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La prima cosa che Renzi al governo intende fare è la nuova legge elettorale, concordata con Berlusconi (il politico fuori legge). C'è chi giudica fuori legge costituzionale anche quel progetto di legge elettorale. Valerio Onida, in un’intervista al Tg3, il 30 gennaio, ha dichiarato che un premio che dà la maggioranza assoluta a un terzo o poco più (35 o 37%) dei voti, è senza alcun dubbio incostituzionale. Trenta competenti e rispettabili giuristi (tra cui per es. Mario Dogliani, Michelangelo Bovero, Luigi Ferrajoli, Stefano Rodotà) hanno scritto (cfr. Micromega newsletter del 28 gennaio) che la nuova proposta

presenta vizi analoghi a quelli per cui la Corte costituzionale (sent. n. 1 del 2014) ha dichiarato incostituzionale il Porcellum.

Quei vizi erano essenzialmente due. «Il primo consisteva nella lesione dell’uguaglianza del voto e della rappresentanza politica determinata, in contrasto con gli articoli 1, 3, 48 [“voto eguale”] e 67 della Costituzione, dall’enorme premio di maggioranza – il 55% per cento dei seggi della Camera – assegnato, pur in assenza di una soglia minima di suffragi, alla lista che avesse raggiunto la maggioranza relativa». La proposta di riforma, scrivono questi giuristi, «rende insopportabilmente vistosa la lesione dell’uguaglianza dei voti e del principio di rappresentanza, lamentata dalla Corte: il voto del 35% degli elettori, traducendosi nel 53% dei seggi, verrebbe infatti a valere più del doppio del voto del restante 65% degli elettori». «Ciò determina, secondo le parole della Corte, “un’alterazione profonda della composizione della rappresentanza democratica sulla quale si fonda l’intera architettura dell’ordinamento costituzionale vigente” e compromette la “funzione rappresentativa dell’Assemblea”».

«Il secondo profilo di illegittimità della vecchia legge consisteva nella mancata previsione delle preferenze, la quale, afferma la sentenza, rendeva il voto “sostanzialmente indiretto” e privava i cittadini del diritto di “incidere sull’elezione dei propri rappresentanti”». Questo vizio è presente anche nell’attuale proposta di riforma, nella quale sono escluse le preferenze, pur prevedendosi liste assai più corte. «La de­signazione dei rappresentanti è perciò nuovamente riconsegnata alle segreterie dei parti­ti. Viene così ripristinato lo scandalo del “Parlamento di nominati”». Il documento dei giuristi apre però una possibilità: se le nomine avvenissero «attraverso consultazioni primarie imposte a tutti e tassativamente regolate dalla legge», anziché decise dai vertici dei partiti, le elezioni non si trasformerebbero in una «competizione tra capi e infine nell’investitura popolare del capo vincente». Osserviamo qui che la preferenza è sempre stata esposta al rischio del voto di scambio, della corruzione, delle influenze mafiose. Una democratizzazione interna dei partiti permetterebbe di rivendicare quel diritto dell'elettore, riducendo questi rischi.

Un altro fattore – secondo i trenta giuristi − aggrava i due vizi suddetti, compromettendo ulteriormente l’uguaglianza del voto e la rappresentatività del sistema politico, persino più del Porcellum. La vecchia legge, per questa parte tuttora in vigore, richiede per l’accesso alla rappresentanza parlamentare almeno il 2% alle liste coalizzate e il 4% a quelle non coalizzate. La proposta di riforma richiede il 5% alle liste coalizzate, l’8% alle liste non coalizzate e il 12% alle coalizioni, cioè un innalzamento a più del doppio delle soglie di sbarramento. «Questo comporterà la probabile scomparsa dal Parlamento di tutte le forze minori, di centro, di sinistra e di destra e la rappresentanza delle sole tre forze maggiori affidata a gruppi parlamentari composti interamente da persone fedeli ai loro capi». Ciò significa annullare il voto di moltissimi cittadini, contro l'essenza della democrazia costituzionale.

Insomma, questa proposta di riforma appare una riedizione del Porcellum, migliorato sotto taluni aspetti (fissazione di una quota minima per il premio di maggioranza e le liste corte), ma peggiorato sotto altri (le soglie di sbarramento, molto più alte). «Di fronte all’incredibile pervicacia con cui il sistema politico sta tentando di riprodurre con poche varianti lo stesso sistema elettorale che la Corte ha appena annullato perché in contrasto con tutti i principi della democrazia rappresentativa», i giuristi segnalano «che una simile riedizione palesemente illegittima della vecchia legge possa provocare in tempi più o meno lunghi una nuova pronuncia di illegittimità da parte della Corte costituzionale e, ancor prima, un rinvio della legge alle Camere da parte del Presidente della Repubblica (in base all’art.74 Cost.), motivato dai medesimi vizi contestati al Porcellum dalla sentenza della Corte Costituzionale. Con conseguente, ulteriore discredito del nostro già screditato ceto politico».

 

Enrico Peyretti


 
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