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FAR SOFFRIRE IL MENO POSSIBILE

 

Fiumi di parole, dette e scritte. Appelli, puntualizzazioni. Interpretazioni dei giornali. Il sinodo dei vescovi sulla famiglia si è concluso senza decisioni clamorose.

Come è noto, le questioni più dibattute riguardavano l’accoglienza nei confronti degli omosessuali e dei divorziati risposati. La dottrina tradizionale non poteva essere cancellata. La chiesa cattolica del 2014 non può rifiutare in toto quanto, nei decenni e secoli passati, veniva proclamato come Verità. Ma senz’altro si è notata meno rigidità e una decisa messa in guardia contro la volontà di escludere e di condannare.

Ma se invece si dovesse mettere al primo posto un appello a tutti per evitare, o almeno contenere il peso del dolore causato dalla difficoltà di varie situazioni, l’orizzonte si dovrebbe ampliare. Non esiste uno mezzo che “misuri” il dolore. Quindi sarebbe scorretto fornire una casistica precisa. Anzi chi legge cerchi di immaginare, ogni poche parole, un «forse», «non è da escludere», «per ipotesi».

Inoltre non si dovrebbe solo trattare di coniugi che si separano, ma anche di ragazzi e ragazze molto giovani. Due si lasciano (a 15 anni, a 20, a 50…). Ma tutti e due erano intenzionati a interrompere il loro rapporto? E se uno/a continua ad amare l’altra/o? Chi viene “piantato”, “scaricato”, è esposto a immani sofferenze. E chi non è più innamorato può anche «tollerare» di continuare un certo rapporto, tenendo per così dire il coltello dalla parte del manico e trattando l’altro/a come un burattino, magari inconsapevolmente.

E per quanto riguarda la separazione e il divorzio tra coniugi, nel caso di una decisione consensuale, ne può derivare una diminuzione di sofferenza. Quindi l’atto sarebbe augurabile, anche da parte di credenti. Ma quando solo in uno dei coniugi l’amore si è spento? L’altro/a non può che soffrire? O chi vorrebbe divorziare è condannato (per amore?) a convivere per forza, e a non risposarsi, rischiando di rendere la vita un inferno per tutti, figli compresi? La risposta non è sicura. È anche possibile una mobilitazione della volontà da parte dell’uno/a e dell’altra/o al fine di soffrire il meno possibile. E non è diversa la situazione del rapporto tra omosessuali. Invece di disquisire sulla liceità del rapporto, occorre considerare il caso (almeno comune quanto tra eterosessuali) in cui in uno/a l’amore si spegne, mentre l’altro/a è ancora innamorato/a.

Ma, comunque si consideri la questione, forse un solo comandamento va osservato: «Ama il prossimo», da lì dipende «tutta la Legge e i Profeti» (Matteo 22,40). Cioè da lì dipendono tutte le questioni sul divorzio, sulla liceità della cosiddetta convivenza, sulla eguale dignità tra omosessuali ed eterosessuali. Ma, alla luce di quanto detto, dovremmo davvero condannare ogni comportamento in cui non si rispetti la dignità altrui, anzi la si calpesti, con l’inganno, col disprezzo, con l’irrisione, con un’inescusabile leggerezza. «Guai a giocare coi sentimenti!». È una delle forme peggiori di odio. È un vero omicidio. È comune a ogni età. Ma spesso questo crimine viene passato sotto silenzio o tollerato con un sorriso, anche da coloro sempre pronti a giudicare e condannare.

Dario Oitana

 

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