Dopo decenni in cui abbiamo trattato l'immigrazione clandestina come una questione di sicurezza, ora che ha preso la dimensioni di una valanga cominciamo a renderci conto che non si tratta di un evento marginale e passeggero, ma di una trasformazione degli equilibri economici e demografici di rilievo planetario. Ecco perché non solo singoli gruppi di cittadini, ma interi governi nazionali cominciano ad agitarsi e a prendere i provvedimenti più contraddittori, tra cui la costruzione di muri, che oggi sono inutilmente progettati per non lasciare entrare gli stranieri e domani potrebbero servire ad impedire l'espatrio agli stessi cittadini.
Il risultato è che gli stati europei dilapidano risorse finanziare ingenti per fermare ciò che non può essere fermato, costringono i migranti a consegnare alle mafie dei trasportatori quel poco che hanno con sé, a rischiare la vita, a presentarsi al paese che dovrà ospitarli come mendicanti bisognosi di tutto. La presenza degli immigrati tra noi dà così luogo a crescenti disagi e a spettacoli di degrado e sporcizia particolarmente vistosi. Costretti a bivaccare in ogni spazio libero e coperto gli “stranieri” risultano così ospiti particolarmente sgraditi per gli autoctoni. Eppure è evidente che a giungere da noi così ridotti li ha obbligati il nostro rifiuto ad accoglierli come normali migranti. Sono “clandestini” perché noi abbiamo reso reato il loro legittimo desiderio di emigrare. Mentre, se ogni stato spendesse, per organizzarne e regolarne il flusso, quanto ha speso per impedire che possano giungere alla loro meta, il nostro impatto con la loro situazione di bisogno sarebbe meno traumatico e la loro integrazione più facile.
D'altra parte è ormai chiaro che neanche un cambiamento nell'indirizzo della politica migratoria dei singoli stati sarebbe sufficiente per affrontare fattivamente un fenomeno che sta assumendo le proporzioni di un evento storico epocale. Le vere cause, per cui questo esodo finirà col comportare un travaso massiccio della popolazione dal terzo al primo mondo, pongono problemi che possono trovare soluzione solo a livelli continentali. L'Unione europea stessa sarà insufficiente, se non trova forme di confronto coi paesi di provenienza dei maggiori gruppi di migranti, grazie anche alla mediazione dell'Onu.
La crescente e sempre meno controllata e controllabile globalizzazione dei commerci e delle operazioni finanziare sposta sempre maggiori risorse minerarie e agricole dall'Africa e dall'Asia sud orientale verso le potenze industriali e bancarie dell'Occidente e dell'Asia settentrionale. Il riesplodere dei conflitti regionali tra integralismi religiosi e conflitti etnici secolari, che coinvolgono ormai decine di nazioni mediorientali, nord-africane e della penisola indocinese, creano situazioni di insicurezza per milioni di civili. I cambiamenti climatici, che rendono aride vaste zone dell'Africa sub-sahariana, mettono alla fame intere nazioni. La vertiginosa crescita della popolazione mondiale ha fatto sì che negli ultimi quindici anni la popolazione mondiale sia passata da 6 a 7,3 miliardi di bocche da sfamare. Dove mai i milioni di uomini e di donne, cacciati dalle guerre e dalla miseria assoluta potranno cercare un futuro se non là dove l'accumulo di ricchezza sembra consentire una maggiore possibilità di vita e di perequazione sociale?
Finalmente sembra che, dopo aver conosciuto più da vicino la drammatica condizione in cui questo esodo si svolge, abbiano deciso di accettare una qualche condivisione degli oneri già scaricati sulle spalle degli stati mediterranei della UE. Gli stessi politici che fino a ieri consideravano vuote lamentele quelle della Grecia e dell'Italia, dopo le vicende legate al muro ungherese, hanno , almeno negli annunci ufficiali, sposato la causa dell'accoglienza, affermando, come cosa ovvia, quello che fino a ieri avevano considerato inaccettabile. Ha cominciato la Germania, che per bocca della Merkel, unico statista tra i tanti mestieranti della politica europea, ha capito che non si poteva lasciare su questo tema, cavallo di battaglia delle destre populiste e demagogiche, campo libero al prender piede di un serpeggiante e sempre più aggressivo fascismo, e ha detto chiaramente che l'Europa o sviluppa una democrazia socialmente aperta alla multiculturalità e alla collaborazione tra i popoli, o cessa di esistere. Le hanno subito fatto da contraltare i conservatori britannici, con la loro ipotesi di difendere l'identità anglosassone dell'Inghilterra, chiudendo ermeticamente le frontiere agli ex-sudditi delle colonie e contingentando l'afflusso dei cittadini europei d'oltre Manica. Per non parlare dell'Ungheria e dei confinanti ex-satelliti dell'Urss, tutti memori dell'invasione comunista e ormai dimentichi di quella nazista.
Certo la Merkel proponendo per prima la riapertura della discussione sui nuovi accordi europei che dovrebbero meglio rispondere alle esigenze dei richiedenti asilo, si è anche garantita la prelazione sui siriani, la parte più facilmente integrabile dei richiedenti asilo, ma ha anche acquisito un prestigio e un'autorità che nessun democratico europeo potrà più negarle: quello di essersi dimostrato il capo di governo più pronto e deciso nel contrastare la potenziale rinascita fascista, sotto la maschera del nazionalismo lepenniano e del regionalismo leghista. Non per nulla tutte le destre europee di stampo nazional-fascista l'hanno subito individuata come colei che col suo improvvido slancio buonista sta provocando disordini in tutti i paesi dove si stanno riversando in massa i profughi.
Due auspici conclusivi. Innanzitutto che i democratici europei d'ogni nazione e corrente politica capiscano, come sembra aver capito la cancelliera tedesca, che sulla soluzione equilibrata dell'accoglienza dei richiedenti asilo dalla miseria assoluta, dalle guerre e dalle dittature si gioca non solo la partita della giustizia e dell'eticità della politica europea, ma anche la sua capacità di resistere al fascino perverso dell'etnocentrismo fascista.
In seconda istanza che, come lasciano presagire le esperienze di tanti nuclei parentali di migranti dall'Asia e dall'Africa, che negli anni si sono stabilizzati in diverse parti dell'Europa e periodicamente si ritrovano a casa dell'uno o dell'altro, oltre che nelle grandi occasioni (nascite, morti e matrimoni), siano proprio questi stranieri, distribuiti a caso tra Italia, Francia, Germania, Inghilterra, a insegnarci a vivere un'intensa e personale esperienza di unità europea.
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