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Scrivere sui gravi fatti avvenuti a Colonia la notte di Capodanno non è compito facile: occorre farlo a mente lucida, senza dare troppo spazio ai sentimenti di orrore e di rabbia che simili crimini suscitano. Occorrerebbe, prima di tutto, cercare di comprendere cosa sia veramente successo, orientarsi fra molteplici ricostruzioni giornalistiche, spesso contrastanti, e fra le innumerevoli reazioni che tale vicenda ha suscitato. La vicenda ha prevedibilmente scatenato una tempesta politica in Germania, che nel 2015 ha accolto oltre un milione di profughi; il ministro della Giustizia tedesco ha evocato lo spettro del terrorismo islamico, dichiarando che si era trattato di un attacco pianificato, ipotesi smentita con fermezza dalla polizia. Nel momento in cui scriviamo manca ancora un quadro esatto degli eventi, né sono state accertate precise responsabilità, individuali e istituzionali. Le aggressioni di massa di fronte alla stazione sono state rese pubbliche solo alcuni giorni dopo, ritardo che ha senza dubbio favorito il rincorrersi di notizie non sempre coerenti. Ad oggi, sono circa settecento le denunce presentate per i fatti di Capodanno: la maggior parte riguardano furti e rapine, mentre sono molto meno numerose le denunce per molestie sessuali.

Se i fatti sono tutt'altro che chiari, quel che è certo è lo straordinario significato politico assunto dalla vicenda e l'eco da essa suscitata in tutta Europa. La tragica notte di Capodanno a Colonia – ma anche in altre città del Nord Europa sono stati segnalati analoghi episodi, sebbene in proporzioni ridotte – ha dimostrato, se mai ce ne fosse ancora bisogno, l'enorme problema rappresentato dall'aumento di migranti e profughi, che l'opinione pubblica identifica, in modo grossolano ma efficace, con i musulmani in genere. In Italia il Capodanno di Colonia è stato, prima di tutto, occasione per fare l'ennesimo sfoggio di pessimo giornalismo: importanti quotidiani e un tg nazionale hanno diffuso foto e video in seguito rivelatisi falsi. Mentre in Germania, prevedibilmente, la polemica si è concentrata sul difficile compromesso fra sicurezza e rispetto dei diritti umani, in ambito italiano il dibattito si è spostato dal piano socio-politico a quello socio-culturale, evocando lo scontro di civiltà fra Oriente e Occidente, adombrato dalla questione femminile. Sotto quest'ultimo punto di vista, il nostro è probabilmente fra i paesi meno adatti a dare lezioni di parità fra i generi, visto che siamo uno stato in cui solo nel 1996 lo stupro è stato riconosciuto un crimine contro la donna e nel quale, ogni anno, si contano a decine le donne assassinate dai loro uomini. Proprio per questa ragione, tuttavia, il dibattito sullo scontro fra una cultura profondamente maschilista, com'è percepita quella islamica, e la cultura occidentale, aperta alla valorizzazione dell'altro sesso, ha trovato uno spazio enorme sui media italiani: si tratta di un tema che ci tocca nel profondo, perché, nel momento in cui rivendichiamo la nostra superiorità sull'islam in tema di parità dei diritti, ci accorgiamo di avere ancora noi stessi molta strada da percorrere. Feroci polemiche hanno suscitato le dichiarazioni di un imam di Colonia, secondo il quale a scatenare le violenze sono state le donne, con il loro abbigliamento provocante; ma le sue parole attingono agli stessi stereotipi culturali che inducono ancora molti di noi a pensare che, a volte, le donne vittime di aggressioni sessuali «un po' se la sono cercata»: accusa magari non pronunciata apertamente, ma sussurrata a denti stretti, in particolare quando l'aggressore è un italiano, mentre se è un immigrato, peggio ancora musulmano, partono i cortei in solidarietà della vittima – ma soprattutto contro gli immigrati.

D'altra parte, numerosi commentatori hanno osservato che la sopraffazione verso le donne non è «il vero islam», sottolineando che gli aggressori di Colonia non hanno nulla a che fare con l'islam. Ci piaccia o no, invece, anche quello è islam: la parità fra i sessi nella maggioranza dei Paesi a predominanza islamica è molto più lontana di quanto non lo sia perfino in Italia. Proprio come la caccia alle streghe, l'Inquisizione, le guerre di religione erano anch'esse cristianesimo − non mancavano le ragioni politiche, ma la giustificazione primaria, comunemente accettata, rimaneva quella di fede – così il predominio maschile sulle donne, proprio come l'Isis e lo jihad, sono un frutto dell'islam: certo, un frutto deteriore, aberrante fin che si vuole, ma che dall'islam trae le proprie arbitrarie radici. Quello che, forse, si dovrebbe finalmente ammettere, è che sì, un problema con l'islam c'è: il travagliato, in alcuni casi drammatico, incontro fra alcuni valori che la cultura occidentale, sia pure a fatica e non uniformemente, è arrivata a riconoscere come irrinunciabili per la società civile, e una cultura che, sebbene molto differenziata al proprio interno, quei valori non li ha ancora assimilati e, in non pochi casi, rifiuta di discuterli. Gli aggressori di Colonia erano, magari, semplicemente gruppi di giovani uomini sfaccendati e senza fissa dimora, che sotto l'effetto di alcool e droga hanno seguito un istinto primordiale, senza pensare troppo all'islam: ma la reazione della politica tedesca e dell'opinione pubblica europea dimostra che è in atto, almeno nella percezione comune, uno scontro di culture la cui esistenza non può essere negata, se la si vuole affrontare con il dialogo e non con le armi.


 
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