Alcune reazioni suscitate dall’accordo fra Renzi e Berlusconi sulla legge elettorale hanno un sapore abbastanza strano. Inorridite all’idea di parlare col «nemico» e «pregiudicato», esse arrivano da rappresentanti e sostenitori di un centrosinistra che, per circa un ventennio, ha più o meno scopertamente governato con Berlusconi, lo ha corteggiato, si è fatta prendere in giro da lui, però – ci si premurava di osservare − sempre a fin di bene. Con un’espressione poco felice, Renzi ha parlato di «profonda sintonia» con Berlusconi sulle riforme elettorali: tanto è bastato per suscitare gli strali della «sinistra del Pd», che ha improvvisamente riscoperto il proprio attaccamento alla vecchia, cara dirigenza. Dalemiani, bersaniani, vetero e neo-comunisti si scagliano ora contro Renzi, come un branco di vecchi lupi in disarmo, che tentano di far fuori il giovane intruso: come se il Pd non avesse mai fatto altro che combattere Berlusconi e adesso un alieno si fosse impossessato di questo battagliero partito, per stravolgerlo dall’interno.
Ora, che ci piaccia o no Berlusconi, sia pure decaduto da senatore, è ancora il leader, ovvero capo assoluto, di quello che è attualmente il terzo partito in Parlamento, ma non solo: nessuno dotato di senso pratico può seriamente credere che il Ncd di Alfano abbia un consenso maggiore di quello ancora raccolto da Fi. Da anni si parla, e si straparla anche, di cambiare legge elettorale, di mettere mano alle «riforme strutturali di cui il Paese ha urgente bisogno»; da circa un anno, a palazzo Chigi, risiede un governo messo in piedi per fare queste urgenti riforme strutturali, rimaste per ora un oggetto misterioso. Anni trascorsi a chiacchierare e a discutere con alleati e avversari, mentre i duri e puri della nostra sinistra continuano a ripetersi in coro quanto sono belli e intelligenti loro, e quanto sono brutti e stupidi tutti gli altri – in particolare i berlusconiani.
Ciò che sfugge a tanti, incalliti critici di Renzi – pronti a osteggiare il giovanotto in nome di una loro presunta superiorità morale o financo generazionale – è che, per avviare finalmente l’iter sulla legge elettorale e affrontare questa specie di totem che è diventato il porcellum, occorre discutere con tutte le forze politiche, dunque anche con Fi. Dunque anche, e soprattutto, con Berlusconi: tutti sanno perfettamente che i parlamentari forzisti non muovono neppure un dito senza il suo consenso e che qualunque chiusura si dimostri nei confronti di Berlusconi, provoca la loro più ferma ostilità. Renzi ha coerentemente offerto al primo partito di opposizione, il M5S, di discutere le proposte di riforme: i «grillini» gli hanno risposto che loro discutono soltanto la propria proposta, al che Renzi li ha lasciati discutere da soli, attività in cui i duri e puri eccellono. Si è poi rivolto alla terza forza in Parlamento, cioè Fi, affrontando subito Berlusconi: perché perdere tempo a trattare con Brunetta, se poi quest’ultimo deve recarsi da Berlusconi prima di proferire un qualsiasi parere? Certo, Berlusconi è fuori dal Parlamento: ma davvero qualcuno pensava che la decadenza implicasse la morte politica dell’imputato? Per esercitare il potere, in Italia, non occorre essere in Parlamento: anzi, spesso si governa meglio dalle segrete stanze, da dietro le quinte e persino dalla cella di un carcere. E la discussione sulla legge, con relativa approvazione o cassazione, si svolgerà in Parlamento, non nel salotto di Renzi o di Villa Certosa.
Il fatto che sia stato Berlusconi a recarsi da Renzi, e non il contrario, ci segnala un ribaltamento di posizioni: non è più Berlusconi che manovra e, se la riforma andrà in porto, Renzi potrà assumersene il merito. Presentare in Parlamento una proposta di legge, senza l’appoggio di Fi, significherebbe perdere in partenza, perché la proposta sarebbe bocciata da M5S e Fi, cioè dalla maggioranza.
Accordo sulla riforma elettorale non significa accordo di governo: peraltro, che tale accordo si sia dovuto (ancora!) cercare con un individuo come Berlusconi non è certo colpa di Renzi, ma di chi, in questi anni, ha sostenuto il personaggio in questione o lo ha appoggiato, pur trovandosi, almeno teoricamente, dall’altra parte. Seguire una propria linea e proporla come valida, come sta facendo Renzi, non significa necessariamente fare il padrone né nutrire velleità dittatoriali: significa essere determinati, sapere quello che si vuole e che chi ti sostiene si aspetta da te, a differenza di chi si è sempre soprattutto preoccupato di non sfasciarsi, di rimanere a galla, insomma di sopravvivere.
È strano vedere tanti così pronti a scagliarsi su Renzi per il tentativo di dialogo con Berlusconi, adesso, e constatare come nessuno abbia trovato nulla da dire quando, con identica determinatezza, Renzi ha parlato di diritti civili, scatenando il panico di Alfano e dei moralisti di casa nostra. Forse perché siamo abituati a un Pd in cui al massimo si esala qualche debole dichiarazione di principio sui temi di sinistra, sempre attenti a non passare dalle parole ai fatti, esattamente come per le «riforme di cui il Paese ha urgente bisogno»: appena si intuisce che qualcuno vorrebbe, e soprattutto potrebbe, andare oltre la chiacchiera, si scatena il panico.
Elisabetta Lurgo
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