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Che cos'è mai la «dottrina»?

 

Ecclesia semper reformanda è un principio enunciato dai Padri dei primi secoli, che come un leitmotiv ritorna nelle Costituzioni Conciliari e che tale è rimasto per oltre cinquant'anni: un ritornello e nulla più.

Tanto che oggi, venendo al pettine, i nodi si presentano più intricati che mai e sono i nodi che legano la pastorale alla dottrina. Doverosamente attenta, la prima, ai processi di trasformazione storica della società e della cultura; appassionatamente legata, la seconda, al modello metafisico della verità immutabile e oggettiva della prima inculturazione cristiana nel mondo greco-latino. Ce lo sentiamo ripetere ogni giorno, dopo l'elezione del nuovo Vescovo di Roma. «Giorgio Bergoglio, detto Francesco, vuole rinnovare il volto pastorale della Chiesa, passare dall'intransigenza dei “principi non negoziabili”, alla misericordia del perdono e dell'accoglienza, ma “non può” e “non deve toccare la dottrina”, che l'assolutezza di tali principi fonda sulla propria “immutabile verità”».

Nessuno contesta che la rivelazione del Dio ebraico e cristiano sia avvenuta nella storia, adeguandosi al linguaggio e allo sviluppo culturale dei suoi interlocutori. Nessuno nega che la Chiesa, proprio come Israele, debba essere testimone della Parola di Dio tra gli uomini di tempi e luoghi diversi. Ma tutti, o quasi tutti, sembrano ritenere che Dio possa rivelarsi, adeguandosi al linguaggio e alla condizione culturale, storica, esistenziale dell'uomo, ma che la Chiesa non possa farlo con la dottrina elaborata nei secoli per interpretare e annunciare tale rivelazione ai popoli del Mare nostrum. Quasi la Chiesa coi suoi dogmi e le sue leggi fosse in grado di esprimere e di tutelare meglio di Dio quell'assolutezza del bene, del bello e del vero a cui Egli stesso ha rinunciato, quando ha creato il mondo e l'uomo, dotandoli della loro specifica libertà e capacità di sviluppo, e ha affidato loro le parole della sua rivelazione, facendosi ad essi relativo.

Ecco perché non è un artificio retorico chiedersi cosa sia mai la “dottrina”, se in suo nome si deve condannare la Chiesa alla funzione di custode del suo passato, di presepe meccanico della propria archeologia liturgica, teologica e pastorale; se, per garantirle autorità, la si deve trattare come una rocciosa tavola della legge, piuttosto che una parola rivolta alle coscienze e scritta nei cuori.

 

Mai la parola è univoca e astorica

«“Dottrina” − viene subito da osservare, parafrasando un detto di Aristotele sull'uso di “essere” − si  dice con molti significati». Fanno parte della Dottrina i temi fondamentali della storia della rivelazione: creazione, incarnazione, resurrezione, apocalisse. Dottrina sono i dogmi trinitari e cristologici. Dottrina sono quelli mariani. Dottrina sono, nel dibattito attuale, quei principi etici cui si appellano i difensori delle leggi ecclesiastiche relative alla sessualità.

Diverso è però il valore fondante che, per l'identità cristiana, hanno i diversi apparati dottrinali che costituiscono il depositum fidei della Chiesa. E, se per tutti il processo di formazione si articola come progressivo approfondimento del significato della Parola rivelatrice di Dio, testimoniata dalla Scrittura e costantemente riproposta e attualizzata dalla Chiesa, per tutti tale processo di formazione esige di poter continuare a crescere insieme alla missione di annuncio del Vangelo nei diversi tempi della storia e nelle diverse culture e condizioni di vita dei popoli.

Questo e non altro è la tradizione, invocata dai sostenitori dell'immutabilità della “Dottrina matrimoniale cattolica”. E dalla rilettura di questa tradizione è bene anche oggi ripartire, se vogliamo che la vita dei credenti tenti di essere fedele allo spirito e non alla lettera del Vangelo. Sappiamo bene, infatti, fin da Paolo, che non è la “lettera” della Scrittura, ma lo “spirito” che vivifica. Sappiamo che da sola la lettera può anche uccidere, come i vari fondamentalismi ci mostrano. Di conseguenza sappiamo anche che ogni singolo passo biblico va interpretato alla luce del contesto storico, letterario, esperienziale e comunitario della sua prima formulazione e del suo lungo processo di recezione comunitaria.

Senza Parola di Dio non c'è popolo di Dio, ma senza popolo di Dio, che tale parola riceve e incarna nella propria vita, non può esserci Parola di Dio che illumina la storia dell'uomo. Detto altrimenti: “Il Sabato, la Legge sono per l'uomo e non l'inverso”. “Il cristianesimo è al servizio del Vangelo, non è il Vangelo al servizio del cristianesimo”. E il Sabato, la Legge, il Vangelo mai sarebbero giunti a noi, se l'ebraismo e il cristianesimo non li avessero, via via, attualizzati nella realtà sociale e culturale della propria esistenza, a partire dalla fissazione scritta delle parole e degli eventi costitutivi della biblica storia della salvezza.

Questa è la dottrina: la riformulazione, adeguata alla vita storica degli uomini, della “Parola di Dio”, rivelata nella storia, a noi giunta attraverso la scrittura biblica e la sua continua reinterpretazione ecclesiale.

Aldo Bodrato

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