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 Riceviamo da un lettore un intervento che la redazione fa proprio come editoriale.

 

La tragedia dei cristiani e di tutte le minoranze religiose in Medio oriente è terribile, sia sotto l'aspetto umanitario, sia per l'effetto devastante che tale repressione produce sul ricchissimo patrimonio culturale e antropologico di quei territori impoverendo un'area geostorica di importanza vitale per l'intera storia dell'umanità.

Fermare questa catastrofe dovrebbe essere un impegno di tutti. i cristiani vengono identificati come il nemico storico da parte dei fondamentalisti in preda a un delirio di violenza prodotto da un complesso di inferiorità nei confronti dell'Occidente che, nonostante il suo inesorabile ridimensionamento globale, resta una potenza militare a dir poco invincibile così come un riferimento culturale estremamente vivo nella mente e nei sogni di milioni di uomini e donne di tutto il mondo. per gli integralisti riuscire a scalfire questo primato è oggettivamente impossibile e l’unica via che hanno è quella di demonizzarla e, per quanto è possibile, distruggerla. Non si tratta però solo di pronunciarsi in difesa di queste popolazioni, che devono essere tutelate insieme al loro retaggio culturale. Ma di riflettere che tutto ciò non è solo frutto di odio religioso. Non siamo cioè di fronte a una crociata all'inverso. Il vero dramma che stiamo vivendo è l'esito criminale del folle tentativo di contrapporre ai disastri, provocati da una globalizzazione dominata dagli interessi economici di una plutocrazia finanziaria sovranazionale, il ritorno a mitiche identità etniche, nazionali e religiose. Come spiegare altrimenti la persecuzione dei musulmani in Birmania da parte di componenti significative del mondo buddista con il sostegno dell'esercito? Come comprendere i massacri dalle dimensioni assolutamente superiori a quelle dei cristiani, da parte di gruppi sunniti verso gli sciiti e viceversa? Come spiegare la persecuzione delle minoranze non islamiche sempre nel Medio oriente? E ancora come leggere il tentativo di genocidio dei musulmani in Bosnia da parte dei "cristiani" serbi e croati?

La lista non si ferma qui. Potremmo continuare con la guerra senza pietà in Cecenia, sempre contro i musulmani, lo scontro tra induisti e islamici in India, che ha mietuto decine di migliaia di vittime, il genocidio dei sick in Ceylon, la tragedia palestinese frutto dell'intolleranza di buona parte del mondo israeliano. In questo quadro si potrebbero inserire anche gli scontri (interreligiosi?) tra ucraini e russi, ambedue popoli cristiani, ma animati da diversi disegni nazionalisti. Come si vede richiamare l'attenzione prevalentemente sulla «persecuzione dei cristiani nel mondo» è riduttivo e difficilmente regge a uno sguardo più ampio. Questo non perché anche i cristiani non siano vittime di atroci massacri, ma perché le loro uccisioni si collocano in un processo più ampio che le ingloba.

Insomma, oggi, a seguito dello stillicidio di morti cristiani per mano dei fanatici del Califfato, rischia di accendersi, di riflesso, un analogo atteggiamento di rifiuto, comprensibile ma non adeguato alla complessità della situazione. Il vero nemico è la pratica della costruzione del nemico, la chiusura in una falsa maschera identitaria a cui si aggiunge l'incapacità, anche dell'Occidente, di affrontare i grandi problemi che il mondo globale pone in Medio oriente e non lì soltanto. Si pensi al dramma palestinese, all'assenza di sostegno a paesi come la Tunisia, che ha dato vita a una costituzione laica, o infine all'appoggio che viene continuamente assicurato ai peggiori regimi politici della penisola Arabica. Si pensi allo sfruttamento economico a cui è sottoposta l'Africa, alla guerre inter-etniche fomentate dagli interessi multinazionali d'America, Russia, Europa e, ora, anche della Cina.

Capiremo allora che il vero problema di fondo è la povertà politica dell'attuale globalizzazione, che parla solo in termini finanziari e di scambi commerciali. Povertà che apre le porte a ogni forma di barbarie, in quanto non sa e non vuole mettere in campo iniziative adeguate per rispondere a esigenze che non siano quelle (spesso irrealizzabili) di crescita del Pil, della riduzione della spesa pubblica e sociale e della privatizzazione di ogni tipo di risorsa economicamente rilevante.

Per la difesa dei cristiani d'Oriente, così come delle altre minoranze (ahl-i haqq, baha'i, buddhisti, giainisti, induisti, mandei, aleviti, drusi, ismaeliti, zaydi, sarliya-kakaiya, shabak, sikh, testimoni di geova, yezidi, zoroastriani, ebrei...), che spesso non hanno sostenitori potenti che ne denuncino la tragedia, non abbiamo innanzitutto bisogno di interventi armati, eventuali e prudentemente limitati ad operazioni di polizia internazionale. Abbiamo bisogno di riprendere a pensare in termini di diversità, di uguaglianza, di dignità umana e sociale, rifiutando ogni forma di identitarismo e di contrapposizione sia aggressiva che vittimistica. Dobbiamo rifiutare ogni barriera, ogni muro che separi i popoli gli uni dagli altri, ogni arroccamento in frontiere armate per difendere il proprio benessere, ogni identità e ogni cultura che non sia costituita dal principio del dialogo, del confronto e dell'apertura interna quanto esterna. Bisogna lavorare per sostenere politiche di cooperazione interregionali, tra stati e nazioni, tra confessioni religiose e religioni diverse; sostenere i profughi, che oggi sono abbandonati a se stessi, destinati a cadere nelle mani di trafficanti di morte, in un territorio che va dal Pakistan fino alla Turchia e alla Libia; operare per la crescita culturale dei più poveri (non si investe più sull'istruzione, mentre si spendono migliaia di miliardi di dollari in armamenti), rilanciare i progetti di sostegno e di cooperazione internazionale (i tagli in questo settore sono impressionanti). Dobbiamo insomma riprendere il linguaggio alto della politica con i suoi valori di giustizia e uguaglianza e libertà, che stanno a monte di ogni tentativo di civiltà, a Nord e Sud, ad Oriente e ad Occidente. Ne saremo capaci?

 

William Bonapace


 
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