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IL CORAGGIO DELL’INCERTEZZA

 

Viviamo in tempi più difficili di una volta, cioè rispetto a trenta, cinquanta, settanta, cento anni fa? E come ci dobbiamo regolare? Lottare a fondo contro un sistema che ci porta alla rovina? Promuovere valori che sembrano perduti? Creare valori per il mondo d’oggi? Lottare contro chi detiene il potere? Cercare di sensibilizzare la gente?

Forse bisogna proprio partire dalle domande iniziali. Trent’anni fa. Nel 1983 era uscito il film (ora dimenticato) The day after. Mostrava le atroci conseguenze di una allora possibile guerra nucleare tra Usa e Urss. Fu un enorme successo. In alcune manifestazioni i dimostranti si sdraiavano per terra e contavano quanti minuti sarebbero occorsi per la messa in atto di un olocausto di miliardi di esseri umani.

E ora? Il pericolo è scomparso? Sicuramente no, anche se è presumibilmente molto inferiore a quello di trent’anni fa. I lenti ma positivi accordi con l’Iran lasciano bene sperare. La politica molto meno “muscolosa” di Obama ha buttato acqua su alcuni focolai di guerra. Il confronto va fatto non con un’ipotetica perfezione, ma con quello che avveniva nel passato. Domanda “scandalosa”: l’esistenza del pericolo atomico nei lunghi decenni di guerra fredda, ha impedito lo scatenarsi della Terza Guerra Mondiale che avrebbe comportato la distruzione completa dei contendenti e di tutto il pianeta? Penso che la questione debba rimanere aperta. Lo stesso comunista Berlinguer giudicava la Nato come «un ombrello» che ci aveva protetto dalle ingerenze sovietiche. Non viviamo in un mondo di santi, nel Regno dei cieli. Dal supremo male può nascere persino un po’ di bene, come anche viceversa. La stessa fabbricazione degli ordigni nucleari è segno di una progressiva degenerazione del genere umano? No, è frutto di una scienza che, come è quasi sempre successo, non si interessa delle conseguenze delle sue scoperte.

È da circa due secoli che si è sviluppata, in modo esponenziale, l’economia capitalistica. È un tipo di economia peggiore dei sistemi precedenti? È un’economia che provoca solo fame e morte? Se così fosse, perché, rispetto a due secoli fa, la popolazione umana è cresciuta da un miliardo a sette miliardi? E rispetto a cinquant’anni fa è cresciuta da tre miliardi a sette miliardi? Ai tempi di Marx, persino nella “ricchissima” Inghilterra, la maggioranza della popolazione si trovava in una situazione di miseria peggiore di quello che possiamo verificare oggi in Cina, India, Brasile.

Ma, in tutto il mondo, e all’interno di ogni nazione, c’è più disuguaglianza? Probabilmente sì. Ma disuguaglianza economica significa di per sé la forma peggiore di ingiustizia? Non si rischia in tal modo di tributare un omaggio al dio denaro, un omaggio davvero “ingiusto”? Non si rischia di dimenticare altre forme di disuguaglianza, meno “misurabili” ma più dolorose perché vissute in solitudine, senza speranza?

 

Ambiguità della storia

Si obbietterà che abbiamo fatto pagare alla natura il prezzo di quello che chiamiamo benessere, quello che per molti appare ancora un lontano traguardo. Certamente. Ma lo sfruttamento dell’ambiente c’è sempre stato. Solo ora ce ne rendiamo conto. Ma è difficile, se non impossibile, chiedere a tutta l’umanità di frenare la crescita, di modificare il modello di sviluppo, allo scopo di garantire un ambiente migliore alle generazioni future. Quale partito, quale gruppo sociale, oserei dire quale essere umano (salvo una pattuglia di sognatori) vorrebbe modificare radicalmente il proprio stile di vita rinunciando ad alcune pretese comodità? Ripeto, non siamo ancora nel Regno dei Cieli. E non siamo neppure più ai tempi «quando c’era Berlinguer» in cui il segretario di un partito che contava un terzo degli italiani vedeva nella politica di austerità un possibile «fatto liberatorio».

Vent’anni fa cellulari e computer iniziavano a diffondersi. È stato un fenomeno positivo? Probabilmente sì, ma occorre evitare risposte drastiche. Rispetto a cinquant’anni fa molti tabù sessuali sono caduti. C’è meno ipocrisia. Ma c’è davvero più libertà? È in diminuzione la sofferenza per problemi nei rapporti di coppia?

I potenti sono sempre più potenti e l’arte del dominio più penetrante? Torniamo indietro di settanta, ottant’anni: milioni di infelici erano pronti a sacrificarsi per il risorto Impero Romano, per il Reich Millenario, per “ideali” che ora ci fanno sorridere amaramente. Molti operai italiani si facevano licenziare guardando ad un futuro in cui il compagno Stalin avrebbe portato giustizia e pace. L’arte del dominio sulle coscienze era più penetrante di quanto non lo sia oggi.

Anche oggi subiamo l’influenza dei media, ma in genere siamo più disincantati. Qualcuno sacrificherebbe la vita per Berlusconi, Grillo… Renzi? C’è invece il pericolo del nichilismo ideologico. «Dio è morto, Marx è morto. E anch’io non mi sento bene», così Woody Allen. Sì, non ci sentiamo bene ma non riusciamo a immaginare un futuro migliore.

Che fare allora? Per un intellettuale, per un credente impegnato, il compito è vastissimo. È difficile accettare l’angosciosa ambiguità della storia. Occorre avere il coraggio di superare il «non sentirsi bene», la tentazione di rimanere paralizzati da una patologica incertezza. Senza aggrapparci al solito «che tempi!», senza pretendere di essere nel Regno dei cieli. La «gente» è «quella che è»? E sempre così sarà? Più che fidarci delle grandi idee, occorre operare uno sforzo, forse eroico, di fidarci della gente. E lavorare con quelli del bar più che con quelli degli alti scanni di ogni Accademia. E lo sforzo è davvero eroico nella misura in cui rinunciamo ad ogni certezza, pronti a imparare da chiunque, anche da chi ci sembra più lontano.

Poiché, sia chiaro, anche il mio relativo ottimismo circa il tempo presente può e deve essere messo in discussione. Può darsi che abbiano ragione coloro che vedono nell’economia capitalistica e nell’imperialismo occidentale un pericolo mortale.

Io non la penso così, credo di avere imparato qualcosa dall’esperienza e dai miei errori. Ma potrei sbagliare, come tutti.

Dario Oitana

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