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chiesa
424 - Un'enciclica che il potere vorrebbe far dimenticare |
Per una un'austerità responsabile e una sobrietà liberante
Nessun partito politico, neppure tra quelli della sinistra più radicale, oserebbe inserire nel proprio programma quanto proposto dall'enciclica Laudato si'. |
Dopo avere affermato che «in alcuni casi lo sviluppo sostenibile comporterà nuove modalità per crescere», così prosegue: «in altri casi, di fronte alla crescita avida e irresponsabile che si è prodotta per molti decenni, occorre pensare pure a rallentare un po' il passo, a porre alcuni limiti ragionevoli e anche a ritornare indietro prima che sia troppo tardi. Per questo è arrivata l'ora di accettare una certa decrescita in alcune parti del mondo procurando risorse perché si possa crescere in modo sano in altre parti (i corsivi sono miei)» (n. 193). E mentre la crescita viene giudicata con diffidenza, vengono proposte come positive «un'austerità responsabile» (n. 214) e una «sobrietà liberante» (n. 223).
Più di venti volte, nel corso dell'enciclica si citano termini come «consumismo, consumo, consumare», sempre con una connotazione fortemente negativa. Consumismo ossessivo, sfrenato, imposto per colmare il vuoto nei nostri cuori. Consumismo riflesso soggettivo del paradigma tecno-economico che «fa credere a tutti che sono liberi finché conservano una pretesa libertà di consumare, quando in realtà coloro che posseggono la libertà sono quelli che fanno parte della minoranza che detiene il potere economico e finanziario» (n. 203). «Il salvataggio ad ogni costo delle banche, facendo pagare il prezzo alla popolazione... riafferma un dominio assoluto della finanza» (n. 189). E questi “potenti”, favoriti dal disinteresse generale, rifiutano soluzioni alla crisi ambientale e sociale. «Tutto diventa irrilevante se non serve ai propri interessi immediati... diversi atteggiamenti provocano al tempo stesso il degrado ambientale e il degrado sociale» (n. 122). Ad esempio i cambiamenti climatici pesano soprattutto sui poveri. «È tragico l'aumento dei migranti che fuggono la miseria aggravata dal degrado ambientale» (n. 25). «Un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale» (n. 49).
Ma non si tratta solo di una piccolissima minoranza di potentissimi. «Un venti per cento della popolazione mondiale consuma risorse in misura tale da rubare alle nazioni povere e alle future generazioni ciò di cui hanno bisogno per sopravvivere» (n. 95). Si tratta perciò di un «egoismo collettivo» (n. 204) al punto che «rispondendo a interessi elettorali, i governi non si azzardano facilmente a irritare la popolazione con misure che possano intaccare il livello di consumo» (n. 178). Ma, anche tra i popoli e le classi che apparirebbero “favorite” dal sistema consumistico, «la gente ormai non sembra credere in un futuro felice... Diventa difficile fermarci per recuperare la profondità della vita... la permanente novità dei prodotti si unisce a una pesante noia» (n. 113).
Per esorcizzare l'insoddisfazione e l'ansia sempre più diffuse, il potere mediatico si affanna a rassicurare che non ci sono certezze e «le cose non sono tanto gravi e il pianeta potrebbe rimanere per molto tempo nelle condizioni attuali» e che perciò possiamo «mantenere i nostri stili di vita, di produzione e di consumo» (n. 59). Tuttavia, secondo la dichiarazione di Rio del 1992, «la mancanza di piene certezze scientifiche non potrà costituire un motivo per ritardare l'adozione di misure efficaci... Se l'informazione oggettiva porta a prevedere un danno grave e irreversibile, anche se non ci fosse una dimostrazione indiscutibile, qualunque progetto dovrebbe essere fermato o modificato» (n. 186).
Un radicale cambiamento del modo di vivere
Affinché le esortazioni non rimangano nel novero dei principi astratti, Papa Francesco non esita a fornire esempi sui comportamenti da tenere. «Coprirsi un po' invece di accendere il riscaldamento... evitare l'uso di materiale plastico o di carta, ridurre il consumo di acqua, differenziare i rifiuti, cucinare solo quanto ragionevolmente si potrà mangiare, trattare con cura gli altri esseri viventi, utilizzare il trasporto pubblico o condividere un medesimo veicolo tra varie persone, piantare alberi, spegnere le luci inutili... riutilizzare qualcosa invece di disfarsene rapidamente» (n. 211), tenendo presente che «i mercati, cercando un profitto immediato, stimolano ancor più la domanda, per esempio con il crescente uso e intensità dei condizionatori d'aria» (n. 55).
Uno dei modi per liberarsi dal paradigma tecnocratico imperante è «la ricerca creatrice del bello e la sua contemplazione» (n. 112). Così come coltivare una gratuità e fraternità universale, «quella stessa gratuità che ci porta ad amare e accettare il vento, il sole o le nubi, benché non si sottomettano al nostro controllo» (n. 228). «C'è un mistero da contemplare in una foglia, in un sentiero, nella rugiada, nel volto di un povero» (n. 233).
Molte delle suddette esortazioni possono essere lette come un invito a essere dei bravi cittadini, guidati da un corretto senso civico. Così come il godere del bello può essere una raffinatezza da artisti. Ma l'insieme dell'enciclica va ben oltre questa direzione. Ognuno dei comportamenti suggeriti, sia quelli rivolti ai singoli, sia quelli rivolti a comunità, stati nazionali e organizzazioni internazionali, conduce a uno scopo ben preciso: un radicale cambiamento del modo di produrre, di consumare, di desiderare, di vivere. Questo cambiamento è in rotta di collisione con quanto proposto e imposto da politici ed economisti e con quanto, ahimè, desiderato dalla maggioranza dei popoli. La crescita sembra essere un idolo per tutti. Chiunque vi si oppone appare come un povero pazzo. Un calo dei consumi è giudicato un immane sciagura. Un aumento dei consumi un segno di progresso e di speranza. Tutti d'accordo: dall'estrema destra all'estrema sinistra, ricchi e poveri, analfabeti e intellettuali, giovani e anziani. È un'enciclica che il potere vorrebbe far dimenticare. Ma non ce n'è bisogno: quasi nessuno l'ha letta.
Dario Oitana
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