Pressato dalla crescente denuncia dell'assordante silenzio con cui le autorità della Chiesa proteggevano il capo del governo italiano, evitando ogni esplicita parola di condanna della sua ostentazione di uno stile di vita per più versi scandaloso e corruttivo, finalmente il Presidente della Cei ha parlato. Grave è il ritardo, prudente la decisione di tacere nome e cognome dell'impunito, vista la deplorevole disinvoltura con cui vari dignitari ecclesiastici si erano lasciati trascinare a infangare la dignità morale e umana di papà Englaro e del povero Welby, ma pur sempre chiaro e doveroso l'invito al capo del governo a liberare le istituzioni da ogni pratica di corruzione morale, economica e politica.
Persino un noto «immoralista» come Oliviero Toscani aveva già provveduto a riempire le città con un manifesto di denuncia del degrado a cui le boccaccesche vicende, che coinvolgono il cavalier Berlusconi, hanno portato il nostro comune modo di impostare la relazione uomo-donna. E molti di noi sono stati urtati dall'apparire, improvviso, al centro di un incrocio, di un cartellone gigante con cinque uomini nudi con testa di coniglio, porco, toro, gallo e montone che reggono, offrendogliela, una donna succintamente vestita.
Ora, anche se con minore efficacia, nello specifico, si pronuncia Bagnasco, liscio, composto, impassibile, come una controfigura di sé stesso, davanti a un assemblea di vescovi che nulla si sentono in dovere di aggiungere di loro, ma unanimemente consentono. D'altra parte, prima dell'ultimo vertice Cei, fuori del coro dei genericissimi inviti al rigore morale di cittadini e politici, di fronte al montare degli scandali delle notti di Arcore, di villa Certosa e palazzo Grazioli, davanti al diffondersi dei processi per corruzione, alle gravissime iniziative repressive e persecutorie del governo verso gli immigrati, solo poche voci di vescovi anziani ed emeriti, ormai privi di ogni potere, s'erano rese udibili, avevano alzato sonore proteste e fatto precise denunce. I titolari di diocesi o di ruoli attivi nei vari dicasteri romani, hanno fatto e continuato a fare i «pesci in barile», mettendo in mostra la deplorevole tendenza a comportarsi più da «quaquaraquà» che da pastori di comunità vive e impegnate nella ricerca di una vita evangelica.
Questo governo, dunque, sembra aver esaurito il suo tempo, e, a giudizio comune, anche dei vescovi, finalmente, dovrebbe fare le valige. Vedremo, ma intanto, ci sembra opportuno sottolineare quanto sia doloroso il fatto che si sia dovuti giungere a tanto. Che personalità laiche di grande prestigio e anche semplici credenti come noi, convinti del dovere di tutelare l'autonomia della politica da ogni clericale ingerenza, abbiano dovuto chiedere alla Chiesa di prendere la distanza da un governo tanto pesantemente corrotto. Forse così non sarebbe stato se proprio questo governo non avesse sempre sbandierato la sua obbedienza alle linee operative dettate dalla Chiesa, e la Chiesa non lo avesse ringraziato e appoggiato a seguito delle sue iniziative legislative sui temi della nascita e della morte, del finanziamento delle scuole private, della detassazione dei beni ecclesiastici, della difesa del modello cattolico di famiglia. Cioè, se non avesse prostituito sé stessa e tradito la sua vocazione profetica a difendere i più deboli.
Quello che è stato è stato; ma affinché tutto ciò non si ripeta, ci pare opportuno riprendere la conclusione di un bell’articolo di Barbara Spinelli, comparso su «Repubblica» del 21 settembre, dove si augura che la Chiesa riscopra quelle virtù di libertà, giustizia e sincerità evangelica che permisero, nel IV secolo, a Ilario di Poitiers di rivolgersi all'imperatore Costanzo in questi termini: «Noi non abbiamo più un imperatore anticristiano che ci perseguita, ma dobbiamo lottare contro un persecutore anche più insidioso, un nemico che ci lusinga; non ci flagella la schiena ma ci accarezza il ventre; non ci confisca i beni (dandoci così la vita), ma ci arricchisce per darci la morte; non ci spinge verso la libertà mettendoci in carcere, ma verso la schiavitù invitandoci a palazzo; non ci colpisce il corpo, ma prende possesso del cuore; non ci taglia la testa con la spada, ma ci uccide l'anima con il denaro».
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