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 397 - La lettera del vescovo Nosiglia ai Rom e ai Sinti

 

Gesù nasce sul Lungo Stura

 

Non c'è alcun vantaggio sociale per un vescovo a prendere posizione in solidarietà con i più poveri tra i poveri.

Non guadagna alleanze convenienti per lui o la sua chiesa se chiede un impegno maggiore alle istituzioni, alle comunità cristiane cattoliche, evangeliche e ortodosse, ai torinesi tutti. Ha fatto quel che è giusto ed evangelico l'arcivescovo Nosiglia nell'andare più volte a visitare Rom e Sinti nei loro campi «fuori dalle mura». Ora ha mandato a loro, e alla cittadinanza tutta, un messaggio giusto e impegnativo: «Non stranieri ma concittadini e familiari di Dio»: Lettera pastorale ai Rom e ai Sinti (cfr. www.diocesi.torino.it). Nosiglia dà qui un segno ben diverso da quelle alleanze e manovre indegne del vangelo che abbiamo spesso criticato nella gerarchia. È un appello a quella equità sociale che la politica deve realizzare come sistema, di là dalle azioni personali; è l'esigenza di bilancio umano paritario, senza il quale non c'è bilancio economico rispettabile. Ricordiamo che Torino ha avuto la vergogna di un pogrom feroce, solo per caso senza vittime, alla Continassa, un anno fa, il 10 dicembre 2011.

Nosiglia in questa lettera esorta Rom e Sinti, sia cristiani che musulmani, alla fiducia religiosa e umana. Conosce i loro bisogni, li esorta a inserirsi con dignità, legalità e onore. Promette loro l'abbraccio della chiesa. Sa che la crisi è più pesante per i più poveri. Vede che la nostra convivenza, spesso disumana, deve garantire diritti e dignità. Ci sono segni di speranza, di vita insieme nella pace. L'equità è partire dagli ultimi. La loro sofferenza è la nostra vergogna. Rom e Sinti sono una minoranza di cittadini europei. Alle istituzioni il vescovo chiede coraggio e lungimiranza, chiede voce, opera, scelte. La solidarietà dei torinesi sopperirà alla scarsità di mezzi. Non si devono generalizzare casi di delinquenza. Alle parrocchie e associazioni, alle comunità cristiane di tutte le confessioni ricorda che i poveri sono «luogo della presenza di Dio». A queste comunità e alle famiglie propone di “adottare” nell'amicizia una famiglia rom o sinta, di accompagnarla nella ricerca di casa, lavoro, cure, scuola, superando imbarazzo e pregiudizi. Tutte quelle povertà e bisogni umani in cui Cristo si identifica nel giudicare ogni vita (Matteo 25: fame, sete, malattia, carcere, senza casa...) si assommano nei Rom e Sinti. Nosiglia esorta a condividere le loro feste e le loro sofferenze. Quelli tra loro che sono cristiani hanno bisogno di coltivare la loro fede, gli altri hanno diritto di pregare secondo la loro religione. Dobbiamo rispettare gli usi e i costumi, realizzare un incontro di unità, perché Dio è uno solo. Le comunità cristiane devono educarsi all'accoglienza. Il vangelo è proprio per i tempi di crisi. L'amore ci liberi dal timore. Non è un problema insolubile. Può nascere un «modello Torino», un segno di Dio: gli ultimi secondo la società sono i primi secondo Dio.

«Quel Gesù che è nato in una baracca per animali come un rom sul Lungo Stura; che è sfuggito alla persecuzione omicida come un rom ai campi di sterminio nazisti; che non aveva una pietra dove posare il capo come un rom della Continassa; che è morto appeso ad una croce come un malfattore, non tanto diverso da un rom in carcere, ci aiuti ad accoglierLo nei nostri fratelli Rom e Sinti».

 

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