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 423 - La disputa tra autenticisti e negazionisti

 

A ogni ostensione della Sindone la sua star

 

Come un fiume carsico o un’improvvisa fioritura nel deserto ad ogni ostensione riprende vigore la disputa tra “autenticisti” e “negazionisti”. Escono nuovi libri, che in genere rimasticano cose risapute, le vetrine delle librerie traboccano di titoli, nuove star della materia si affacciano alla notorietà per ripiombare nel limbo del disinteresse al momento in cui percorsi e soppalchi tornano nei magazzini. Nel 1978, la prima ostensione pubblica del dopoguerra, la star fu sicuramente Pier Angelo Gramaglia, prete cattolico e docente alla facoltà teologica, che osò pubblicare, per i tipi della Claudiana, L'uomo della Sindone non è Gesù Cristo. Un testo ancor oggi fondamentale per approfondimento e documentazione e che per molti versi anticipa la datazione medievale del 1988. Gli risposero Pier Luigi Baima Bollone e il giornalista Pier Paolo Benedetto, capifila degli autenticisti, con Alla ricerca dell'uomo della Sindone (Mondadori), apparso pochi giorni prima dell'inizio dell'ostensione.

 

La Sindone compare dal nulla

A 37 anni di distanza, lo stesso Baima Bollone è ancora sulla cresta dell'onda e riesce a piazzare un poderoso instant book 2015, La nuova indagine sulla Sindone - Duemila anni di storia e le ultime prove scientifiche" in vendita, a modico prezzo, con La Stampa il giorno in cui iniziano le visite. Chapeau! Non ricordo chi sia stata la star delle ostensioni del 1998 e del 2000, del resto così vicine da aver accentuato il senso di noia. Certamente nel 2010 lo fu Barbara Frale, ufficiale dell'archivio segreto vaticano, che durante la visita di Benedetto XVI a Torino ebbe l'onore di illustrare la Sindone dal vivo, con riprese televisive all'interno del Duomo, per l'occasione deserto. La battaglia tra i fronti si svolge a colpi di fioretto, talvolta anche di spadone, senza troppe sottigliezze. Ma vola qualche sberla pure all'interno del fronte autenticista. Ad esempio la Frale, ora totalmente dimenticata, pubblica nel 2009, con Il Mulino, sia il perentorio La Sindone di Gesù Nazareno sia I templari e la Sindone di Cristo. Con il primo volume pretende di dimostrare con presunte scritte in latino e in greco la presenza di una specie di certificato di morte intorno al volto sindonico. Con il secondo testo tenta di colmare, almeno in parte, il vuoto di documenti anteriore alla comparsa della sindone a Lirey intorno al 1357. Prima di allora l'avrebbero custodita i templari. Peccato che lo stesso Baima Bollone, impugnata la matita blu, accusi la Frale di aver preso una cantonata nella traduzione dal latino medievale, provocando quindi anche il crollo di tutto il castello di carte che la Frale aveva costruito intorno ai templari. Non basta: Baima Bollone mostra di non dar credito alle «presunte scritte» decifrate dalla Frale (non se ne è mai avuta alcuna reale conferma ottica o microchimica, cfr. 2015, La nuova indagine sulla Sindone, p. 290) e conclude, un po' sprezzantemente: «Ho atteso invano che B. Frale fornisse una risposta a questi rilievi... il lungo tempo passato mi induce a pensare che ... si sia resa conto di aver commesso un errore» (ibidem, p. 177). Peccato che poi Bollone usi criteri diversi a proposito di quella che lui ritiene la prova magistrale dell'autenticità, cioè l'«impronta» di due monete sugli occhi dell'uomo della sindone. Monete molto piccole, come un centesimo di euro, per capirci: incredibilmente coniate dalla zecca di Pilato proprio negli anni 29 e 30 d. C. Pur tuttavia a malincuore è costretto a concludere che sulla sua scoperta non vi è consenso nella comunità scientifica (?) internazionale. Un vero peccato. Aveva probabilmente ragione Luigi Gonella (esperto di fiducia del card. Ballestrero) quando affermava che con i potenti ingrandimenti dei microscopi si riesce a vedere di tutto tra le fibre del tessuto. Qualche ombra insomma può produrre molte fantasie. All'osso, i problemi si riducono a due: la totale mancanza di documenti prima dell'apparizione in Francia verso la metà del XIV secolo, dove lo stesso Bollone ammette, voce dal sen fuggita, «La sindone compare dal nulla a Lirey... nella Champagne» (ibidem, p. 181) e la datazione con il radiocarbonio che conferma, al 95%, quel periodo come quello di origine del tessuto.

C'è poi l'indagine sulla formazione dell'impronta per cui l'esperimento del prof. Vittorio Pesce Delfino del bassorilievo riscaldato appare altamente probabile e ne riproduce praticamente tutte le caratteristiche: immagine superficiale, indelebile e negativa (cfr. E l'uomo creò la sindone, Dedalo, Bari 1982). Interessante in merito è un'osservazione assai semplice, quasi banale che trovo su «Riforma» (n. 17, 1.5.15): manca lo spessore del corpo. La figura frontale e dorsale si toccano per il capo. Il lenzuolo non può mai aver avvolto un corpo, anzi le due impronte sono state probabilmente effettuate in tempi diversi. La cosa è rassicurante perché escluderebbe l'ipotesi macabra di un uomo flagellato, torturato e ucciso come Gesù ad opera di eventuali falsari. Si noti che la cosa non sfuggì ai pittori del seicento che riprodussero la Sindone: sia nella Chiesa S. Carlo dove operarono Giacomo e Giovanni Andrea Casella, sia nella Chiesa di S. Croce in Collegno nel quadro di ignoto La santa sindone sorretta da Maria e due angeli le due figure sono nettamente distanziate a segnalare appunto lo spessore del corpo.

 

Un’autenticità in progress

Con ragionevole approssimazione il discorso dovrebbe finire qui. Ed egregiamente lo ha fatto Andrea Nicolotti che a mio avviso merita il titolo di star dell'ostensione 2015 avendo pubblicato il testo più accurato e documentato finora apparso sul tema. In Sindone, storia e leggende di una reliquia controversa, Einaudi, 2015, Nicolotti in quattro anni di ricerche, ha l'indubbio merito di essere risalito alle fonti originali e con cura meticolosa di aver tolto di mezzo molte ipotesi del tutto fantasiose che si erano affermate negli anni, dimostrando che 1300 anni di vuoto documentale erano, al massimo, utili per romanzi e racconti spesso di pessima qualità. Anche sui tempi più recenti dà un resoconto preciso, in particolare sulle presunte prove demolitorie della datazione con il radiocarbonio, che ne esce sostanzialmente confermata. Interessante è anche l’iter verso l’autenticità, essendo assodato che all’inizio tutti i testi parlano di pictura, tabula, figura seu repraesentatio, cioè di un artefatto. Anzi, in un secolo di storia per nulla edificante, fatto di cause in tribunale, promesse non mantenute e debiti non pagati, i vescovi di Troyes spesso intervengono sui canonici di Lirey perché questi non speculino sulle ostensioni spacciando la sindone per vera. Nel marzo del 1453 Margherita di Charny, la cui nobiltà evidentemente riservava «molto onor, poco contante», cede la sindone (fingendo una donazione in quanto il commercio di reliquie era ufficialmente vietato) a Ludovico di Savoia. Da quel momento la corsa verso l’”autenticità” subisce un’accelerazione. I Savoia ne fanno il loro palladio, cioè il segno della benevolenza divina (cfr. C. Papini, Sindone, Claudiana, 1998 e A. Nicolotti, op. cit., p. 101). Con qualche appoggio a Roma, tramite la famiglia Della Rovere riescono a ottenere nel 1506 da Giulio II la festa liturgica fissata al 4 maggio, data in cui si effettueranno molte ostensioni. Come dire ? Un’autenticità in progress.

Colpisce la persistente ambiguità con cui la Chiesa cattolica tratta la questione. Papa Francesco ha molto a cuore la religiosità popolare e la sua semplicità anche genuina. Ciò non gli impedisce di affrontare degenerazioni come Medjugorie. Forse qualche attenzione la meriterebbe anche la sindone di Lirey, Chambery, Torino. È altamente probabile (se non del tutto certo) che ci si trovi di fronte a una pregevole opera d’arte che, come ogni pittura o scultura, parla al cuore e alla mente di ogni uomo. Nulla di più. Ma anche nulla di meno.

Pier Luigi Quaregna

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