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chiesa
406 - MARTINI GESUITA, BIBLISTA, VESCOVO |
Torino ha ospitato una serie di iniziative dedicate a Carlo Maria Martini, morto il 31 agosto dello scorso anno, organizzate da numerose istituzioni cittadine ed ecclesiali. |
Il primo incontro si è svolto il 18 ottobre all’Istituto Sociale ed è stato dedicato al “Martini biblista”. Giacomo Costa sj, direttore di «Aggiornamenti sociali», ha sintetizzato il «metodo Martini» (se così si può dire) in due punti: il dialogo con la Parola e il dialogo tra le coscienze. A proposito della prima, ha citato Madeleine Delbrêl: «Gli avvenimenti non possono essere per noi segno della volontà di Dio altrimenti che mettendoli in collegamento con la parola di Dio, non altrimenti che mettendola in essi. Essa rivela allora la volontà di Dio che deve essere fatta nella pasta stessa di tali avvenimenti» (in C. M. Martini, Non è giustizia. La colpa, il carcere e la Parola di Dio, Mondadori 2003, p. 156). Con questa citazione Martini sottolineava il mutismo di fatti ed eventi, che non sono mai immediatamente autosignificanti, cioè non esplicitano da soli il proprio significato: accadono e basta, e sono fondamentalmente ambigui, in quanto di ciascuno possono essere date interpretazioni diverse. C’è un modo per farne emergere il significato: «se colleghiamo gli avvenimenti con la parola di Dio» – dice Martini commentando Delbrêl – «o se mettiamo in essi la parola, questa parola può rivelarci la volontà di Dio. Non per qualche divinazione o apertura a caso della Scrittura – come alcuni fanno –, ma mettendoci in preghiera profonda e confrontando incessantemente l’agire di Dio e le sue costanti nella Bibbia con ciò che emerge dall’evento che ci interpella» (ivi). L’immagine della pasta è particolarmente espressiva: «è qualcosa da cui si parte per impastarla, pressarla, mescolarla con acqua, per farne altro da ciò che è, pur se è sempre la medesima pasta. Immergendo dunque la parola negli avvenimenti, la pasta si trasforma e diventa ciò che Dio vuole. Non si tratta di farne altra cosa, diversa essenzialmente da ciò che è, bensì di farne emergere il senso» (ivi, p. 157).
Don Germano Galvagno, biblista della Facoltà di Torino, ha invece fatto le lodi della filologia testuale, la specialità di Martini, la più arida delle discipline bibliche, eppure feconda di pastori illuminati... (Pellegrino a Torino!), e ha detto che gli esegeti diffidano per la loro forma mentis dal pensare che la verità possa compendiarsi in un catechismo, avendo l'abitudine di lavorare con testi che di loro natura sono plurali, e la Bibbia contiene una verità ben più larga di ogni catechismo che la possa contenere... Ha anche fatto un piccolo ma significativo esempio: nella nuova edizione Cei della Bibbia c'è un passo di Ester presente sia nella versione masoretica sia in quella dei Settanta... Ecco: una Parola duplice, e duplicemente da accogliere... Chi più del filologo ha il metodo dell'accoglienza di tutte le varianti?
Nella serata si presentava anche la riedizione da parte di Rosenberg & Sellier di uno di quei libri che Martini «non ha mai scritto»: cioè un corso di esercizi spirituali trascritto e sistemato del 1978, Vita di Mosè, in cui si potrebbe individuare un altro tratto tipico del biblista Martini: il suo lasciarsi guidare dalla spiritualità ignaziana.
Nella seconda giornata, presso la Biblioteca civica “Italo Calvino” il 26 ottobre si è parlato invece del Martini vescovo, a partire dal libro omonimo, l’ultimo probabilmente scritto di sua mano, edito sempre da Rosenberg & Sellier. Giampaolo Salvini sj, ex direttore di «Civiltà cattolica», ha sostenuto che la contrapposizione ai papi con cui lo hanno spesso presentato i giornali è stato un cattivo servizio, anche se le sensibilità potevano essere differenti. Per fortuna Martini si difendeva con un certo senso dell’umorismo e talora si ricaricava il giovedì facendo lunghe camminate in montagna. Gli venne rimproverato di viaggiare troppo, e di aver dato inizio al suo episcopato dal carcere (sono gli anni di piombo e lì vi erano incarcerati numerosi terroristi). Ha avuto la capacità di farsi comprendere da tutti e di non sollevare mai polemiche: aveva l’idea che la verità si imponesse da sé. Un uomo con una formazione all’antica, ma che ha capito e assunto il nuovo, rischiando anche di essere strumentalizzato. Il suo vicario, ora vescovo di Novara, mons. Franco Giulio Brambilla, ha preso spunto proprio dal libro Il vescovo, dicendo che costituisce una sorta di «reliquia», da consigliare a tutti i futuri vescovi ma anche agli educatori. Il libro in fondo racconta ciò che ha imparato del vescovo facendo il vescovo. Cosa che gli è costata molta fatica: non era quello a cui aspirava – ha ricordato Salvini. La passione del vescovo: nel doppio significato di patire e di appassionarsi. Ma Brambilla ha anche ricordato che in Cento parole di comunione, scritto dopo 7 anni dall’arrivo a Milano, Martini commenta la parabola del seminatore, mettendo in luce il rapporto tra Parola e coscienza. L’uomo è capace di accogliere la parola e fruttifica in base a questo. È vano forzare dall’esterno. E allo stesso tempo nessun terreno è totalmente impenetrabile dalla Parola. Terreno e seme sono creati l’uno per l’altro: se le parole non fecondano si arriva da un lato alla steppa arida, non fecondata (l’uomo singolo) e dall’altra alla torre di Babele (la società).
a. r.
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