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società
406 - Tra accuse razziste e difese ideologiche |
Zingari, oltre i pregiudizi
Si fa un gran parlare di zingari, dopo la notizia della bambina bionda con gli occhi azzurri di tre anni trovata in un campo rom a Larissa, in Grecia e dopo l’affaire Leonarda che tanto ha fatto discutere in Francia. Sulla rete abbiamo letto commenti su questo “fatto” che, spesso, hanno dato voce ai peggiori pregiudizi. |
Ho lavorato per un anno in una scuola con rom, di provenienza serba e rumena. Quando lavori con le singole persone, le generalizzazioni passano sempre in secondo piano. Tutte le generalizzazioni: i rom non sono né buoni, né cattivi. Non sono serpenti infidi da evitare, ma neanche meravigliosi ed esotici vagabondi, come a volte, e in forme che un po' ricordano il sognante terzomondismo di decenni passati, o la meraviglia new age del viaggio in India, piace pensare a qualcuno di noi. Il mio amato De André, per esempio, ha fatto dei rom dei santini poetici. Anche se il verso «saper leggere il libro del mondo con parole cangianti e nessuna scrittura» resta uno dei suoi più belli.
Esmeralda e gli altri
C'era la ragazzina gentile, educatissima, tenera con tutti, ma anche silenziosa e ghettizzata dai compagni, che chiedeva l'elemosina davanti alla porta della chiesa di domenica. I compagni e i loro genitori la vedevano andando a messa, poi il giorno dopo lei era di nuovo al banco di fianco a loro. Chissà quali conflitti cognitivi ed emotivi ciò procurava a tutti.
C'era la ragazza ripetente e bella come l'Esmeralda di Notre dame de Paris, che veniva a scuola solo ogni tanto, poi scomparve per troppi giorni consecutivi e ci fu detto dagli allievi che stava per sposarsi (matrimonio combinato, a 15 anni); ma poi tornò e ridendo ci raccontò che la voce l'aveva messa in giro lei coi compagni per prenderli in giro e che non c'era niente di vero. Faceva di queste cose, è plausibile. Ma il dubbio che invece fosse vero eccome, poi lei avesse dirottato l'attenzione con la celia, mi è sempre rimasto. Arrivò comunque a fine anno nubile. No, magari non era vero sul serio.
C'era suo cugino, che portava i libri a scuola, studiacchiava e lavorava bene in classe, voleva fare il meccanico (non il mendicante, non il ladro!). Non vi dico come fossero i suoi temi, a un italiano avrei dato 2, ma lo promuovemmo con convinzione e un metaforico bacio in fronte, perché, dal suo punto di partenza, personale, culturale e sociale, aveva fatto un percorso formidabile.
C'erano i due fratelli ***. Modalità mafiose, intollerabili. Ero sempre attentissimo a non toccarne la suscettibilità acutissima, perché la giustificazione «Ce l'hai con me perché sono rom», ringhiatoti sul muso con gli occhi dritti negli occhi, a minacciare con tono di sfida, era lì pronta a scattare. Ho sacrificato molto, troppo, le esigenze degli altri per contenerli, ascoltarli, comprenderli. (Avevo un'ora alla settimana in quella classe. Anche questo bisognerebbe dire: quanta retorica c'è nei nostri discorsi sulla scuola che include, quando la burocrazia, per ragioni di contabilità, compone cattedre ridicole, che non possono reggere l'urto della realtà!). Mi dico però che non è accettabile che scorrazzassero liberi per la scuola, al di sopra delle leggi che tutti gli altri rispettavano, arrivando a schiaffeggiare davanti ai miei occhi un mio allievo solo perché, aprendo una porta, aveva quasi, dico quasi, urtato uno dei due. Non bastò che io mi frapponessi, intervenne anche l'altro e nella violenta discussione che seguì durai fatica tremenda a restare fermo sul piano di superiorità professionale dell'insegnante, a non scendere al livello del confronto fra uomini, in un corpo a corpo. Avevo da difendere un ragazzo che era vittima di un sopruso, il mio senso di giustizia si ribellava.
Alcuni dei genitori degli allievi che vivevano nei campi (altri ormai vivevano nelle case) lavoravano rubando il rame. Alla fine questo conta: la pratica quotidiana. Le cose, non le parole. Stare con e davanti all'altro. Nella realtà le sfumature si colgono molto di più che nelle parole. La realtà normalizza.
I piccoli san Francesco e Berlusconi in noi
Però è anche vero che oggi a parlare di differenze culturali si viene presi immediatamente per equivoci razzisti. Io m'arrabbio quando sento uno straniero dire «Voi italiani...», come se io fossi uguale al mio vicino che ha votato Berlusconi. Poi però, quando viaggio e vado all'estero, osservo e mi osservo. E non posso non notare che certe differenze sono legate a un'identità e un costume nazionali. Così capisco che, probabilmente, in quanto italiano anche io ho in me un piccolo Berlusconi. Certo, anche un piccolo san Francesco e un piccolo Dante, però anche un piccolo Berlusconi, e un Andreotti, e un Tanzi, e un... Noto la diffusa tendenza di prendere alla lettera certe affermazioni egualitaristiche che sono vere, certo, ma su un piano controfattuale, ideale. «Tutti gli uomini sono uguali». Sì, ma si incarnano in luoghi e tempi della storia, e di quell'hic et nunc portano con sé tutti i pregi e i difetti. Non possiamo cancellarli. Sarebbe come voler cancellare noi stessi. Insieme al piccolo san Francesco e al piccolo Berlusconi che stanno in noi.
La vexata quaestio se i rom rubino e mendichino perché estromessi dal mercato del lavoro o per cultura nativa non è oziosa, ma non ha risposta. Nel senso che sono vere entrambe le cose, credo, o temo. Non possiamo negare che qualche decennio fa si sia diffusa una lettura ideologica dei fenomeni sociali che tendeva a "deresponsabilizzare" gli individui spiegando (e spesso la giustificazione era indistinguibile dalla spiegazione) che se si comportavano così era perché il sistema li metteva nelle condizioni di agire così. No, è troppo semplice. Come è troppo semplice l'ideologia moralistica e individualista contraria − se sei un delinquente è perché hai scelto di esserlo −, che di solito sentiamo in bocca a chi così giustifica solo ex post la posizione sociale già raggiunta.
In futuro ci attendono grandi migrazioni e lotte sociali per spartirsi la torta della ricchezza europea che si va facendo sempre più esigua. Non andremo da nessuna parte se non riusciamo a essere molto pragmatici e ideologicamente sobri. Lo dico, ahimè, senza grandi speranze, perché intorno a un fatto come quello di Lampedusa siamo capaci di reagire solo emotivamente. Intendiamoci: è sacrosanto e umano commuoversi davanti al tg, ma dopo il pianto il «che fare?» richiede occhi asciutti e lucidi. In giro invece si vedono solo strida bieche e ributtanti di leghisti, o buoni sentimenti di chi pensa che basti abolire la Bossi-Fini per garantire un'accoglienza civile a un'umanità che scappa in massa dalla guerra e dalla miseria.
Daniele Lo Vetere
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