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società
414 - Sul rapporto tra cultura e televisione |
Pio XII e Lascia o raddoppia?
Nell’agosto del 1956 Walter Binni scrive ad Aldo Capitini: «A proposito del papa, hai visto che anche lui, principe dei mediocri, è grande ammiratore di “lascia o raddoppia” e che anzi il giovedì rinvia di un’ora la preghiera per vedere prima quello spettacolo di alta cultura?». |
Pochi giorni dopo Capitini risponde: «Avevo visto del “principe dei mediocri”: proprio così! Apprezza quella cultura! Dice che stimola l’emulazione! Quelle cose miserabili! Una sera Tonino in casa Morra ha voluto invitarmi imperiosamente a cena e alla Tv, e avevo una pena per quei disgraziati, specialmente ragazzi, che si credevano colti, gloriosi, importanti!».
Capitini mi sta particolarmente a cuore, trovo sia una figura, quasi misconosciuta, fra le più decisive e suggestive dell’Italia del secolo scorso, mentre la mia sintonia con il pontificato di Pio XII è piuttosto scarsa. Eppure, relativamente alla “disputa” che si delinea in queste righe, mi scopro più prossimo al giudizio del papa che al suo. Forse qui ci troviamo di fronte a un piccolo capitolo della storia, spesso non semplice, del rapporto tra il mondo dell’alta cultura e quello della televisione, e dei media in generale. Un mondo, quest’ultimo, a cui spesso il primo ha guardato con insofferenza e degnazione, considerandolo come qualcosa da cui ci si deve difendere, più che come una potenzialità da sfruttare. Per quanto riguarda Capitini, non si può sostenere che sia stato un uomo avverso per principio al mezzo televisivo, lo prova il fatto che alcuni anni dopo queste considerazioni, sempre in una lettera a Binni, esprimerà una valutazione piuttosto favorevole dello sceneggiato tratto da I promessi sposi. Però I promessi sposi sono la riproposizione di un classico della letteratura, mentre un gioco a quiz è una forma di intrattenimento che appartiene e si sviluppa prevalentemente all’interno della tecnologia radiotelevisiva.
L’intellettuale e il popolo
Nelle righe citate Capitini mostra dunque il volto di un intellettuale elitario e aristocratico, che disprezza il mondo delle persone comuni e la loro adesione, magari un po’ ingenua, a forme di divertimento poco sofisticate, o non sufficientemente elaborate? No, direi che la risposta non corre univocamente in questa direzione. Certo nella frase in questione si coglie, e spiace notarlo, nei confronti dei partecipanti alla trasmissione un tono, se non di disprezzo, di compassione un po’ altezzosa. Peraltro, anche se è vero che si tratta di una corrispondenza rapida e un po’ sbrigativa, lo stile di scrittura non brilla per cure formali, con quei punti esclamativi che si rincorrono come nel diario di un adolescente. D’altro canto però Capitini, figlio di un modesto impiegato comunale, è sempre stato un uomo di pensiero che ha vissuto la propria missione intellettuale con lo sguardo rivolto al popolo, se così vogliamo chiamarlo, e immerso nei suoi problemi. Le sue relazioni non si sono certo limitate al mondo culturale, con il quale d’altra parte non ha mai cessato d’essere in contatto. Qualcuno potrebbe forse giudicarne le cadenze a tratti un po’ paternalistiche, resta il fatto che il suo gesto è sempre stato all’insegna dell’inclusione. Possono darne sufficiente testimonianza righe come le seguenti, scritte a proposito della Marcia della pace Perugia-Assisi: «il fatto è che anche davanti a persone del popolo che non hanno avuto sufficiente istruzione, con donne, uomini, ragazzi, che non hanno letto sui nostri problemi né partecipato ai nostri convegni, mi pare irreligioso escluderli perché non sono addentro alla nonviolenza: meglio convocarli e parlar chiaro».
Per tornare alla televisione, non è certo mia intenzione aderire all’intrattenimento televisivo in modo acritico, eludendo il fatto che può anche dare origine a pericolosi germi di omologazione e di istupidimento sociale. Però questo accade, ed è accaduto, in qualche misura anche perché la migliore cultura di fronte alla televisione si è spesso tenuta in disparte o si è rivelata incapace di farla (non si tratta di cosa così semplice e immediata). L’alta cultura, insomma, in molti casi non è stata forse sufficientemente umile da provare a costruirsi un volto mediatico e, perché no?, pop, al fine di intraprendere una comunicazione di maggior diffusione sociale, il risultato è stato quello di lasciare spesso campo libero a imbonitori e demagoghi d’ogni sorta.
Indulgenza per la frivolezza
D’altra parte, anche se non è questa la sede per provare ad analizzare il modo in cui il quiz televisivo si è sviluppato ed è mutato, non è escluso che oggi lo stesso Capitini potrebbe riconoscere che quel meccanismo di emulazione che Pio XII trovava apprezzabile in “Lascia o raddoppia?”, forse non era del tutto da sottovalutare. Allora la vincita di un premio era legata a uno sforzo di preparazione: per andare in TV e vincere del denaro occorreva sapere qualcosa; certo forse si trattava di un sapere prevalentemente nozionistico, forse lo studio consisteva soltanto in un esercizio mnemonico, resta il fatto che a monte stava la necessità di un impegno e di una fatica, mentre non di rado nei giochi a premi odierni la vincita è affidata alla mera buona sorte, al puro caso che conduce a scegliere una scatola con dentro 500.000 euro, piuttosto che un’altra che contiene una cravatta.
Quanto detto sin qui forse ci porta verso una considerazione conclusiva. Capitini è stato un uomo straordinario, ha perso un prestigioso posto di lavoro alla Normale di Pisa, per il rifiuto di accettare la tessera del partito fascista, quando questo viveva la stagione del suo maggior consenso. Qualche anno più tardi la sua opposizione al fascismo lo ha portato in carcere. Ha vissuto il suo impegno per la nonviolenza e per la giustizia sociale come una missione quotidiana, con dedizione instancabile, nonostante una salute precaria. I grandi esempi, come il suo, sono una fonte di luce da cui lasciarsi illuminare. Però, constatarlo è inevitabile, la maggior parte di noi fa parte di quei mediocri di cui parlano nelle loro lettere Binni e Capitini, come e più di Pio XII. Non si può sperare di vivere in una tensione etica continua, di cui pochi sono capaci, e in fondo non è detto che dietro ogni cosa che intraprendiamo debba obbligatoriamente celarsi un impegno a migliorare noi stessi. Bisogna avere un po’ di indulgenza per la frivolezza, perché anche la frivolezza è una componente importante nella vita degli uomini e delle società. Il discrimine, come quasi sempre accade, risiede nella misura e nella quantità.
Massimiliano Fortuna
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