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società
Je ne suis plus Charlie Hebdo Anche oggi (22 gennaio 2016) la televisione ci parla di almeno 20 bambini morti questa notte nel naufragio dei gommoni su cui erano imbarcati con i genitori per fuggire alla sorte che li attende nei loro paesi: sorte che si può chiamare morte per guerra, o morte per fame, o comunque una vita che noi non vogliamo per i nostri figli e nipoti. Morti nella speranza di un destino migliore, speranza letteralmente naufragata in un mare gelido. Ogni volta che sento queste notizie vorrei chiudere le orecchie, vorrei non aver sentito, vorrei poter ignorare: conosco il mare che queste famiglie disperate affrontano e so che spesso, in questa stagione, diventa impraticabile anche per un esperto marinaio con una buona barca. E ricordo Aylan, il bimbo che riassume tutti i bimbi che affrontano questa sorte e che in queste acque gelide trovano la morte, da soli o insieme ai loro genitori... L'ultimo numero di Charlie Hebdo ha una vignetta terribile: su un lato della pagina c'è Aylan morto sulla spiaggia, il viso nell'acqua, mentre il resto della pagina è occupato da uomini che rincorrono donne per molestarle; in calce la didascalia dice: «Che cosa sarebbe diventato Aylan se fosse sopravvissuto? Un molestatore di donne in Germania». Io credo che questo tipo di vignetta non possa più chiamarsi satira: dopo l'assalto a Charlie Hebdo e l'uccisione di molti dei suoi redattori, molti nel mondo sono scesi in piazza a manifestare il diritto alla libera espressione e quindi anche alla satira; ma ora credo che qui non si possa più parlare di satira, ma di una offesa feroce e schifosa. «Secondo la Suprema Corte (italiana) la satira, per essere accettata come libera manifestazione del pensiero, a norma dell’art. 21 della Costituzione, deve essere innocente, innocua e sorridente» (https://it.wikipedia.org/wiki/Diritto_di_satira ). Ormai penso che siamo davvero troppo oltre e qui vedo davvero poco sorriso e nessuna materia di cui sorridere... Io penso che se qualcuno osasse pubblicare una vignetta raffigurante un bimbo ebreo in campo di sterminio con la didascalia: «Che cosa sarebbe diventato questo bambino se non fosse morto ad Auschwitz? Un colono di Gaza» nessuno di noi penserebbe trattarsi di satira, e penso e spero che la troveremmo intollerabile e che nessuno di noi giustificherebbe la sua pubblicazione e diffusione classificandola come satira e quindi legittima. Due pesi e due misure, forse? Paola Merlo Un pugno nello stomaco Nel vedere la vignetta di Charlie Hebdo ho avuto un sobbalzo: ma cosa stanno dicendo questi qua!?! Poi, conoscendo lo spirito della rivista, non mi è stato difficile fare il passo successivo, al di là dell'indignazione, e chiarire il senso della vignetta. Il bersaglio della vignetta non sono i migranti islamici, ma i benpensanti occidentali i quali si sono commossi per il bambino Aylan, e poi, svanita la commozione e asciugate le lacrime, hanno ripreso a sbraitare contro gli islamici che stuprano le nostre donne. Rivolto a questi, Charlie Hebdo dice: «Ma se gli islamici, in quanto islamici, sono tutti stupratori, allora − secondo voi − è stato un bene che sia annegato nel Mar Egeo un piccolo potenziale stupratore». Questo è la satira: non una battuta per suscitare una risata, ma un meccanismo a due passi. Pugno nello stomaco cinico e provocatore, per indurre al ripensamento del lettore che, capito il senso, se ne esce pensoso e con un sorriso amaro. Proprio per questo suo meccanismo non immediato, la vignetta non è la copertina di Charlie Hebdo: la vignetta è 8x8 centimetri in una pagina interna. Non è un dettaglio tipografico. La copertina può essere vista da un passante frettoloso, che non arriva al passo successivo, la vignetta è destinata ai lettori, che non si fermano alla prima impressione. La reazione della regina di Giordania («Ma come! Quel bambino sarebbe forse diventato uno scienziato, un medico, un artista») è ovvia e banale, e dimostra che anche una regina di Giordania può non capire un messaggio satirico. Su Charlie Hebdo un'altra vignetta, proprio sotto quella di cui parliamo, ironizza amaramente sugli stessi redattori di Charlie Hebdo uccisi nell'attentato del 2015. Censuriamo anche questa? Quindi, viva la libertà di satira, sia quando la satira è chiara a tutti, sia specialmente quando chi non la capisce invoca la censura. Gianfranco Accattino La via larga e quella stretta Due pensieri suscitati dalla vignetta di Charlie Hebdo su Aylan. Il primo è sulle intenzioni del vignettista: qual è il suo obiettivo? Forse quello di portarci a riflettere che, seppure Aylan fosse diventato un molestatore di donne da adulto, la sua morte sarebbe stata comunque ingiusta e un crimine efferato. Che quella morte è stata brutale non già perché è morto un bambino innocente, per il quale è quasi istintivo commuoversi, ma una persona. E quella morte rimane brutale perfino nel caso in cui muoia un molestatore, un criminale, un assassino. Il secondo è che il suo tratto di matita porta a rimescolare le categorie politiche conosciute. Quello che è avvenuto a Colonia è arrivato a mettere in crisi chi tra noi crede nel diritto di asilo e nell'integrazione, nell'accoglienza e nella difesa del migrante. E allora Charlie Hebdo esaspera questo smarrimento: saremmo disposti ad accogliere Aylan anche se sappiamo che in futuro potrebbe compiere gesti come questi? che potrebbe preferire il sopruso al rispetto? che potrebbe scegliere di non integrarsi? Non possiamo negare che siamo più impegnati a difendere la nostra sacrosanta tensione all'accoglienza dagli attacchi di chi la pensa diversamente che a interrogarci sino a che punto possiamo arrivare per accogliere e che cosa possiamo fare perché nessuno abbia in mente non solo di replicare Colonia, ma anche gli attentati di Parigi. Una è una via consueta (qualcuno la potrebbe definire "larga"), l'altra è più stretta e perigliosa. A noi la scelta di quale intraprendere. Simona Borello
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