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Sono ancora davanti ai nostri occhi le immagini delle decapitazioni operate dagli jihadisti dell'Isis, immesse intenzionalmente nella rete di visibilità mondiale: l'aspetto mediatico è fondamentale, non un corollario aggiuntivo. Le decapitazioni non sono il ritorno del medioevo, come ha sostenuto qualcuno. L'esposizione pubblica del corpo, capo, teschio del nemico ucciso, come vanto patriottico dell'eroe guerriero, è stata una caratteristica dell'umanità in tutti i continenti nel corso dei secoli, dai tempi dell'Iliade agli Indiani d'America. È avvenuto anche con le esecuzioni capitali dei «reprobi» (tali o presunti) nelle grandi piazze, con la gente che guardava quasi eccitata o ammaliata. In Italia l'ultima esposizione pubblica delle foto dei nemici vinti e uccisi nelle guerre coloniali, ci pare sia avvenuta sotto il fascismo; ma ricordiamo anche l'esposizione della salma di Mussolini effettuata dagli antifascisti.

Anche lo Stato della Chiesa, in primis il beato Pio IX, si è distinto quale mandante di decapitazioni pubbliche, almeno sino a quella del 24 novembre 1868, il cui resoconto fatto da un sacerdote suona così: «Tutto intorno, con un popolo sterminato, regnava un religioso silenzio, per guisa che, quando il paziente [Gaetano Tognetti] a voce alta e distinta invocava i nomi santissimi di Gesù e Maria, sariasi potuto ancor da lungi noverare ogni sillaba: e parimenti allorché il sacerdote proferì l'estrema formula di assoluzione. All'Amen il Tognetti appena poté soggiungere: “Gesù...”, che gli cadde recisa la testa e l'anima si trovò nel seno di Dio» (cfr. Dario Oitana, Il papa che uccideva i santi, il foglio n. 266, gennaio 2000).

I decapitati dell'Isis che pronunciano i loro proclami contro l'Occidente, in particolare Stati Uniti e l'Inghilterra, avranno accettato di dire quelle cose non si sa con quali minacce o promesse; le decapitazioni sono atti di propaganda nello stile di chi li deve ascoltare: un gruppo combattente che ha per collante l'islam, insieme all'odio antioccidentale utilizza le modalità dello show e del reality, ben note al pubblico televisivo occidentale, per far comprendere a quest'ultimo le proprie intenzioni o almeno per terrorizzarlo. Ciò che è più importante è la cornice scenica e spettacolare, la cura della ripresa: l'atto in sé non sarebbe più sufficientemente eclatante per un'opinione pubblica di spettatori fedeli di serie tv dedicate a criminal cases. La morte è messa in scena nel modo più gradito agli occidentali nemici: gli islamici si piegano alle regole dello show businnes, nel momento in cui sono convinti di piegare queste regole alle loro esigenze.

***

Tognetti era stato con Monti autore dell’attentato nel 1867 alla caserma Serristori abitata dagli zuavi pontifici, provocando 27 morti, alla vigilia dell'insurrezione di Roma. Lo scorso 20 settembre, come negli anni precedenti, c'è stato un silenzio quasi totale dei mass-media nel ricordare l'anniversario di Porta Pia, ma non per il raggiungimento di una laicità condivisa che decreta il superamento di un problema ormai obsoleto, bensì forse per l'imbarazzo di toccare una questione spinosa che permea ancor oggi i rapporti fra stato e chiesa, soprattutto quelli fra legislazione civile e dogmi ecclesiastici sui temi etici. Abbiamo faticosamente acquisito in Occidente una democrazia che – nonostante le cosiddette primavere arabe − fatica ad affermarsi nel mondo musulmano, che ha seguito uno sviluppo socio-culturale diverso dal nostro. L'Europa è pervenuta a una certa separazione fra religione e politica nella laicità dello Stato, ancora sconosciuta nel mondo islamico; ma in Italia tale traguardo è tutt'altro che raggiunto, a causa della presenza del papato e dello stato-città del Vaticano.


 
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