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teologia
Nel Discorso della montagna troviamo insegnamenti che coinvolgono vari aspetti della nostra vita proponendoci il rovesciamento dei criteri normalmente accettati. Tuttavia non sempre ci sembra di essere toccati direttamente dalle parole di Gesù. Invece proprio il «non giudicare» ci accompagna in ogni momento, in quanto rivoluziona i nostri rapporti con «l’altro» con cui abbiamo a che fare tutti i giorni, tutte le ore, sia che si tratti di un rapporto privato, sia che interessi tutta la società. Nessun detto di Gesù è stato tanto “ammorbidito” Secondo la maggior parte degli interpreti, e soprattutto secondo la prassi delle chiese e degli stati, il «non giudicate» si è ridotto a un consiglio a giudicare con giustizia e mitezza. E la giustizia dello stato non è toccata da questi versetti. Eppure Gesù non distingue tra l’attività del giudice e il giudicare in privato. Ma anche considerando le parole di Gesù come un appello alla coscienza individuale, come è possibile la rinuncia a giudicare, condannare, o almeno rimproverare il prossimo? Ognuno di noi passa la giornata giudicando il prossimo. Se lo sento superiore lo invidio, se riesco a vederlo come inferiore mi sento in dovere di correggerlo. L’altro è spesso davvero «altro», diverso, intruso e concorrente, estraneo e nemico. È talvolta davvero «l’inferno» (Sartre). Il mio giudicare l’altro conficca una trave nel mio occhio. Mi arrogo il posto di Dio, compio il grande peccato di mettere il mio io al posto di Dio. Il mio giudizio sul peccato altrui è più grave del suo peccato. «Un santo che si consideri superiore a un peccatore diventa peggiore del peccatore» (Gandhi). Ma sarà mai possibile «gareggiare nello stimarci a vicenda» (Rom 12,10) e che «ognuno consideri gli altri superiore a se stesso» (Fil 2,3)? E sarà possibile evitare di attendere che gli altri contraccambino i nostri gesti di “umile” rinuncia a giudicarli? Scossi da queste domande, non resta che stare in silenzio. Secondo Bonhoeffer «Se giudichiamo, ci poniamo di fronte al prossimo a una distanza di osservazione, di riflessione. L’amore non lascia luogo e tempo per questo atteggiamento… Ma il male del prossimo non mi costringe a una necessaria condanna, proprio per amor suo?… Ma l’amore di Cristo per il peccatore è l’espressione più forte dell’odio per il peccato. Appunto l’amore incondizionato nel quale i discepoli di Gesù devono vivere opera quello che essi, con un amore parziale e condizionato a propria discrezione, non potrebbero mai effettuare, cioè la condanna radicale del male» (i corsivi sono miei) Parole di Gesù, parole di Matteo «Non gettate le vostre perle ai porci». Matteo avrebbe inserito questo logion per completare i versetti precedenti, il cui tono troppo assoluto richiedeva delle sfumature. Forse, nella comunità matteana, il confronto con la realtà portò a contraccolpi. La comunità cercò la propria identità anche nella separazione da quel pezzo di mondo che con la sua aggressività poteva costituire un pericolo. Dietro al detto figurato bisogna quindi supporre un’esperienza missionaria di totale rifiuto e una messa in guardia contro ogni forma di insistenza, di proselitismo. Ma il detto non risale affatto a Gesù, che non ha tracciato questo confine di fronte al mondo e che ci ha vietato di definire gli altri «cani e porci». Gesù si è esposto al mondo, proprio dove esso è particolarmente aggressivo. Anche i detti sulla “correzione fraterna” (Matteo 18,15-17) riflettono i problemi che le prime comunità cristiane dovettero affrontare al loro interno «Chiedete e vi sarà dato». In Luca, simili affermazioni sulla preghiera si possono trovare in 11,9ss, dopo il “Padre nostro” e la parabola dell’amico importuno. La collocazione è più coerente, mentre in Matteo appare isolata dal contesto. Potremmo perciò mettere il brano in relazione con «rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi…», così parafrasando: «chiedete e vi sarà dato come anche voi date a chi chiede». Infatti leggiamo in Matteo 5,42: «A chi ti chiede, dà». «Cercate e troverete». Molti interpreti, a cominciare dai Padri della Chiesa, si sono preoccupati di precisare che il «trovare» non dipende dall’attività dell’uomo, dal «cercare», ma è un dono di Dio, citando Isaia 65,1: «mi feci trovare da chi non mi cercava». Luca 11,13 sostituisce il matteano «il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a coloro che lo pregano (lett. “gli chiedono”)» con «darà lo Spirito Santo a coloro che lo pregano». E lo Spirito «viene in aiuto della nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare» (Rom 8,26). «Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la legge e i profeti». È la cosiddetta regola d’oro, universalmente conosciuta in varie forme presso numerose filosofie e religioni. Alcuni commentatori fanno notare che, poiché dal doppio comandamento dell’amore «dipendono» la legge e i profeti (Matteo 22,34-40), non si tratta di reciprocità di “buone azioni”, ma di scambio di amore. Altri fanno notare come Gesù sia stato, nel fare propria la regola d’oro, il messaggero di una verità eterna, che potesse essere riconosciuta da tutti mostrando l’universalità della fede cristiana. Attraverso la regola d’oro, l’amore riceve un certo potenziale di razionalità: un amore smodato può distruggere anche chi ne è l’oggetto. L’avvedutezza fa parte dell’amore. Ma Gesù aveva anche detto (Matteo 5,46) :«Se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani?». Non sono queste sconvolgenti parole «lo straordinario» del messaggio evangelico? Non c’è una contraddizione con la regola aurea, fondata sulla reciprocità? Meier (Un ebreo marginale vol. IV) è incline a pensare che la regola aurea non sia stata insegnata dal Gesù storico, anche se non è escluso che Gesù abbia adattato talvolta il suo messaggio a un uditorio non troppo brillante e non troppo eroico. Forse l’ammorbidimento del messaggio è cominciato dallo stesso Gesù. Anche questo atteggiamento può essere dettato dall’amore per le persone, così come sono. È la scelta che si impone a ogni evangelizzatore. Dario Oitana (continua)
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