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ESSERE PERSONE SESSUATE

 

Alcuni mesi fa ho letto tutto d’un fiato il saggio di Stefano Ciccone Essere maschi, (Rosemberg&Sellier 2009).

Anche se non privo di interessanti riflessioni, il pensiero dell’autore non mi ha fatto compiere decisivi passi in avanti riguardo ai complessi problemi legati alla nostra condizione di esseri sessuati, uomini o donne. Una spiegazione ce la fornisce l’autore che così si descrive: «Sono maschio, bianco, occidentale, borghese, sano, eterosessuale, laureato, con un lavoro a tempo indeterminato… Ho vissuto la mia vita senza mai avere la percezione che qualcosa potesse essermi precluso per il fatto di essere ciò che sono». Questa sua “fortuna” forse gli impedisce di andare oltre a ottime osservazioni dettate da un pensiero progressista. Raccomando perciò la lettura, che in ogni caso risulta utile. Ma mi permetto di aggiungere alcune idee che mi sembrano andare più in profondità, coinvolgendo tanto le donne quanto gli uomini.

 

Diversamente «belli» e «potenti»

E aggiungerei, al femminile: diversamente “belle”, diversamente “desiderose”. Per “belli e belle” non si intende la conformità rispetto a qualche modello. Si intende la capacità di attrazione. L’espressione “potenti” si contrappone al termine negativo, limitante e umiliante di “impotenti”. Il termine “desiderosa, desiderante”, si contrappone al gelido e inappellabile “frigida”.

La cosiddetta impotenza e la cosiddetta frigidità sono ostacoli insormontabili, devono essere viste come patologie gravemente invalidanti, tali impedire all’uomo e alla donna di vivere la loro sessualità? Sessualità equivale a genitalità?

È difficile stabilire un confine tra ciò che è “patologico” e ciò che non lo è. Da mille fonti, più o meno segrete, più o meno sussurrate, possiamo dedurre con discreto fondamento che molte persone (più uomini che donne) vivono la loro sessualità, apparentemente sana e generalmente eterosessuale, in modo anomalo, molto lontano da quella cosiddetta normale, molto lontano anche dal modo in cui la vivono, o la potrebbero vivere, coloro che sono bollati con l’etichetta di impotenti e frigide. Una volta, questa sessualità anomala veniva definita «perversione». Ora questo tipo di sessualità viene incoraggiata dal proliferare di riviste e soprattutto di siti internet. Nel complesso viene accettata, purché venga vissuta tra adulti consenzienti, anche se talvolta il consenso risulta apparente e le modalità di comportamento possono essere molto pericolose.

Invece, dietro i nomi di «impotenza» e «frigidità» non c’è che disprezzo. Oppure un imbarazzato silenzio. Nel saggio di Ciccone non si parla mai di questi problemi, benché interessino molte più persone di coloro che sono vittime di pregiudizi omofobici e di violenze sessuali.

Per quanto riguarda la cosiddetta bellezza, cioè la capacità di attrarre sessualmente altre persone, basta scorrere le opere dei pittori dei secoli passati per renderci conto del carattere relativo dei criteri attraverso i quali viene visto il corpo delle donne. La “bellezza” cambia col tempo e con le latitudini. Fino a che punto siamo ancora influenzati dalla mentalità corrente? Anche se è improbabile che venga un tempo in cui tutti saremo egualmente “belli”, possiamo almeno rifiutare un giudizio spregiativo e distruttivo verso le persone che sono giudicate poco attraenti. In un’epoca in cui ci vantiamo di avere superato i vecchi pregiudizi e di saper accettare il “diverso”, con una sensibilità etica secondo cui nessuno deve essere discriminato per il colore della pelle, sarebbe aberrante discriminare socialmente qualcuno per una supposta carenza di sex appeal.

 

Casalinghi e soldatesse

Da decine di migliaia di anni, la separazione dei ruoli tra maschi e femmine ha caratterizzato ogni tipo di culture. Maschio lavoratore, donna casalinga. Maschio guerriero, donna riposo del guerriero. Ma, dall’inconscio e dal mito, emergono immagini in controtendenza. Affascinante è la figura della donna guerriera, frequente nella letteratura di genere mitologico o cavalleresco: le amazzoni, Pallade Atena, Camilla, Bradamante, Clorinda. Al contrario, il Pelide Achille viene fatto passare per donna dalla madre, per salvargli la vita. Ma il suo animo virile si ribella a questo vile travestimento. Fin dall’antichità l’inconscio collettivo esprime attrazione verso le donne che si travestono da uomini, mentre disprezza gli uomini che si travestono da donne. Abbiamo anche esempi in cui il maschio sembra invidiare la donna, ma solo per quanto riguarda la sua capacità generatrice. Adamo “partorisce” Eva, Giove “partorisce” Bacco e Minerva. Il desiderio di partorire è presente nel maschio, quello di essere “casalingo” è escluso con ripugnanza. Sorprendentemente troviamo invece nei vangeli la figura di Gesù che, mentre respinge il ruolo di Messia guerriero, serve a tavola e lava i piedi dei discepoli (Luca, 22,27; Giovanni 13,4-5). Ma, qui e ora, non è ancora così? La figura del casalingo viene messa in ombra. Pochi sono i papà che usufruiscono del congedo per accudire i figli. Pochissimi coloro che rimangono a casa per occuparsi dei bambini e delle faccende domestiche. E quanti sono i baby sitter? Quanti i badanti?

Invece molte donne vedono un segno di emancipazione e di pari opportunità nell’intraprendere carriere fino a poco tempo fa esclusivamente maschili. E non risulta che queste signore abbiano “colorato di rosa” queste professioni. Le donne imprenditrici, le donne “in politica” si distinguono difficilmente in quanto a sete di potere e di profitto dai colleghi maschi. E, quando la sete di potere non basta, interviene la loro disponibilità nei confronti di chi è in grado di aiutarle dell’arrampicata sociale. Ma, sia pure in modo diverso, spesso anche il maschio fa carriera aggrappandosi al potente di turno.

Il caso più tipico della illusoria emancipazione delle donne è rappresentato dalle soldatesse. Volontarie, non risulta siano animate da propositi di riforma della disciplina e degli scopi dell’esercito. Ciccone ci ricorda «i casi di tortura e di umiliazione sessuale ai danni dei prigionieri iracheni nel carcere di Abu Ghraib, che videro protagoniste anche donne dell’esercito americano».

Per quanto riguarda la figura dei casalinghi, sembra non ci sia nulla che vieti a uomini di occuparsi delle faccende domestiche. Ci sono uomini che per professione risultano ottimi cuochi, camerieri, sarti. Perché non dovrebbero manifestare le loro capacità anche in casa propria? Un caso più problematico riguarda l’accudire bambini e, ancor più, anziani e malati. È vero che il maschio non è portato a prendersi cura del corpo di persone in difficoltà? I millenni in cui tali mansioni erano esclusiva delle donne (madri, infermiere, figlie) pesano sul nostro inconscio. Ma è possibile che la struttura psichica degli uomini possa cambiare come è cambiata in altri campi. Il maschio non è più un guerriero nato. Imparerà a diventare casalingo e badante? Ed è poi vero che la donna è naturalmente mamma, casalinga, crocerossina, badante?

 

Vergognarsi di vergognarsi

Un ostacolo al superamento della rigida divisione dei ruoli è rappresentato dal terrore di scontrarsi col luogo comune del lo fanno tutti, lo pensano tutti. Chi tenta di andare controcorrente teme di apparire comico, stravagante, pazzo.

Guai all’uomo che osasse fare il casalingo! Non solo si vergognerebbe di se stesso, ma anche la moglie proverebbe imbarazzo nel confessare alle amiche l’attività del marito: è a casa coi bimbi e con l’aspirapolvere. Che figura! I maschi si vergognano dei propri limiti, veri o presunti. Provano difficoltà a condividere debolezze ed emozioni. Spesso sentono l’obbligo di fare battute volgari e di esibire inesistenti conquiste. Curano la loro salute meno di quanto facciano le donne. Meno palestra, meno diete. Tutte cose non da maschioni. Da pensionati svolgono attività di volontariato meno delle coetanee e nelle conferenze, dibattiti, università della terza età, gli uomini sono spesso in minoranza. Si può notare anche un minore interesse per le letture e per i viaggi turistici, specie quelli più stimolanti dal lato culturale. In compenso stadi e bocciofile rigurgitano di maschi.

Come giustamente sottolinea Ciccone, «nell’esperienza maschile non esiste una cura della propria sessualità paragonabile a quella che fa del ginecologo una presenza normale nella vita delle donne: se ci si reca da un andrologo è solo per una situazione patologica». E raramente, aggiungerei. Il più delle volte i problemi del maschio sono vissuti nel silenzio e nella chiusura in se stesso. Il bilancio di queste paure, di queste assurde vergogne è tragico. Più uomini che trascurano il proprio corpo e il proprio cervello, più suicidi, più morti che si potrebbero evitare con opportune prevenzioni. E non risulta che qualcuno sul serio analizzi le cause per cui la speranza di vita per i maschi è più bassa di quella delle donne. Se nei secoli passati le donne morivano prima degli uomini, la causa era senz’altro da ricercare nel fatto che la società e la famiglia tutelavano la loro salute meno di quella degli uomini. E perché non ci può essere ora una spiegazione analoga per gli uomini? Magari con la scusa che gli uomini sono per definizione dei privilegiati e non devono lamentarsi?

Eppure non dovremmo avere paura di parlare, di aprirci, di confessare i nostri limiti. Se tutti (ma in particolare gli uomini) si liberassero da scrupoli irrazionali, dal timore di apparire ridicoli, molte sofferenze sarebbero attenuate, molte vite potrebbero salvarsi. Anziché vergognarci, dovremmo avere paura proprio delle nostre vergogne.

 

Dario Oitana

 

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