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politica
391 - AUTONOMIA DALLA POLITICA E PRIVILEGI DI CASTA |
C’era una volta la magistratura autonoma…
Questi sono gli appunti di Pier Luigi Quaregna della conferenza tenuta da Giancarlo Caselli all’Archivio di Stato di Torino il 1° dicembre 2011. Sullo stesso tema il Csm ha organizzato sempre a Torino un convegno il 6 marzo, alla presenza di Giorgio Napolitano.
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Circola la favola che una volta la magistratura fosse terza e asettica, e che ora invece si è politicizzata con sconquassi che paga l’intero Paese. I fatti testimoniano cose diverse: da quando i magistrati diventavano tali per «biglietto regio» e anche dopo l’emanazione dello Statuto Albertino, essi sono stati omogenei al potere politico dominante, appartenendo anzitutto allo stesso ceto sociale. La politica controlla l’intero corpo giudiziario, la magistratura è un’articolazione del sistema politico, talmente collaudata che il fascismo non ha bisogno di cambiare nulla, non chiede (salvo che nella Rsi) neanche il giuramento di fedeltà. È vero che è istituito il Tribunale Speciale per una giustizia politica, ma per il lavoro quotidiano non c’è problema.
Da Salò al dopoguerra
Con la Costituzione si assiste a una sostanziale continuità, non c’è alcuna epurazione, le carriere continuano senza scosse dopo il 1946, al punto che un ex presidente del Tribunale della razza, Gaetano Azzariti, diventa presidente della Corte Costituzionale dal ’57 al ’61, e dopo la Liberazione l’ex procuratore generale della Repubblica di Salò, Luigi Oggioni, diviene Presidente della Corte di Cassazione e poi giudice costituzionale (cfr. Giancarlo Caselli, Assalto alla giustizia, Melampo 2011). La Corte Costituzionale teorizza la distinzione tra norme programmatiche e precettive, rinviando l’attuazione delle prime su diritti fondamentali dei cittadini, mentre la magistratura ordinaria processa i partigiani e non i gerarchi fascisti e il codice penale del 1930 e il T.U. delle leggi di Pubblica Sicurezza sono applicati per reprimere le lotte sociali.
Solo negli anni ’90 viene a galla l’armadio della vergogna (in fondo a un corridoio e con le porte rivolte verso il muro): contiene 695 fascicoli sulle stragi nazifasciste del 1943-45. I magistrati militari li aprono e fanno i processi. Stava scritto sugli incartamenti «archiviazione provvisoria»: un ossimoro. Del resto per tutti gli anni ’60 e ’70 continua la stretta commistione tra magistratura e luoghi del potere: i procuratori generali della Cassazione parlano degli infortuni sul lavoro come di fatalità o di colpa dei lavoratori imprudenti; chi parla della mafia è un provocatore, la mafia non esiste, la procura di Roma è definita il «porto delle nebbie». Si ricordano magistrati che partecipano alle inaugurazioni degli autosaloni catanesi di Nitto Santapaola e l’affidavit (attestato di fiducia e benemerenza) di Carmelo Spagnuolo al bancarottiere siciliano Sindona, mandante, tra l’altro, dell’omicidio Ambrosoli.
La corrente di magistratura Indipendente, nell’ambito dell’Associazione Nazionale Magistrati, ottiene il 40% dei voti ed esprime il Presidente che si scopre essere iscritto alla P2: viene espulso dalla magistratura. In precedenza Licio Gelli aveva dichiarato che magistratura Indipendente andava favorita, «anche con aiuti materiali». Il mantra è: magistratura autonoma dalla politica! La realtà ci dice che la commistione, almeno nei vertici, è profonda e reale. La magistratura è un corpo burocratico chiuso con un’ideologia di ceto, un corpo separato dello Stato, collocato nell’orbita del potere, avvertito dalle classi sociali subalterne come ostile.
I fanghi di Scarlino
In parte le cose cambiano con la Corte Costituzionale (attiva dal 1956) e il Consiglio Superiore della magistratura (attivo dal 1958). Inizia la marcia della magistratura verso l’affrancamento. L’articolo 101 della Costituzione recita: «i giudici sono soggetti soltanto alla legge»: significa che esiste il dovere di disobbedire a tutto quello che legge non è. Significa operare con l’interpretazione, funzione fondamentale del giudice, sua funzione fisiologica. Un esempio banale: con l’art. 575 c. p. «chiunque cagiona la morte di un uomo...» alla lettera non sarebbe punita l’uccisione di una donna. L’articolo che punisce l’omicidio colposo parla invece di «persona». Rimedia l’articolo 3 della Costituzione con il principio di uguaglianza tra i cittadini. La Costituzione comincia a diventare un faro per una parte significativa della magistratura. Una svolta importante in questo senso è segnata dal Congresso di Gardone dell’Associazione Nazionale Magistrati nel 1965.
Ad es. l’attuazione dell’art. 3 della Costituzione («È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli...»), è condizionata dall’esistenza di una magistratura autonoma e indipendente. Essa va contro i poteri forti quando questi violano la legge e attentano ai diritti dei cittadini. Si fa riferimento alla nota vicenda dei fanghi industriali di Scarlino, che venivano scaricati in mare dalla Montedison. Un pretore, di quelli che allora venivano definiti «d’assalto», riuscì a sequestrare gli stabilimenti, facendo leva su una legge a tutela della fauna ittica. La magistratura stava facendo il suo dovere. L’effetto è che il Parlamento approverà la Legge Merli, la prima che tutela la salute, in relazione agli scarichi civili e industriali. Jorge Amado dedica un suo romanzo a Gianfranco Viglietta, il pretore che intervenne per i fanghi di Scarlino.
Per garantire una vera autonomia ha svolto una funzione essenziale il Csm. Quando si intraprende la lotta al terrorismo, alla mafia, alla corruzione che è sistemica (non è solo un bubbone), a poteri occulti, a cricche varie, a poteri deviati (depistaggi) si scatenano furibonde e selvagge bufere contro la magistratura: è la reazione all’autonomia e all’indipendenza della magistratura.
Assalto ai giudici
«Pazzi, antropologicamente diversi, cancro da estirpare, golpisti, eversori, forcaioli e persecutori, giustizialisti»: accuse ripetute dalle più alte autorità dello Stato. «Fuori le Br dalle procure», è detto a Milano, dove i giudici Galli e Alessandrini furono assassinati dalle Br. Assistiamo a una delle più gravi anomalie del nostro Paese.
Bill Clinton, per la vicenda Lewinsky, fu costretto a subire sei o sette processi, con accertamenti medici umilianti. È talmente stressato che, per qualche tempo, perde la chiave della valigetta nucleare... Ma non avrebbe mai detto una sillaba contro i suoi giudici.
Gli attacchi partono contro le procure di Roma e Palermo, poi si spostano verso i collegi giudicanti, fino alle sezioni unite della Corte di Cassazione e alla Corte Costituzionale. L’attacco parte da punti in fatto per giungere a punti in diritto, con il meccanismo delle leggi ad personam (Ghedini-Berlusconi). Si perviene all’assoluzione perché il fatto... «non costituisce più reato». Con il centrosinistra (ultimo governo Prodi 2006/2008) non cambia granché. Se qualche freno viene attivato è per merito della Corte Costituzionale. Tra le ultime iniziative «l’uccisione del processo breve a favore di quello... infinito», cioè di quel processo in cui il giudice perderebbe la discrezionalità di ammettere o no i testi. Tutti i testi richiesti dalla difesa sarebbero ammessi. Queste le proposte di un politico dissociato (anche in senso psichico), il peggio che possa capitare a qualunque nazione. Sulle intercettazioni l’ultima legge (approvata per ora da un ramo del Parlamento con soli tre voti contrari) ridurrebbe l’attività delle procure, con danno per i cittadini.
Sulla riforma costituzionale della Giustizia c’è da segnalare che l’azione penale diventerebbe obbligatoria solo se la maggioranza politica lo decidesse di volta in volta (ogni anno) con legge ordinaria. Non a caso Berlusconi (voce dal sen fuggita...) ha dichiarato che se le nuove norme da lui auspicate fossero già state in vigore non avremmo avuto tangentopoli. È vero che in altri ordinamenti, ad es. in Austria, il pm non è indipendente, ma obbedisce per legge al Guardasigilli: però la procedura avviene nella più ampia pubblicità. L’ordine scritto del potere politico è inserito nel fascicolo processuale.
Per concludere serpeggia un’altra favola: l’indipendenza della magistratura sarebbe un potere di casta. Strano, perché il magistrato deve rispettare la legge: o lo fa o cambia mestiere. L’unica speranza è invece che l’articolo 3 della Costituzione abbia gambe sempre più robuste nel rispetto del principio di uguaglianza, eliminando ogni privilegio di casta.
a cura di Pier Luigi Quaregna
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