi impronunciabile “tsunami” va molto al di là di ciò che la nostra esperienza e il nostro stesso più onnicomprensivo orizzonte di pensiero può concepire e controllare. Travalica persino i mostri che “il sonno della ragione” o “la durezza di cuore”, possono generare. Questi mostri, sembrerebbe che un risveglio intellettuale e morale potrebbe metterci in grado di affrontarli. Quello, lo tsunami combinato della natura e della tecnica, alleate nella sovrapposta potenza delle rispettive zone d'ombra più impenetrabili, desta solo sgomento e quasi paralisi del corpo e dell'anima.
Fingere che così non sia. Fare come se ci si trovasse solo di fronte a un problema un po' più complesso e di più difficile soluzione del solito, invece di mobilitare tutte le nostre forze di comprensione e di reazione, semplicemente ci distrae, lasciandoci nell'immobilità del trauma rimosso. Proprio come alzare urla para-apocalittiche, evocare castighi divini, rivisitare, in chiave ecologista, fraintesi miti delle origini e immaginifici peccati nella conoscenza del bene e del male: ci precipita nel marasma delle superstizioni.
È invece salutare riconoscere che quanto sta accadendo in Giappone, nei giorni della piena fioritura di primavera, è qualcosa di più che un casuale cumulo di eventi eccezionali e imprevedibili, qualcosa che va al di là della somma terremoto + maremoto + incidente nucleare, per avvicinarsi a una quasi epocale manifestazione della precarietà metafisica dell'essere e della sua problematica contiguità col bene.
Liberiamoci, anzitutto, col vecchio Francis Bacon, da alcuni “idoli” o pregiudizi antropocentrici. Quanto accaduto non è accaduto per noi, per punirci, per istruirci o per orientarci nelle decisioni relative al voto referendario pro o contro il nucleare. Lasciamo tali amenità ai vicepresidenti del Cnr, agli integralisti religiosi o ecologici. I nostri peccati ci sono, vanno puniti e lo saranno, quando, come e dove si può, ma qui non hanno mosso un'unghia per favorire quanto è accaduto. Se mai c'entrano di più i limiti delle nostre virtù.
Così è puro animismo vedervi l'autodifesa o la vendetta della natura per gli abusi tecnologici commessi nei suoi confronti. La natura come la Grande Madre, una sorta di Gaia che nutre e divora i suoi figli, animati o inanimati che siano, è un complesso sistema ecologico, tendente ad autoconservarsi, ma soggetto da sempre a improvvise o lente, catastrofiche mutazioni. La mitologia le descriveva come metamorfosi e noi le spieghiamo come tappe di un processo evolutivo, del tutto privo di principi etici eudemonici, di una qualsivoglia finalizzazione alla felicità.
La natura inoltre non sta in relazione con noi come una divina trascendenza, che dall'alto ci domina e ci guida, ma ci contiene come una parte di sé. Noi rispetto a essa e essa rispetto a noi siamo in stato di immanenza, siamo un tutt'unico, in cui ogni parte influenza e dipende da tutte le altre. In tal senso anche ogni frutto dell'umano sapere è naturale, proprio come naturale è il big-bang iniziale e l'eventuale collasso finale.
Lo tsunami combinato della natura e della tecnica nel giardino dei ciliegi è tanto naturale quanto umano. È un fatto, che per alcuni aspetti poteva essere evitato, orientato a effetti diversi, per altri, almeno per ora, non poteva che essere subito. Ma, in ogni caso, è un evento che rivela la fragilità dell'essere in sé, la compresenza in esso di forze distruttive e costruttive, l'originaria, sempre riaffiorante, prossimità, o forse unità, dell'albero della vita con l'albero del bene e del male. E, dunque, con la morte.