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Francesco e il sogno del papa

 

 

Non sappiamo se il cardinale, che in conclave suggerì a Bergoglio il nome Francesco, abbia pensato alla semplicità della predicazione del Santo, alla sua scelta di povertà, al suo invito a ricondurre la vita cristiana al vangelo o se, più audacemente, abbia permesso alla memoria di riandare al celebre episodio del sogno di Innocenzo III.

Come raccontano le cronache dell'epoca, infatti, il papa più ierocratico della storia avrebbe autorizzato la nascita dell'ordine dei Minori a seguito di una visione notturna in cui Francesco, come un nuovo Atlante, evitava la rovina della Chiesa, sorreggendola sulle sue spalle. Quello che sappiamo è che, accettando la cattedra di Pietro, l'arcivescovo argentino ha fatto proprio non solo il nome, ma anche la sequela Christi del Poverello di Assisi e l'impegno a fare del vangelo un messaggio di pace e amore per ogni credente, compresi gli uomini di diversa fede e cultura.

 

Può il vangelo salvare il cristianesimo?

Con modi e fini diversi la figura di Francesco si fa, dunque. presente, a distanza di secoli, nelle riflessioni notturne dei papi. È comparsa, in pieno Medioevo, negli incubi di chi cercava di riaffermare il monopolio religioso, il prestigio morale, il potere politico della Chiesa gerarchica, quando questa veniva messa in discussione dagli stessi credenti. Anima i sogni di chi, in un mondo sempre più secolarizzato, punta tutto sulla riscoperta del vangelo per restituire al cristianesimo, arroccato su un'autarchia spirituale sempre più asfittica e afasica, capacità di confronto religioso, dignità culturale, credibilità etica, significato e operosità sociale e politica.

Papa Bergoglio ha dunque un sogno, che come quello di Martin Luther King potrebbe realizzarsi nel giro di qualche decennio, o ritorcersi, come per lo “Sposo di madonna povertà”, nella solitudine e nel martirio della Verna. Il sogno è che la riscoperta dell'annuncio evangelico possa aiutare il cristianesimo a riprendere quel naturale sviluppo dialogico con la realtà esistenziale e culturale degli uomini che fino a ieri negava a se stesso, incatenando l'incarnazione storica del messaggio di Gesù alla interpretazione dogmatica nata nel mondo mediterraneo dell'Evo antico.

 

Verso una chiesa che sa di sale

Piacevolmente sorpresi e quasi increduli alla manifestazione di questo sogno, nel primo affacciarsi di Bergoglio al rituale balcone con parole che rituali non suonavano affatto, abbiamo atteso con speranza che tutto ciò prendesse una forma più chiara. Oggi possiamo dire di essere stati sopravanzati nelle nostre speranze. Mentre ci sentiamo partecipi di questa avventura, proviamo a indicare quelli che per noi sono i primi e più significativi passi compiuti dal nuovo Francesco per farci riprendere quel cammino che da Gerusalemme, attraverso la Galilea, l'Anatolia, l'Egitto, la Grecia, Roma, l'intera Europa, dovrebbe portare il Verbo a risuonare in tutte le lingue del mondo e in tutte le pieghe della storia.

Ci soffermiamo su alcuni temi che, con le sue parole e i suoi gesti, il papa ha voluto toccare, preoccupandosi, con vera acutezza di giudizio, che la pratica accompagnasse e quasi precedesse il messaggio. Solo la conversione della Chiesa e dei suoi vertici, infatti, può rendere umanamente significativo l'invito cristiano alla conversione, che è ben più cambiamento di vita, concreto esercizio di charitas, che adesione teorica a dogmi e formule catechistiche. Il Dio biblico, anche attraverso il Nazareno, non ha mai chiesto sacrifici dell'intelletto, semmai li ha chiesti di denaro e di potere, legandoli sempre con l'esercizio della prossimità agli ultimi. Non attendiamoci dunque da Francesco sconvolgenti novità teologiche e radicali innovazioni in campo etico e pastorale. Queste verranno a seguito del cambiamento della prassi di vita della Chiesa, come frutto di riflessione comunitaria. Aspettiamoci che egli tenti di restituire sapore a una Chiesa diventata sempre più insipida.

 

Se il vescovo di Roma parla come l'uomo Gesù

Di sua iniziativa il nuovo papa ha già cominciato a modificare la concezione pastorale e dottrinale del papato con le sue scelte operative. Un papa non è, infatti, quello che dicono i sacri codici, ma quello che, storicamente e concretamente, decide o si trova ad essere.

Pio IX è diventato infallibile quando, di fronte all'eventualità che la crescente richiesta dei popoli di porre limiti costituzionali al potere dei monarchi, ha avuto sentore che questo potesse accadere anche nella Chiesa e, fattosi proclamare «infallibile», ha concentrato su di sé e sulla sua curia tutte le funzioni del governo universale di diocesi e ordini religiosi, compreso il diritto di stabilire, motu proprio, nuovi dogmi di fede. Fino a Pio XII il papa è stato in Europa l'ultimo sovrano assoluto. Con l'indizione del Concilio Vaticano II papa Giovanni ha invertito il cammino e, con le sue dimissioni, Benedetto XVI ha clamorosamente confermato che i tempi e la situazione della Chiesa esigevano una svolta radicale nell'interpretazione del ruolo del successore di Pietro.

È così che pochi mesi fa, la sera stessa della sua nomina, Bergoglio, oltre che come «Francesco», ha anche scelto di presentarsi come nuovo «Vescovo di Roma». Di conseguenza ha rifiutato la residenza pontificia, si è alloggiato in una sorta di convitto, come un prete qualunque e come un buon prete ha preso a dialogare con la gente e con gli amici, a telefonare a chi si metteva in contatto con lui, ad augurare «Buongiorno!» a questo e a quello, a sentirsi in imbarazzo nei grandi ricevimenti ufficiali e a precisare che le vere riforme pastorali e teologiche non intende farle da solo, ma in comunione coi rappresentanti degli altri vescovi e, ci auguriamo, di tutta la Chiesa. «Chi sono io per giudicare?», ha inoltre risposto a chi gli chiedeva un giudizio sui gay.

L'intero impianto teologico del cattolicesimo gerarchico post-tridentino, ulteriormente irrigidito dal Vaticano I, riceve dal suo vertice uno scossone tremendo, non con altisonanti proclami, ma con semplicissime scelte esistenziali. Sapranno i credenti trarne le conseguenze e aiutare la gestazione di questo importantissimo travaglio? Alcuni settori del mondo cattolico lo chiedono, lo chiedono anche alcuni cristiani di altre confessione e credenti di altre religioni; mentre non pochi atei e agnostici guardano con interesse.

 

Incontrare gli altri per incontrare Dio

Ma soprattutto lo chiede il vangelo quando con le “Beatitudini” di Matteo destina il Regno a poveri e perseguitati, con i loghia di Marco invita i discepoli a vivere la sequela come servizio, nelle parabole di Luca manifesta la misericordia di Dio verso i peccatori, con Giovanni presenta la croce come atto d'amore e l'esercizio d'amore verso i fratelli come vero incontro con Dio stesso.

È questo il cuore immortale del messaggio evangelico, destinato ad accompagnare ormai la storia del mondo umanizzato usque ad finem. Quel Francesco lo propose al suo tempo e questo ripropone al nostro. La parola e la vita di Gesù crocifisso, rivelazione di Dio come amore nella personale realizzazione dell'amore di sé nell'amore del prossimo, è via al compimento del Regno, pienezza ultima del creato con tutte le sue creature. Questo se i cristiani saranno capaci, non solo di propagandarlo come dottrina e come generico dover essere morale, ma si impegneranno a testimoniarlo col loro concreto agire individuale e comunitario, e se incontreranno compagni di strada, che per vie diverse cercano di orientare la loro a vita secondo scienza e coscienza.

Ecco dunque il senso umano profondo, teologico ed etico-pastorale di molti gesti e parole di padre Bergoglio, giudicati clamorosi nella loro evidente, semplice, veridicità. Ecco l'invito a un esercizio povero della vita della Chiesa, che la collochi accanto alle folle indistinte dei poveri della terra, più che a fianco delle élite di aristocratici, plutocrati e tecnocrati. Ecco il trono pontificio vuoto al concerto celebrativo della sua ascesa alla cattedra di Pietro e la sua presenza commossa tra i profughi e i pescatori di Lampedusa; ecco il suo colloquiare, quasi casuale, ma pieno di umana partecipazione, con coloro con cui viene in contatto.

Ecco infine le misurate e chiare parole della sua risposta alle lettere aperte di Scalfari: «Il peccato, anche per chi non ha la fede (dunque: “anche per chi ce l'ha”) c'è quando si va contro la coscienza»... «Io non parlerei, nemmeno per chi crede, di verità “assoluta”. Assoluto è ciò che è slegato, ciò che è privo di ogni relazione. Ora la verità secondo la fede cristiana, è l'amore di Dio per noi in Gesù Cristo. Dunque la verità è una relazione! Tant'è vero che anche ciascuno di noi la coglie e la esprime a partire da sé, dalla sua storia e cultura, dalla situazione in cui vive. Ciò non significa che la verità sia variabile e soggettiva, tutt'altro. Significa che essa si dà a noi sempre e solo come un cammino e una vita».

Aldo Bodrato

 

Il pezzo è stato scritto prima della pubblicazione della lunga intervista di papa Francesco a «Civiltà cattolica», che conferma alcune indicazioni qui sopra presenti ma esige ulteriori approfondimenti su cui torneremo. (a. r.)

 

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