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 337 - IL CONSUMO NON È UN MALE

 

Se si vuole dialogare con qualcuno occorre innanzitutto conoscere il suo punto di vista, cioè il punto da cui guarda il mondo, ci piaccia o non ci piaccia.

Penso che si debba partire da una constatazione: andare in giro per negozi, scegliere e comprare merci (meglio se frutto di inventiva e abilità), abitare in una bella casa, ben arredata e accogliente, viaggiare per il mondo vedendo e conoscendo posti e popoli nuovi, avere la disponibilità di energia per far ricerca, per muoversi e ridurre la fatica fisica, avere la possibilità di vedere spettacoli, opere d’arte, partecipare a dibattiti e conferenze in luoghi accoglienti, eleganti e ben equipaggiati, avere centri medici all’avanguardia per godere di una vita più lunga e di qualità migliore, disporre di mezzi finanziari adeguati per poter fare tutto questo e non doversi preoccupare per la rata del riscaldamento che scade o della bolletta della luce né dover rinunciare a una pizza con amici è un bene.

Chiunque abbia visto il piacere e la vitalità che traspare da una donna o da un giovane che fanno shopping, anche se non lo condivide, si rende conto che non può essere un male; lo stesso può affermarsi per tutto il resto. Quindi la maggioranza degli esseri umani che desiderano queste cose non sono né stupidi, né plagiati, né cattivi.

Il mancato riconoscimento di questa realtà è probabilmente il motivo per cui tanti rifiutano i nostri discorsi contro il consumismo, contro il plagio pubblicitario (molti giovani con cui ho parlato considerano la pubblicità una forma attuale di espressione e in alcuni casi di arte) contro l’uso dei mezzi di trasporto, contro il denaro ecc. Solo dopo aver fatto questo sforzo di comprensione, si può più facilmente porre l’attenzione sui problemi, i pericoli, le ingiustizie che questa società presenta. Si può rilevare che il benessere è anche una questione di equilibrio, che le risorse sono limitate, che è ingiusto per vivere meglio noi impoverire gli altri.

Anche le proposte che spesso avanziamo sembrano fatte apposta per essere respinte: o troppo apocalittiche (la catastrofe è imminente, inevitabile, totale…a questo punto molti non capiscono perché discutere ancora) o troppo punitive (occorre cambiare radicalmente modo di vivere… sembra più un discorso religioso che politico) o inapplicabili (occorre ritornare al consumo energetico dell’800 e consumare solo ciò che si produce localmente… ma così il mondo non potrebbe sostenere la maggior parte dell’attuale popolazione). Proposte più moderate e ragionevoli risulterebbero forse meno efficaci, ma sarebbero più popolari e quindi più facilmente realizzabili.

 

Il regno della necessità e quello della libertà

C’è però un altro problema, che si può porre con una domanda: ma la vita è solo questo? è solo cercare di passare la manciata di anni di vita che ci toccano il più comodamente e il più piacevolmente possibile? Domande importanti, le cui risposte però vanno tenute ben distinte dall’analisi precedente perché qui siamo su un piano filosofico, religioso, etico: una cosa è discutere se è bene mettere limiti allo sviluppo o come ridistribuire la ricchezza, altra cosa domandarsi qual è il destino dell’uomo o se nell’agire dobbiamo tener conto solo di noi stessi o anche di altri e quali altri.

Certo tra i due piani c’è una stretta connessione, molte delle resistenze o anche del fastidio con cui sono accolti certi nostri discorsi, sono dovuti proprio al rifiuto ostinato e irragionevole di rinunciare anche in minima parte al benessere ottenute con tanto sforzo, o dall’altra parte certe urgenze, rigidità ed estremismi sono causati dal rifiuto di accettare il grado di coscienza e maturità della società in cui abbiamo la ventura di vivere e su cui le nostre capacità di azione sono limitate. Tuttavia credo si abbia un gran vantaggio a tenere separati i due piani (laicità?), perché il primo è il regno della necessità, il secondo della libertà.

Visto che ciascuno di noi non può costruirsi la società a suo modello e siamo “costretti” a vivere insieme, siamo “obbligati” a prendere delle decisioni che vincolano tutta la società (oggi al limite tutto il mondo), anche se non siamo ancora riusciti a trovare un accordo sul piano filosofico e religioso. Proprio perché è svincolato (per quanto è possibile, perché non lo è mai completamente) dalla necessità, lo spirito umano può essere libero di pensare, esplorare, modellare modi di vita differenti e nuovi purché non li voglia poi imporre agli altri ma solo a sé stesso e a coloro che liberamente lo accettino. Infatti l’amore, la condivisione, il dono, la misericordia, la compassione, il sacrificio della vita per gli altri non può essere né preteso né imposto.

Angelo Papuzza

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