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 335 - COSA C’È, COSA MANCA

FINANZIARIA, IL GIOCO DELLE PARTI

 

L’economista Mario Deaglio, nel corso di una recente conferenza, ha dato alcune informazioni interessanti: l’Unione Europea contribuisce ormai al prodotto mondiale in misura inferiore all’America latina «ma non ce ne accorgiamo perché siamo relativamente più pochi»; il recente accordo di collaborazione tra Cina e Angola prevede che nei prossimi dieci anni si trasferiscano in Africa circa 4 milioni di cinesi «un po’ come se in Italia accogliessimo 18 milioni di cinesi intenti a rifarci scuole, ferrovie e autostrade»; e infine che il pagamento degli stipendi pubblici in Italia e molte altre spese dello Stato sono possibili grazie alle “generose” sottoscrizioni del debito pubblico italiano da parte della Banca Centrale Cinese.

Che c’entra tutto ciò con la legge finanziaria che con grande provincialismo si prepara a coprire i nostri orizzonti culturali fino alla notte di Natale? Apparentemente nulla, in realtà moltissimo. Come qualche salutare meditazione sul fatto che quando mettiamo 10 litri di benzina nel nostro serbatoio tre dipendono dalla “generosità” dell’ambiguo Gheddafi e quasi due dall’“orrido” Ahmadinejad. Del resto gli Usa non finanziano le loro imprese belliche piazzando Buoni del Tesoro in India, Cina e Giappone ? Fino a quando? C’è da aver più paura di un conflitto militare o di un collasso economico?

Ma torniamo al nostro piccolo cinema di periferia in cui è proiettato per l’ennesima volta il film che ben conosciamo: il gioco delle parti è il solito. Scena prima: faticoso compromesso tra tutte le forze politiche di governo sugli obiettivi di rigore, equità e sviluppo. Scena seconda: reazioni furibonde dei soggetti più svariati rappresentanti interessi più o meno corposi. Scena terza: alcuni ministri cominciano a chiedere modifiche (ma non fanno parte di quel governo che ha proposto il disegno di legge finanziaria qualche giorno prima?), l’opposizione minaccia sfracelli, i sindaci aprono sul governo il fuoco amico e anche il presidente del Consiglio sussurra che, ebbene sì, qualcosa si può modificare, migliorare, emendare, ma naturalmente non stravolgere.

Il risultato è surreale anche perché dei contenuti e delle misure concrete si parla pochissimo e soprattutto si capisce pochissimo. Non invidio i redattori dei quotidiani costretti a rabberciare improbabili quadri sinottici, smentiti il giorno dopo; persino i commentatori economici fanno spesso ricorso a frasi come «se ho capito bene» et similia. Hanno campo libero gli slogan, in genere assai beceri: macelleria sociale, metodo stalinista (riferito al fatto che i pagamenti si debbano fare senza contante, ma non era un progresso il denaro elettronico?), le mani nelle tasche dei cittadini, tutti in piazza per il tax-day, o meglio per il notax-day. In attesa che il polverone si diradi, che la discussione parlamentare dia forma definita ai vari provvedimenti e che il governo sappia meglio comunicare gli aspetti positivi, secondo l’interesse generale, sicuramente contenuti nella legge, chiediamoci cosa certamente manca in questa finanziaria.

Non vi troviamo il ripristino della “sovranità fiscale” del cittadino, ossia della capacità dello stesso di calcolare da solo il suo debito fiscale, piccolo o grande che sia: da tempo ormai dobbiamo ricorrere a intermediari di ogni tipo (Caf, commercialisti, consulenti vari) in una ridda di norme astruse, soggette a modifiche repentine. La cifra da pagare appare sempre più ingiustificata ed esosa (oltretutto maggiorata dalla parcella dell’intermediario), per nulla collegata con il costo dei numerosi servizi fruiti, spesso, ma non sempre, di scadente qualità.

Non vi troviamo l’introduzione, almeno graduale, di un benefico contrasto d’interessi tra chi riceve e chi effettua un servizio che, solo, può avviare davvero, al di là della retorica e dei moralismi, una efficace lotta all’evasione: quel semplice gesto di rilasciare la ricevuta, afferma Corrado Augias, nella posta di «Repubblica» (8 ottobre 2006). Si tratta insomma di estendere al lavoro dipendente il criterio di determinazione del reddito (ricavi-costi) attualmente applicato al lavoro autonomo. Già conosciamo l’obiezione: le entrate dello Stato avrebbero un tracollo concedendo la possibilità di una deduzione integrale. «Quanti soldi arriverebbero in più al fisco dall’emersione di redditi fin qui sconosciuti», conclude Augias nel pezzo citato. «È probabile che lo Stato ci guadagnerebbe. E noi pure». Comunque si può cominciare.

Non vi troviamo infine dei veri tagli alle spese, benché il volonteroso Padoa Schioppa si sforzi di dimostrare di aver messo in moto meccanismi virtuosi che daranno (ma quando?) luogo a riduzioni permanenti. È vero che risulta difficile rimediare all’allegro liberismo «alle vongole» di Tremonti e Berlusconi che in 5 anni ha aumentato la spesa complessiva di 90 miliardi, cioè del 20%, ma qualche segnale occorre pure inviarlo. In questo caso ha giocato lo sbarramento della sinistra cosiddetta radicale per la quale ridurre di un solo euro la spesa pubblica in certi servizi (scuola, sanità, pubblico impiego) è comunque un’eresia da condanna al rogo. Peccato, perché di sprechi ce ne sono a iosa anche in questi campi. Prendiamo la scuola: abbiamo un basso numero medio di allievi per docente ma, a livello internazionale, i nostri studenti rimediano costantemente figuracce nelle discipline di base. Nella “scuola dell’autonomia” si sono moltiplicati gli incarichi extra retribuiti, si sono pagate consulenze per la valutazione della qualità senza che le cose siano minimamente cambiate in moltissime realtà.

Da un’alleanza di centro-sinistra su questi temi che interessano in modo più profondo e concreto l’attuazione della democrazia, ci saremmo aspettati qualche indicazione che non è arrivata.

(Pier Luigi Quaregna)

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