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editoriali
Ogni persecuzione religiosa dà più dolore e vergogna di tutte le altre persecuzioni, politiche, economiche, razziali. Infatti, colpire e uccidere te perché il tuo cuore crede e spera in modo un po' diverso da me, là dove nessuno di noi vede in modo diretto, oltre che cosa malvagia e cieca, è anche azione stolta: il tuo raggio di verità potrebbe aiutare il mio, e raddoppiare la luce, e io invece lo spengo con te. E se la religione è solo un pretesto per delitti di potere, non è minore la vergogna. Noi cristiani abbiamo da farci perdonare persecuzioni su altri credenti, compiute nella storia, non poche, non leggere. Eppure anche noi ne avevamo sofferte. Ora, ultimo triste episodio, alcuni violenti, abusando del nome dell'islam, in Nigeria, nel giorno di Natale, che è giorno di tutti, hanno ucciso in chiesa decine di cristiani. Nel dolore, e nell'offesa ad ogni umana spiritualità, è nostro primo evangelico dovere perdonare «perché non sanno quello che fanno» (Luca 23,34). Il secondo impegno è intensificare l'amicizia e la collaborazione tra le religioni, anzitutto coi nostri molti amici musulmani, coi quali ormai ci sentiamo fratelli nella ricerca di giustizia e pace. Sappiamo che essi deprecano come noi simili violenze, le quali – li assicuriamo – per noi non derivano dall'islam, ma dall'ignoranza e dallo smarrimento dei cuori, sempre possibili, sempre da guarire con la collaborazione spirituale delle nostre religioni.
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Crisi, parola usatissima, ogni minuto sui media e nei discorsi, al bar come al foglio. Dobbiamo appropriarci del significato etimologico del termine «crisi»: giudizio. Un giudizio severo sul sistema capitalistico, ma anche e soprattutto su ciò che sta dietro al sistema. Giudizio severo sull'idolatria del denaro, della crescita a tutti i costi, del consumismo di massa, del più = meglio, del lo-hanno-tutti-devo-averlo-anch’-io, giudizio duro come quello dei profeti di Israele nei confronti degli idoli e dei dogmi che «ricevono quotidianamente un massiccio e pressoché plebiscitario consenso di popolo» (Langer). Crisi, giudizio, giudizio nonviolento anche nell'interno dei nostri cuori. Giudizio, perciò, che deve cominciare da noi stessi, dal nostro stile di vita, senza complessi di colpa ma anche senza l'ossessiva ricerca di alibi.
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