In un discorso tenuto qualche tempo fa, il Presidente Napolitano ha esortato i politici ad usare un linguaggio di verità sulla crisi economica che attraversiamo. Proposito apprezzabile, temiamo però che per i nostri mediocri politici, ma anche per la maggioranza di quelli che gira oggi per il mondo, sia impresa impossibile.
Dovrebbero dirci che in Occidente il consumismo deve essere ridimensionato e lo sviluppo impetuoso vissuto durante tutto il 900, irripetibile. Cioè lo scopo per cui hanno vissuto e lavorato molte generazioni di occidentali non può più essere perseguito: avere sempre più posti di lavoro a disposizione, condizioni sempre migliori, qualifiche sempre più alte, stipendi crescenti con i quali aumentare di anno in anno i consumi è ormai al di fuori della nostra portata. Queste possibilità si aprono ormai ai popoli di alcuni paesi un tempo definiti terzo mondo. Dovrebbero ammettere di non avere il controllo del sistema economico, o peggio, di essere proni o non avere la forza di opporsi al volere di ristrette oligarchie finanziarie mondiali.
D’altra parte tutti i movimenti di contestazione dagli anni ’60 in poi sono sempre partiti da un concetto di base: se l’Occidente continua ad aumentare il consumo delle risorse e migliorare il suo tenore di vita, il divario di sviluppo con gli altri paesi non potrà essere colmato, anzi aumenterà perché il mondo è limitato. È impossibile per le masse asiatiche, africane, latino americane consumare quanto gli occidentali, è impossibile accrescere la produzione di anno in anno all’infinito.
La cultura dominante in Occidente ha sempre ridicolizzato queste elementari osservazioni, alimentando l’illusione di un progresso senza fine, fino a farne l’unica nostra ragione di vita.
Ora che è in atto questo caotico riequilibrio che scuote l’economia globale e la finanza spadroneggia incurante delle tragedie che provoca fin nel cuore dell’Occidente, dovrebbero dirci che si sono sbagliati, che per il futuro condizioni di vita sempre migliori sono riservati solo a ristrette minoranze. Non possono farlo! Ma anche se non lo dicono (in realtà non dicono più nulla) lo abbiamo capito anche se non lo vogliamo ancora confessare apertamente. E la pesantezza dell’aria che si respira in Occidente, la scarsa gioia di vivere, la mancanza di speranze,anzi la paura del futuro, la crisi della democrazia, le nere ombre che compaiono qua e là lo attestano.
Chi l’ha capito molto meglio di tutti sono sicuramente i giovani delle periferie urbane: le loro rivolte, come è avvenuto per la recente londinese e qualche tempo fa per quelle francesi e americane, si scatenano dopo l’uccisione, da parte delle forze dell’ordine, di uno di loro, che assurge a simbolo della precarietà della loro vita in balia di forze ostili e poteri lontani e senza volto e si indirizzano contro i rappresentanti di questo potere che acquistano in strada il volto da alieni dei poliziotti in assetto anti sommossa e contro gli amati-odiati beni con le distruzioni e i saccheggi.
Perché ormai molti nodi stanno venendo al pettine e il problema che abbiamo di fronte solo in prima approssimazione è economico, in realtà è molto più profondo e riguarda una scelta: la scelta del modo in cui vogliamo lavorare, abitare la terra, vivere in una comunità che abbracci tutto il mondo. E questa scelta deciderà il futuro per molto tempo a venire.
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