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 404 - VIAGGIO IN ETIOPIA

 

C’è ancora chi pensa alla pancia degli altri

 

Da un recente viaggio in Etiopia, organizzato in proprio da International Help, associazione Onlus di Torino di cui faccio parte, sono ritornato con alcuni appunti sui quali, credo, si possa fare una qualche riflessione.

Il viaggio aveva lo scopo di incontrare le missioni salesiane che aiutiamo con assistenza medica, acquisto di derrate alimentari, contributi per la realizzazione di pozzi e, quando possibile, partecipando anche alla dotazione di strutture sportive. Nonostante il carattere laico dell’associazione, quasi tutti miscredenti ex-Lotta continua, spesso affidiamo le risorse che riusciamo a raccogliere con attività su base volontaristica, a strutture che diano garanzie sul loro impiego che, in Etiopia, per noi sono rappresentate dalle Missioni don Bosco.

In questo viaggio, percorso lungo la camionale che porta in Kenya, ho avuto modo di visitare, sotto la cortese, e quanto mai preziosa, guida (anche dell’indispensabile pulmino) di Abba Mario Robustellini, le missioni di Addis Abeba, Zway, Adami-Tullo e Dilla. Impossibile, per questione di tempo, raggiungere Gambela, ma la situazione locale ci è stata illustrata da don Filippo Perin, responsabile dell’intera zona che presenta condizioni di estrema povertà. Abba Mario conosce davvero tutto della realtà di lì. Parlando con lui, gli altri padri missionari e i volontari, sono stato costretto a riflettere su alcuni punti che davo ormai per certi.

La mia infedeltà verso la religione si è sempre più incrinata di fronte alla concretezza dell’aiuto, che consente di sopravvivere là dove le condizioni, più culturali che ambientali, non hanno consentito il progresso come noi lo conosciamo. Non mi sono interessate più di tanto alle motivazioni di fondo della loro scelta di vita coraggiosamente orientata al portare agli altri, agli ultimi meno fortunati, un aiuto più che spirituale pratico per la sopravvivenza. Ho dovuto rendermi conto della vuotezza dalle parole e di quanto sia facile parlare. Ho avuto conferma del limite delle discussioni, dei dibattiti, della speculazione intellettuale. Non si tratta qui di negare l’utilità del teorizzare, ma occorre prendere atto che le idee, almeno alcune, vanno poi messe in pratica. In un mondo dove si muore di fame bisogna rimboccarsi le maniche e fare il pane. Se da un lato mi sentivo orgoglioso di appartenere a una associazione che si dà da fare per raccattare qualche soldo che consente di fornire un panino (solo pane) al giorno a centinaia di scolari, dall’altro mi rimproveravo di non essere mai stato il loro (ma non solo per loro) panettiere. Ciò che maggiormente colpisce è la non confessionalità dell’aiuto. Chiunque abbia bisogno viene aiutato, indipendentemente dalla sua religione.

 

Aiuto, non elemosina

Ma aiuto non significa elemosina. Io (noi) siamo qui a darti la possibilità di imparare un lavoro. Se non ricordo male questo è stato il metodo di Don Bosco. E qui viene applicato sino in fondo. Ti (vi) accompagniamo dalla scuola materna agli studi superiori. Naturalmente molte sono le scuole professionali aperte. Non c’è futuro per chi non sa usare le mani. A meno che qualcuno lo mantenga. Ma questo vale nelle società che hanno un surplus alimentare (cfr. la recensione a p. 6 di Diamond), che in Etiopia, almeno in alcune sue zone, non è stato raggiunto.

Nel visitare le scuole delle missioni mi sono stupito dell’ordine presente. Certo sarebbe difficile gestire i tanti alunni se così non fosse. Si resta stupiti che entrando in una classe tutti gli allievi si alzino in piedi. Che quando l’insegnante dice: «Silenzio!», tutti si zittiscano o “in fila” tutti ubbidiscano. Da noi ci sono voluti anni (non molti) per liberare le scolaresche dall’oppressione della struttura docente. Ci sono delle regole e queste vanno rispettate. Chi sbaglia viene ripreso e se continua nell’errore, che danneggia tutti, deve riparare con piccoli lavori quali, ad esempio, tenere pulito il pavimento della biblioteca. Già, perché ci sono anche le biblioteche. Con pochi libri. Anche per via della lingua aramaica, tant’è che l’inglese si sta imponendo. Buttata lì: mi pare ci sia qualcosa da rivedere nella scuola. Da noi!

 

Il ruolo delle multinazionali

Durante il viaggio si nota l’arrivo della industrializzazione legata a interessi stranieri principalmente cinesi. Le favorevoli condizioni ambientali per l’agricoltura hanno fatto sì che su vaste aree vengano insediate attività di grandi dimensioni. Un esempio è costituito dall’enorme serra in cui una multinazionale olandese coltiva le rose, che poi vengono vendute sul mercato europeo. 13.000 gli addetti con stipendi irrisori, ma che comunque lì costituiscono una fonte di guadagno. Accanto a questa serra, una multinazionale sudafricana sta impiantando un vigneto su km e km quadrati. Anche questo è stato motivo di riflessione, senza portami a precise conclusioni in quanto non riesco a dare un giudizio in bene o in male. La presenza delle multinazionali è poi visibile anche nel campo farmaceutico. I medicinali sono molto cari e di difficile reperimento. Non a caso sorella Corazón, un medico che da 40 anni gestisce l’ospedale da lei aperto a Dilla, cerca di produrre farmaci naturali e omeopatici. Al contrario, il governo etiopico è pressoché assente. Anzi è fonte di corruzione e arma persino i banditi.

Insomma, riflettendo su questo viaggio ho ricavato più di una contraddizione. Ma come ultimo appunto mi sono annotato: grazie a Dio (non so quale) c’è ancora qualcuno che pensa alla pancia degli atri.

Mino Rosso

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