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politica
398 - È possibile un’economia democratica? |
NON SARÀ UN PRANZO DI GALA
La democrazia, la dignità del lavoratore, la previdenza sociale, la scuola pubblica, la sanità garantita a tutti, i servizi pubblici, l’intervento dello Stato per ridurre le diseguaglianze e contenere la disoccupazione, insomma lo Stato sociale come lo abbiamo conosciuto in Occidente, sono state ottenute tramite dure lotte dai lavoratori, ma sono state permesse dall’enorme aumento della ricchezza a disposizione avvenuto in Occidente per l’uso che il capitalismo ha fatto della rivoluzione industriale e dello sfruttamento coloniale del resto del mondo. |
Per più di due secoli la terra ha visto uno sviluppo diseguale fino a dividersi in due mondi diversi, uno ricco e culturalmente evoluto, l’altro, la maggioranza, povero ed arretrato. E questo in un mondo sempre più piccolo. Questo spaventoso disequilibrio si è infine spezzato. In questo momento osservando solo Cina, India e Brasile, 2,5 miliardi di persone stanno percorrendo a tappe forzate la strada che l’Occidente ha fatto nei due secoli precedenti, riproducendo gli stessi successi e gli stessi orrori.
È evidente che questa trasformazione non può essere un pranzo di gala: è un fenomeno grandioso che sta sconvolgendo il mondo e lo cambierà per sempre e la storia lo studierà come una delle sue svolte più importanti. E poiché è impossibile che tutta la popolazione mondiale consumi le risorse che consumiamo noi, disponga dei servizi di cui godiamo e viva nella sicurezza in cui viviamo, gli sconvolgimenti a cui assistiamo sono comprensibili. Popolazioni emergono ed altre sprofondano, i rapporti di forza tra i continenti mutano, economie misere si riscattano, altre già ricche si impoveriscono. E siamo solo all’inizio.
Tutto questo i movimenti di sinistra del secondo dopoguerra lo hanno sempre saputo, anzi era alla base di ogni nostro discorso politico. Ed è strano che ora una parte di quella sinistra non riesca a trarre tutte le conseguenze che derivano dallo spezzarsi dell’enorme e scandalosa ingiustizia che macchiava il mondo: una piccola minoranza opulenta che depredava e sprecava le risorse della terra, mentre la grande maggioranza sopravviveva miseramente. Certo noi pensavamo a un riequilibrio attraverso una rivoluzione politica e non attraverso il capitalismo finanziario selvaggio, sapevamo però che non sarebbe stato comunque un pranzo di gala (soprattutto per l’Occidente).
Il giudizio sul capitalismo
Sicuramente non possiamo assistere a questo sconvolgimento passivamente. Innanzitutto dobbiamo capire fino in fondo quel che accade intorno a noi, perché restando in superficie si rischia di dare risposte sbagliate. Un esempio tipico è proprio il giudizio sul sistema capitalista. In Occidente, anche a causa di questa crisi, il capitalismo, esaurita la fase propulsiva, mostra i suoi limiti e le sue inadeguatezze e sempre più persone se ne accorgono. Non così nei paesi in rapida ascesa, in cui la sua messa in discussione è riservata a ristrette minoranze. La stragrande maggioranza dei 2,5 miliardi di persone di cui si diceva sopra, per non parlare di un altro miliardo di africani che rischiano tutto, vita compresa, per raggiungere la fortezza Europa, sanno che il capitalismo è un sistema duro, spesso spietato, ma sanno, perché conoscono la nostra storia, che è in grado di fare quel che promette: aumentare la ricchezza a disposizione e fornire così i mezzi necessari che, con scelte politiche adeguate, potranno migliorare il tenore di vita, il livello culturale e l’indipendenza della maggioranza di loro. Per questo non lo mettono in discussione, ma lottano per ridurre lo sfruttamento, le disuguaglianze e le ingiustizie che genera, come abbiamo fatto noi occidentali nei due secoli passati. Solo dopo aver ridotto notevolmente la distanza, si porranno le nostre domande.
A me sembra che i movimenti di sinistra radicale dell’Occidente non abbiano l’appoggio delle masse diseredate del mondo che lottano per emergere. I loro sentimenti verso il nostro mondo opulento oscillano tra l’ammirazione, l’invidia, il desiderio di emulazione e il sospetto che quello che diciamo e le lotte che facciamo abbiano l’inconfessato obiettivo di lasciare le cose come sono e mantenere le diseguaglianze. Anche le norme che vogliono limitare l’inquinamento mondiale e l’entrata in Occidente di merci provenienti da paesi dove vige il lavoro minorile e altre nefandezze del genere, sono viste con sospetto, come un tentativo subdolo di impedire la concorrenza per mantenere la nostra posizione di vantaggio e il nostro tenore di vita. Occorre essere molto attenti perché una parte della sinistra non finisca, in un’incredibile convergenza non riconosciuta con la destra, per scontrarsi con questo inarrestabile movimento emancipatorio.
C’è molto da fare a sinistra
Viceversa le sinistre occidentali devono acconsentire a questo grande movimento che chiede il riequilibrio nella divisione del lavoro e della ricchezza nel mondo, spiegando ai loro popoli qual è il periodo storico che viviamo e cercando di far comprendere che non è detto necessariamente che una riduzione di consumi, pubblici e privati, sia segno di un declino inaccettabile, ma può tramutarsi nell’opportunità di scegliere un modo di vita più modesto, ragionevole e solidale, come profeticamente dicevano i nostri Berlinguer, Lama e Moro.
Devono opporsi frontalmente alle destre che vorrebbero trasformare l’Occidente in un bunker razzista e aggressivo, che ci trascinerebbe inevitabilmente in uno scontro di civiltà ed interessi, facendo invece prevalere le ragioni di apertura e solidarietà. Contemporaneamente devono però cercare di governare questa grande trasformazione per evitare che avvenga nel caos, contrastando le tendenze liberiste che ribaltano all’interno dell’Occidente le diseguaglianze che si riducono nel mondo e permettono a gruppi finanziari irresponsabili ogni sorta di scorreria che può trascinarci tutti in una crisi irreversibile.
Angelo Papuzza
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